
di FRANCO CIMINO
“Centanni” li scrivo tutti con una parola. Lo so che sono due, le regole della nostra lingua ce l’hanno insegnato. Due sostantivi che si aggettivano all’occorrenza. Ma oggi, per il motivo di cui parlo, sono una sola parola. Esattamente come il respiro dell’anima che li pronuncia. Un solo fiato. Una sola emozione. Un solo sentimento. In una unica parola. Parola da parole unite. Parole unitarie. Che dicono di un respiro lungo cent’anni. Di una storia costruita in questo tempo. Che è molto e poco egualmente. Un respiro, un sentimento, una storia e la forza di una famiglia e dei suoi componenti che tutto questo hanno vissuto. E rappresentano. Ancora. E oggi, nella celebrazione del bellissimo anniversario ce li offrono, come testimonianza d’amore verso la città. La Catanzaro bella, che pure vi è stato a nel corso di questo secolo, e che da quel luogo è passata con tutte le sue bellezze. In particolare, quelle umane, culturali e morali e politiche, che, attraverso le più nobili persone, hanno fatto della nostra realtà
una città bella, ricca e importante. Persone autentiche, diverse fra loro sotto ogni aspetto, culturale, sociale, economico, professionale. Addirittura, territoriale o geo-socio-politico , come amerei dire. E questo, per la originale conformazione Urbanistica del territorio dell’antica storica città, quello che dalla Bellavista sale fino al Cavatore. La Città bella di allora, in cui ciascun catanzarese era anche parte di quella specificità, i Coculi. la Grecia, Santa Maria del mezzogiorno, il quartiere ebraico, ed altri di cui non so dire la denominazione, perché in questo momento l’emozione gioca sulla memoria, la mia già non granitica. Filosofi, poeti, scrittori, avvocati, maestri, professori, medici, artigiani, in particolare sarti, artisti artigiani, operai, casalinghe, incolti e analfabeti, disoccupati , preti vescovi e politici, sindaci, amministratori, Deputati e sognatori, tutti sono passati da quella “bottega dell’amore”. Nella quale scienza e umanità, cultura locale e globale, Catanzaro e universalità, medicina ed etica, rapporti confidenziali e conoscenze occasionali, amicizie strette e conoscenze semplici, rappresentavano il gesto costante di una umanità bella, di una Catanzaro autentica. Quella fatta di rispetto per gli altri. Di riconoscimento e riconoscenza. Riconoscimento come lettura della persona che si presentava al banco, dei suoi problemi, dei suoi bisogni, che andavano al di là di ciò che c’era scritto sulla ricetta. E riconoscenza, nei confronti di ognuna di quelle migliaia e migliaia di persone, tutte singole persone intese, che si rivolgevano ai dottori farmacisti. Tutte entravano in quella bottega con fiducia e speranza. E, soprattutto, quasi riconoscenza. Anche per trovarla sempre aperta, giorno e notte. Giorni feriali e quelli festivi. Insomma, il luogo in cui scienza e sentimenti si sono fusi e si fondono ancora. E nel quale quell’attività, che non è mai stata semplicemente commerciale e neppure specificamente sanitaria, si è svolta costantemente come servizio complessivo alla città. Mi piace chiamarla, se i loro titolari non si offendono, “la bottega dell’amore”. Si può dirlo di una Farmacia? Sì, lo si deve dire soprattutto di una farmacia che sia come quella di Alcaro. Posta quasi da sempre al centro del centro storico-quella che una volta era piazza mercato- ha potuto essere per merito di quella famiglia, davvero la bottega dell’amore. Quello che loro hanno dato e donano ancora. E l’amore che hanno ricevuto e ricevono ancora da parte dei catanzaresi. Io non ho cent’anni per dire con pienezza di tutti gli Alcaro che l’hanno prima fondata( nel quartiere Maddalena, da Pasquale Vincenzo Alcaro ex pilota dell’Aeronautica militare di stanza a Torino) poi trasferita e potenziata nel posto in cui si trova dopo la costruzione del nuovo Politeama, dal figlio Mario che vi rimase insieme alla sua bellissima moglie, fino alla morte, poi vissuta, poi rinnovata nel cambio di generazioni e di qualche modifica interna che l’hanno resa soltanto più funzionale, conservando la preziosa antichità dell’origine. Aspirerei ad arrivare a cent’anni, per dire della farmacia Alcaro nel corso dei miei cent’anni. Ma ne ho ancora molti di meno e potrei dire solo dei miei trent’anni vissuti pienamente nella Città alta, nella quale mi sono portato dalla mia Marina e dalla mia Taverna dal sentimento nuziale, per riconoscerla anche politicamente quale parte dell’unica bellissima Città, che dal mare sale fino ai monti attraverso i suoi tre colli, che mirabilmente li annunciano. Come premessa di bellezza. E promessa, quest’altra pure, d’amore tra il mare e la montagna. In questi trent’anni ininterrotti, potrei dire che per motivi diversi, gli ultimi quelli della camminata-salute degli ultimi anni, non ci sia stato un giorno in cui non sia almeno passato da quella farmacia. Prima gli anziani coniugi, bellissimi nel dirti con il loro sorriso dell’eterno amore, poi il figlio Enzo, arrivato fresco di robusti studi e ricerche in ambulatori importanti in quel di Firenze, e da sei anni circa i suoi due figli Francesca e Mario, oggi nuovo direttore della farmacia. Li ho visti sempre e al lavoro appassionato. E sempre sorridenti, educati, disponibili, pronti a salutarti anche dal balcone attraverso l’ampia vetrata che dà sulla strada. Oppure, soprattutto Enzo, quando, come il padre, nei minuti di pausa sostava, e lui ancora sosta, davanti alla porta, per vedere quella eterna città che passa e sentire il profumo della Catanzaro ancora stretta nel loro cuore. Nell nostalgia di molti. Nel desiderio dei giovani, che vorrebbero restare o tornare. La Catanzaro che gli Alcaro hanno amata e amano, come fa un catanzarese autentico. Amarla attraverso il servizio anche professionale, che , svolto come l’hanno svolto loro, è anche una continua donazione di sé. Per questo, oggi, lo straordinario compleanno della farmacia è festa pure per i Catanzaresi. È la festa di Catanzaro. Auguri Farmacia Alcaro, cento di questi giorni. E poi ancora, cento e cento e cento…E grazie. Cento volte e cento, grazie
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