di FILIPPO COPPOLETTA
Nuovo imperdibile appuntamento domani sera con il teatro e la cultura nel capoluogo calabrese. Al teatro comunale di Catanzaro, per la stagione di Ama Calabria, va in scena la tragedia "Elegia per la principessa barbare. A proposito di Medea", l'opera diretta da Elena Bucci e Marco Sgrosso che ripercorre una storia contorta intrisa nella mitologia greca.
Attingendo alle descrizioni della protagonista che ne tempo sono state donate da poeti e filosofi come Euripide, Seneca, Corrado Alvaro e Franz Grillparzer, l'opera porterà in scena vicissitudini che in modo incredibile si rispecchiano nella quotidianità di oggi. Grazie all'interpretazione di Francesca Ciocchetti, Filippo Gessi, Teresa Timpano, Francesca Pica, Alfonso Paola e Miryam Chilà, lo spettacolo coinvolgerà il pubblico in un viaggio che spazierà tra amori, tradimenti, omicidi e vendette.
In attesa di entrare in sala, abbiamo incontrato la regista di questo nuovo spettacolo. Elena Bucci, attrice, drammaturga e regista, porta con se un importante bagaglio di esperienza che la vede tra i personaggi di maggior rilevo nell'arte teatrale. La sua visione di teatro è fonte di ispirazione per tanti e la sua passione traspare in modo cristallino nel descrivere un'opera sente particolarmente sua.
Chi è la Medea che porteranno domani in scena Elena Bucci e Marco Sgrosso?
«Medea è una donna con una storia incredibile. Una donna che viene conquistata, che si innamora, che uccide il fratello per amore, che abbandona la terra d’origine e nella terra del nuovo sposo viene considerata una straniera, una barbara. Una vicenda dove si affrontano tantissimi temi grazie all'analisi delle ragioni di Medea e quelle di Giasone. Nella tragedia greca, d'altronde, ci troviamo sempre difronte alle ragioni di tutti e ci interroghiamo su dove stia la verità».
Quello di domani sarà uno spettacolo che parlerà anche calabrese, vero?
«Assolutamente. Quando pensiamo alla tragedia greca, pensiamo a qualcosa di molto antico. Da qui il pensiero volge alla terra di Calabria, al Sud ed a quelle tradizioni meravigliose che racchiude. Come il teatro ha delle radici antichissime, anche la cultura popolare si tramanda nel tempo. Il canto della Calabria mi sembrava quanto di più vicino ad un teatro in cui si intrecciavano il canto, la danza, la parola, un teatro immerso in una natura che sentiamo purtroppo sempre meno. Insieme alla musica popolare c'è poi il dialetto: ho chiesto ad ognuno degli attori di pensare al testo con il loro dialetto per poi riportarlo in italiano. Il dialetto genera una forma di verità che evade dalla cultura scolastica ed è capace di fare sentire propri i personaggi che si interpretano».
La sua è una carriera importante che spazia principalmente tra palco e cinema. Le posso chiedere quale sia stata l’interpretazione che maggiormente l’ha segnata?
«La cosa meravigliosa del teatro è che nel momento in cui facciamo una cosa siamo totalmente innamorati di quella. Forse le cose che più mi accompagnano ora sono quelle che mi vedono come autrice. Nonostante l’abbiamo nel tempo tenuta nascosta per timidezza, la scrittura sta diventando sempre più importante. Se poi penso alle mie interpretazioni, non posso dimenticare la stessa Medea che stata per me sconvolgente: un personaggio potentissimo. O ancora quando ho rincorso la figura di Eleonora Duse per portarla più vicina alla memoria dei giovani».
Il cinema cambia così come cambiano le proposte televisive, il teatro ravvisa anche questa necessità o può rappresentare quell’eccezione capace di conservare un fascino ed una sorta di solennità ferma nel tempo?
«Le ammetto che è una questione che sempre ci poniamo. Pur rinnovando le forme, ritengo sia importante mantenere quel legalmente fortissimo con il patrimonio della tradizione e sentire tutta la storia che ci precede. Affinché però, questo incontro dal vivo sia effettivamente potente, necessita di una sua ritualità che va cercata e rinnovata di volta in volta. Ritengo, inoltre, che teatro debba andare in contro al pubblico del presente, raggiungendo anche in quei luoghi in cui abitualmente non dimora, ritornando in comunicazione con la natura di cui le parlavo poco fa».
Una domanda che non può mancare e che chiude ogni intervista: qual è il suo rapporto con la Calabria?
«Sono innamorata della Calabria così come Marco Sgrosso. Ci venivamo sin da ragazzi. Ricordo la prima volta che la vidi: rimasi ad bocca aperta guardando i suoi colori e i suoi profumi. È una terra di una ricchezza, di un’umanità, di una forza ammirevole che pur con tutte le difficoltà riesce a mantenere un’aspetto della comunicazione tra le persone che è molto importante osservare e ricordare. Aggiungo, inoltre, che vi è una vitalità di gruppi e giovani calabresi che vogliano rimanere nella loro terra che credo debba essere protetta e aiutata».
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