di FRANCO CIMINO
Le critiche non vanno mai risparmiate a chi riceve dai cittadini il potere di decidere dei loro bisogni e desideri. Giuste sono quelle mosse con onestà d’intenti e con sincerità. Quantomeno antipatiche sono quelle strumentali al vuoto d’iniziativa politica, al “dire tanto per dire”, all’invidia e al rancore. Antipatici di più sono anche tutti coloro i quali dai cittadini vogliono solo il voto e null’altro, mentre nulla o poco di quel consenso restituiscono. La Democrazia non lo consente. Di più respinge il detto, ormai quasi istituzionalizzato, “ la gente mi ha votato… “ intendendo come voto la cieca consegna della propria vita a quanti, i cittadini, la vita chiedono che sia protetta nel desiderio di felicità. O, almeno, di sicurezza. Concezione, quella del voto, bugiarda e detto ingannevole. Gli elettori votano per conto anche di tutti gli altri che non lo possono fare. E non consegnano nulla se non la delega provvisoria di fare ciò per cui è stato chiesto e ottenuto il consenso.
Mi sembra così chiaro questo, che la maggior parte di coloro che stanno lassù, in alto più del piedistallo in cui ammirati di sé stessi sostano, dovrebbero finalmente capire che lì sono stati messi dalla gente. Per cui, farebbero bene a darsi una calmata, abbassare la cresta o scendere a terra. E, però, quando qualcosa di positivo viene prodotta dai governi e dalle amministrazioni pubbliche, non viene neppure menzionato. Non se ne parla affatto. Se non per affermare il vecchio refrain:” e chi ficiaru? U dovere loro ficiaru, ca cu i sordi nostri fannu i così si non si l’arrobbanu!” Oppure, mai contenti e sempre tecnici esperti:” avivanu e fara e chiù. A ficiaru mala, on a viditi ch’è brutta sta cosa?” E, invece, occorre cambiare mentalità, essere equilibrati e onesti pur nella rabbia per i mille bisogni non soddisfatti, trasformatisi per molti in autentica emergenza. Restiamo, però, per un momento cittadini e sforziamoci di riconoscere e apprezzare le cose buone prodotte.
Io, oggi, ne vorrei sottolineare una, compiuta dall’Amministrazione Comunale e da questo Sindaco a volte troppo criticato. La faccio precedere alle due, di cui dirò in altro spazio e momento. Questa riguarda un tema cui tengo molto su un problema per il quale da sempre mi batto, il sostegno alla povertà. Sostegno, evidentemente, inteso in modo diverso rispetto a quello malamente concepito dalla politica incolta. Sostegno, pertanto, non per rafforzare la povertà ma per aiutare le vittime di essa a non morire a causa sua. A non essere umiliati da essa brutalmente. Il provvedimento varato l’altro ieri dalla Giunta Comunale, riguarda la realizzazione di centri attrezzati di tutto punto, in cui i senza tetto o quelli che ne hanno uno sprovvisto dei servizi essenziali, possano per un certo tempo godere di una doccia, di un pasto caldo, di un letto. Per tutti, immigrati e residenti, clandestini e cittadini poveri estremi.
È questo un atto politico e umano insieme. Una sorta di salvavita, di riconoscimento della dignità umana in ogni singolo uomo, di una prima tutela in qualche modo delle donne ancora non completamente protette e dei bambini con loro. E, ancora, il recupero, pur se parziale, dell’immagine antica di Catanzaro Città dell’accoglienza e della riconoscenza. Accoglienza di ogni essere umano che di lei ha bisogno. Riconoscenza, verso il mondo che ha accolto l’umanità dei tanti catanzaresi costretti a partire per lo stesso motivo per cui altri oggi qui arrivano. Bene bene, bravi e buoni. Tuttavia, e non per essere come i miei concittadini del cui vizietto ho detto sopra, è ancora poco. Un primo essenziale passo verso la nuova antica civiltà, certamente. Ma occorre continuare a farne altri, fino a raggiungere quell’obiettivo che da molto tempo propongo. È umano e politico insieme. Culturale ed economico fortemente intrecciati. Realizzare, cioè, una specie di Banca del Sociale, costituita da Comune, Provincia, Regione, Chiesa locale, Fondazioni bancarie, Università, Forze Sociali, Associazione industriale, Camera di Commercio, Associazione Commercianti. E quella filantropia proveniente da chi è diventato ricco non dimenticandosi di essere stato povero, per cui è rimasto sensibile e buono e giusto dal sentimento di giustizia sentito.
Questo istituto particolare, avrebbe il compito di sostenere persone che hanno perso la tranquillità per la perdita dello stato sociale cui sono appartenute. Il benessere, per dirla tutta. È gente buona questa, di cui le banche ciniche però diffidano. Sono catanzaresi che, per esserlo pienamente, hanno orgoglio nella dignità che li porta a non mostrare, se non tornando al cuore dei vecchi genitori, la loro mutata condizione. Di loro puoi capirlo subito, ché hanno nel passo lento e negli occhi la tristezza crescente. La Città dei valori antichi sa bene che la somma delle singole tristezze rendono triste e infrequentabile prima di tutto lei stessa. La Banca del Sociale salverebbe dalla povertà su cui stanno per scivolare, tante famiglie. Specialmente, quelle con figli piccoli e con persone bisognevoli di assistenza e cure particolari.
Aiuterebbe anche a non chiudere e a risollevarsi, ovvero a ristrutturarsi necessariamente, quelle medie e piccole attività commerciali, che, per i motivi ben noti, non ottengono prestiti dal sistema finanziario se non, quelle poche soltanto, a tasso veramente usuraio. Anche qui il sentire umano si fa atto squisitamente politico. Attività che chiudono faranno chiudere la Città. Saracinesche abbassate e vetrine spente, spengono la luce sulla via e rendono insicure persone e abitazioni. Una Città che chiude ha chiuso definitivamente con i sogni e con i disegni. Con le idee e i progetti. Chiuderebbe la speranza di vedere ritornare Catanzaro il capoluogo della Regione, di cui la Calabria ha bisogno per vincere la battaglia, finora non fatta, contro povertà e arretratezza. La battaglia per un vero protagonismo della nostra Terra in Europa e nel Mare Nostro.
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