Nella prima giornata di studi, l’incontro moderato da Stefano Grandesso, protagoniste Giovanna Capitelli, Maria Saveria Ruga, Maria Lucia Tavella e Ilenia Falbo, quattro voci accademiche in una indagine speculativa molto accattivante sul Risorgimento italiano nella storia dell'arte.
04 giugno 2021 00:11di ANNA TRAPASSO
Proseguono con grande intensità i lavori di “Arte e politica in Italia meridionale”, la due giorni di dibattito, promossa dalla Fondazione Andrea Cefaly, sul Risorgimento in Calabria attraverso alcune delle sue iconiche opere d’arte.
Nella prima giornata, dalle 17 in poi, di grande interesse per la platea virtuale (gli incontri, in diretta dal museo Marca di Catanzaro, si tengono infatti esclusivamente online sul sito www.andreacefaly.it) l’incontro moderato da Stefano Grandesso, protagoniste quattro voci accademiche e le proprie indagini speculative sull'arte risorgimentale, tutte molto accattivanti.
Ad aprire l’incontro, Giovanna Capitelli dell’Università Roma Tre con “Un progetto inedito per il monumento dei fratelli Bandiera a Cosenza”.
A detta di Giovanna Capitelli, passando in rassegna alcuni bozzetti di opere d’arte risorgimentali, “Questi disegni, se non fossero messi all’interno di una linea del tempo che intercetta le relative posizioni politiche, non si potrebbero comprendere. Quella che, infatti, fino a poco tempo fa veniva guardata come un’Italia retorica, in cui il linguaggio figurativo veniva a coincidere con gli aspetti più deteriori della retorica, oggi fortunatamente e da più di 30 anni viene studiata da storici, qualche storico dell’architettura e da tantissimi storici dell’arte che seguono i percorsi dei singoli artisti in raffronto al confronto storico e politico”. E’ questa la giusta prospettiva per inquadrare il “Progetto di monumento ai Fratelli Bandiera, una delle pagine più straordinarie di ciò che precede i moti del 1848, l’avanguardia del Risorgimento. -ha detto Capitelli- Una storia affascinantissima che dovrebbe far parte delle sapienze collettive”.
“La vicenda dei Fratelli Bandiera infiamma l’intera Europa: è una storia di grandissima levatura e grande patriottismo, intorno a cui già nel ‘44 Giuseppe Pacchioni, capendo l’importanza di queste figure, schizza dei velocissimi ritratti -narra la Capitelli, ripercorrendo nel mentre la vicenda storica- Per ciò che attiene al culto dei Fratelli Bandiera in Calabria, nel 1863 Giuseppe Ricciardi e Francesco Lattari scrivono la “Storia dei Fratelli Bandiera e Consorti”. Sappiamo, poi, che di lì nel ‘48 le reliquie vengono poste nella Cattedrale di Cosenza e si pensa ad un Mausoleo nel Vallone di Rovito per ospitare le spoglie mortali sottraendole alla chiesa e collocandole in un luogo sacro ma, al contempo, laico.
Abbiamo quindi un progetto manoscritto per il “Monumento ai Fratelli Bandiera”, ritrovato presso la casa di Garibaldi a Caprera, a firma di un ingegnere, Franceschini, che lavorava in una commissione d’ornato della città di Bologna. Si tratta di un mausoleo, da collocare in uno spazio naturale, le cui forme sono quelle della classicità e dal cui linguaggio architettonico si evince il desiderio di organizzare l’intera struttura con grande semplicità ma con partiti esornativi ricollegabili al mondo della classicità e non al ‘400”.
“Il progetto trova strada poi in Antonio Cipolla, segnalati già dagli esordi come un giovane talentuosissimo. Negli anni ‘50 lavora moltissimo per i Borboni a Roma, è così importante che sarà l’architetto di palazzo Farnese, allora sede dell’ambasciata dei Borboni, e che si occuperà di un monumento per le esequie di Ferdinando II di Borbone. E’ datato 1864 il Mausoleo del Vallone di Rovito, ma nel 1867 Venezia “si sveglia” e richiede le spoglie mortali dei Fratelli Bandiera anzi “richiamò le ceneri de’ suoi eroi” e le alloggia nella Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, accanto ai più grandi personaggi, in una chiesa dell’identità veneziana. Il monumento immaginato da Cipolla, così, non ha più senso, è un progetto che non può funzionare e che, perciò, non vedrà mai la luce”.
“Per vedere realizzarsi un monumento al Vallone di Rovito, bisogna aspettare il 1960/61, per il centenario dell’Unità d’Italia, quando un concorso pubblico diede ad Amerigo Tot, uno scultore magiaro, spazio di poter immaginare una installazione. Tot realizzò la “Catena spezzata”, un’arte che cerca di uscire dalla retorica e che tutti dovremmo riguardare senza pregiudizi. La critica del tempo, infatti, insiste sul fatto che queste catene rotte simboleggino la Calabria non ancora unita all’Italia. Stiamo invece parlando della grande dimensione simbolica del Risorgimento, tutt’altra cosa”, a cui dovremmo guardare con rinnovato interesse.
“Molti monumenti vengono visti in chiave nazionale -interviene Stefano Grandesso- ma i monumenti non sono solo retorica, costruzione del consenso, o tentativo di riscrivere la storica, essi sono spesso partecipati, nascono per sottoscrizioni pubbliche, ma coinvolgono anche artisti soldati”.
E’ poi la volta di Maria Saveria Ruga, dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, su “Andrea Cefaly, pittore e soldato: dal campo garibaldino alla prima Esposizione Nazionale di Firenze”.
Ruga affronta il “caso del pittore soldato esemplare, Andrea Cefaly, nella “Campagna del Volturno” o “Battaglia di Capua”. “Cefaly -spiega Maria Saveria Ruga- è un pittore soldato emblematico nel contesto di Napoli, già giovanissimo. Per poi tornare in Calabria con la sua pittura figurativa nel 1860 con il “Bivacco di Garibaldini”, una scena nei pressi di Soveria, che ci permette di vedere quegli studi fatti sul campo velocemente, sottoposti nel confronto con un bozzetto della stessa scena”. “La campagna garibaldina attrae una innumerevole compagine di pittori soldato, tra cui Michele Tedesco, Francesco Mancini, tutti artisti “nutriti” con Settembrini, Verdi, abituati a cogliere e ritrarre momenti cruciali della storia d’Italia”.
“La retorica nazionalista prosegue con Domenico Russo, “Garibaldi con Roma sullo sfondo”, che ricorda lo sbarco di Garibaldi che aveva visto direttamente a Napoli , con -sullo sfondo- il sogno del compimento dell’unità, finchè non vediamo affacciarsi l’iconografia del Garibaldi come Cristo. E’ forte l’impegno di una compagine di artisti coinvolto che si trova disillusa dalla politica ma che in quegli anni è pienamente partecipe sia sul piano artistico che politico”.
“L’anti retorica della guerra -conclude la Ruga- si può cogliere approfondendo un altro aspetto ancora, ossia l’intimità della pittura di genere, come i sentimenti unitari pervadano non solo gli attori ma tutto il popolo che assiste a questa epopea in atto, dai reduci, agli anziani, alla popolazione femminile”. Ecco allora l’approfondimento monografico di Maria Lucia Tavella, dell’Università di Bologna, con “Raccontare il Risorgimento: il registro intimo di Achille Martelli”.
“Nella schiera dei giovani artisti consapevoli del periodo storico e portavoce dei propri ideali, non solo con i pennelli ma con le armi, generando delle favolose novità intorno al Risorgimento e creando ferventi connessioni tra la Calabria e Napoli così da ridisegnarne il suo ruolo per nulla marginale nello scenario artistico nazionale -spiega Maria Lucia Tavella- si inserisce il pittore garibaldino Achille Martelli.
Insieme a Martelli e Cefaly, è d’obbligo una menzione ad Antonio Migliaccio, originario di Girifalco: ebbene anche lui preferisce scene intime quotidiane piuttosto che la rappresentazione degli eventi diretti sul campo. E’ il caso dell0opera che rappresenta “Un garibaldino ferito”, si suppone una vicenda autobiografica. In questi artisti si possono ammirare anche figure femminili colte in momenti privi di turbamento, con abiti carnevaleschi o in scene di vita quotidiana, come “La cucitrice” di Martelli” – aggiunge Tavella, che conclude con una chicca: “Durante le mie ricerche è emersa una litografia scarsa di documentazione ma inedita negli studi. L’opera, conservata in un opuscolo scritto dal poeta Rosario Silvestri, rappresenta una scena di disperazione di alcune fanciulle per la perdita dell’amato, e va “letta” in accostamento alla sua novella”.
In conclusione, l’intervento streaming di Ilenia Falbo, dell’Università della Calabria, su “La Bandiera italiana” (costumi cortalesi), eseguita da Eduardo Fiore, nel 1864. “Un’opera -dice Ilenia Falbo- con il candore proprio di una testimonianza familiare periferica, che consente di accedere direttamente all’interno del microcosmo domestico di una famiglia calabrese sconosciuta a metà del 19esimo secolo”. “L’ingenuità del dipinto sottintende la volontà di rappresentare alcuni affetti diventati comuni nella vita italiana dell’epoca. -spiega Falbo- Il drappo verde bianco e rosso, il tricolore, non è più, ora, un emblema di tortura, di condanne, di esilio e abbandono della famiglia, ma assume tutt’altra valenza. Il sistema delle arti dell’800 in Calabria -conclude- necessita di essere investigato. Tuttavia mancano ancora studi monografici, repertori scientifici e cataloghi dei musei. Anche la vicenda di Fiore resta tutta da chiarire”.
Nel dare appuntamento all’indomani -secondo e ultimo giorno di “Arte e Politica”- la giornata di studi si è concluda con la proiezione del video Arte e politica. Andrea Cefaly (1827-1907) e il Risorgimento in Italia meridionale,prodotto dalla Fondazione Andrea Cefaly, e la visita alla collezione permanente del Marca e alla mostra documentaria, a cura di Alessandro Russo.
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