Catanzaro, citta “casuale”. Ma, in fondo, può essere attraente,  perfino nei “suoi svincoli micidiali” 

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images Catanzaro, citta “casuale”. Ma, in fondo, può essere attraente,  perfino nei “suoi svincoli micidiali” 
Giacomo Dominijanni
  14 novembre 2019 12:58

di GIACOMO DOMINIJANNI 

Nell’approccio al dibattito sull’opportunità che il centro storico ospiti alcuni corsi di Laurea (apprendo che non si chiamano più “Facoltà”), non può prescindersi da brevi riflessioni di carattere generale.

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Diversi anni orsono, nel corso di un colloquio mio e di mia moglie con un luminare bolognese di una branca medica specialistica, questi, preso atto della nostra provenienza, ci rivelò che aveva vissuto a lungo in Calabria e coniò una definizione lapidaria quanto di agghiacciante efficacia della città di Catanzaro:” “è una città casuale, disse, “una cosa si mette qua, l’ospedale si mette là, poi si fa un ponte, eccetera”. 

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Effettivamente, come è noto, la città, nel suo articolarsi in una moltitudine di quartieri disgregati e distanti l’uno dall’altro, non è frutto di una saggia e lungimirante pianificazione urbanisticabensì di azioni finalizzate a soddisfare interessi particolari, quali le speculazioni edilizie di proprietari di terreni che, complici diverse Amministrazioni, ne hanno frustrato il naturale, arioso e geometrico sviluppo verso il mare, favorendo quello asfittico e irragionevole verso la Pre-Sila. 

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Conseguenza di tale frammentato e disorganico tessuto urbanistico è stato il ricorso, per ricucire e aggregare il territorio, a misure acrobatiche e avventurose quanto costose, inefficaci e illusorie, come i famigerati ponti (in primis proprio il monumentale “Bisantis”),viadotti, rotatorie, gallerie, tangenziali, che hanno attenuato i problemi di traffico e di mobilità ma non hanno potuto ovviare alla basica irrazionalità della città,conducente a paradossi aberranti, quali la collocazione dell’ospedale, il più grande della Regione, in un luogo intasatissimo e privo di parcheggi  e la dislocazione degli uffici amministrativi regionali in svariati punti da Santa Maria alla zona Nord, alcuni dei quali praticamente inaccessibili alla utenza poiché siti in vicoli del centro storico: ciò ha fatto percepire la città come ostile e non accogliente a coloro che vi giungevano da altri  luoghi.

Era, quindi, naturale che, pur tardivamente, sarebbe emersa, nell’ottica di dare più ampio respiro e un aspetto e un assetto più moderni alla città, l’esigenza di creare un polo direzionale e universitario, nonché dello sviluppo del quartiere marinaro, che per decenni era stato (colpevolmente) declassato a sobborgo indegno di considerazione: sono così sorti, nell’area di Germaneto, la cittadella regionale e il campus universitario, la prima, imprescindibile per dare forte identità e funzionalità degli uffici, riuniti in un moderno corpo unico, a un capoluogo di regione vocato essenzialmente a centro amministrativo, il secondo, volano indispensabile di crescita; contemporaneamente, le ultime amministrazioni si sono intensamente dedicate, con diverse opere quali il lungomare, il porto, la riqualificazione di Giovino, a emancipare Catanzaro Lido dalla trascurata marginalità in cui aveva sempre versato. 

Tutto giusto, anzi, naturale e apprezzabile, ma, come l’espansione della città nel dopoguerra, anche tali processi sono stati gestiti senza adeguata programmazione e senza misure di compensazione per impedire lo  svuotamento e il degrado del centro storico: si è assistito, infatti, a uno sviluppo vorticoso del quartiere marinaro, che ora rischia di implodere, alla creazione di magnifiche “cattedrali nel deserto” (cittadella regionale, strutture universitarie) a Germaneto - zona, però, priva o comunque lacunosa di servizi per gli studenti e di efficienti collegamenti con le altre zone della città -, a un inopinato e angosciante declino del centro storico, svuotato di ogni funzione sia per il decentramento e la digitalizzazione degli uffici che per la crisi delle attività commerciali.

L’ammodernamento della città, pur ispirato a lodevoli esigenze di apertura verso il mare (meglio tardi che mai) e zone pianeggianti e di decongestionamento del centro con la creazione di un moderno polo direzionalee scientifico, avrebbe, però, dovuto essere progettato e concepito in maniera equilibrata e armonica, preservando il centro storico  da un decadimento inaccettabile che ha condotto anche, con grave pregiudizio per i cittadini, al drastico abbattimento dei valori immobiliari: non è stata attuata, per esempio, alcuna politica di tutela del commercio, con incentivi ai proprietari a calmierare i prezzi delle locazioni, e di incoraggiamento della  cittadinanza a frequentare il cuore cittadino, dotandolo di parcheggi, piuttosto che i centri commerciali,  siti comodi quanto asettici,asociali e di istigazione a un consumismonon costruttivo ma deteriore; non è stata creata, quindi, un’isola pedonale - sperimentata soltanto a singhiozzo e senza convinzione – il che rende il nucleo storico di Catanzaro respingente e inappetibile in quanto luogo non di aggregazione sociale ma straripante di automobili: vergognosa anomalia non soltanto in Italia, ma addirittura in Calabria, le cui altre città hanno, tutte, aree centrali di gradevole vivibilità.

In sostanza, ancora una volta, una “città casuale”, in cui si spostano pezzi, uffici, strutture senza una visione armonica globale che esalti, coordinandole, tutte le zone del  territorio (mare, centro storico, centro direzionale) secondo le proprie caratteristiche piuttosto che privilegiarne alcune e deprimerne altre quasi a risarcimento di percorsi inversi adottati nel secolo scorso.

Ora, dovendosi finalmente prendere atto della agonia del centro storico, ancora una volta, come nel destino di questa città, la misura che si profila è “casuale”, cioè, la parziale revisione della destinazione (che sembrava ormai consolidata) di Germaneto a polo scientifico – universitario, con la collocazione di alcuni corsi di laurea nell’antico nucleo urbano. 

Premesso, che nulla è irreversibile e tutto è rivedibile, tuttavia anche questa scelta sembra essere frutto di una politica a tentoni e tentativi piuttosto che di programmazione globale, nonché foriera, fino a prova contraria, di prevedibili problemi pratici: inadeguatezza delle strutture immobiliari,  anche sotto il profilo tecnologico, che dovrebbero ospitare le attività accademiche, scarsa capacità di accoglienza di  docenti, personale amministrativo, studenti per mancanza di parcheggi e servizi di trasporto pubblico. 

È innegabile che l’ipotesi (anche agli occhi di chi scrive) sia fortemente suggestiva perché suscettiva, potenzialmente, di generare una “movida” in un centro storico depresso e intristito e, quindi, di rivitalizzarlo, con soddisfazione di tutti, ma la sua efficacia è dubbia per le diverse controindicazioni e poiché, come tutte le scelte in questa città, frutto di casualità e improvvisazione e non di programmazione. 

Premesso che si prenderà atto di eventuali benefici di quanto si profila, credo però che la rinascita della città passi non per estemporanee misure “tampone” ma attraverso una visione e un progetto globali che la rendano attraente per visitatori esterni, sì da ossigenarne l’economia e creare figure professionali diverse da quelle attualmente proliferanti, ormai inflazionate e improduttive: questa deve essere la sfida, cioè, dare nuova linfa aun tessuto economico provato.

Pochi luoghi vantano palazzi ottocenteschi, bellissime chiese, un magnifico teatro e antichi quartieri che affacciano sul mare: il porto di Lido può essere un volano per attrarre visitatori  che apprezzino (oltre alla godibilità del quartiere marinaro integrato dalla splendida area verde di Giovino) tali caratteristiche del nucleo storico che, con tutto il rispetto, non si rinvengono, per esempio, in  Matera, luogo suggestivo quanto si vuole per i “sassi” ma privo di respiro e di profondità come il nostro, e sul quale, tuttavia, è stata  abilmente effettuata una colossale operazione di marketing che lo ha condotto a una notorietà e a un indotto economico che non oso definire immeritati ma, certo, obiettivamente imprevedibili.

Quindi, non casualità e misure “tampone” ma progettualità che coinvolga Lido, centro e sito direzionale e scientifico in azione sinergica, e, nondimeno, ambizione e campanilismo: per aggiustare un centro storico serve, in fondo, soltanto renderlo gradevole e attraente, incoraggiandosi i cittadini a frequentarlo, incentivando il commercio e  promuovendo la cultura (esistono due  teatri e il Masciari va recuperato), ma anche i cittadini stessi ne facciano un luogo di aggregazione, presidiandolo, facendovi lo shopping, apprezzandolo, amandolo come, per esempio, i reggini fanno col loro lungomare; le Amministrazioni adeguino la vivibilità del centro storico agli standard minimi di ogni altra città italiana (non è difficile) e sponsorizzino e veicolino, anche presuntuosamente, l’immagine della città oltre i suoi confini (Matera docet).  

È una citta “casuale” ma, in fondo, può essere attraente,  perfino nei “suoi svincoli micidiali”. 

 

 

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