Catanzaro fra storia e arte, lo storico Ulderico Nisticò: "Città da scoprire"

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Ulderico Nisticò
  15 novembre 2022 13:03

"Noi siamo un po’ troppo condizionati da idee, in verità più letterarie che di natura squisitamente artistica, che nell’immaginario privilegiano alcuni luoghi e ne trascurano molti altri, e non solo in Calabria. Ci sono città in cui gli edifici e gli oggetti d’arte non sono concentrati in piccoli spazi, come accade a Firenze, ma disseminati come a Napoli, e perciò non facili da individuare. Secondo me, è questo il caso di Catanzaro".

Nell'immaginario collettivo, il capoluogo calabrese è solo un centro burocratico. Sugli uffici regionali si basa essenzialmente la sua economia, ma Ulderico Nisticò, storico e saggista, profondo conoscitore della storia calabrese, i catanzaresi sono seduti su un vero e proprio "tesoro" che, se messo a frutto, farebbe della loro città un centro turistico.  

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La domanda è d'obbligo: cosa significa città disseminata?  

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"Intanto - risponde Nisticò -  la storia, molto mutevole. Fortezza bizantina, o, come preferisco dire io, romea, e lo mostra il toponimo Stratò (uno dei quartieri cittadini, ndr), che significa esercito; diviene, come si riteneva nel Medioevo, città con l’istituzione della Diocesi; importante sede di contea; ricca produttrice di seta". Ma Catanzaro, sottolinea lo studioso, "subì devastanti terremoti; e, dal decennio murattiano e nei seguenti, vi avvennero radicali ristrutturazioni urbanistiche, anche se non sempre e non tutte indovinate e benefiche. Tutta questa storia si scorge, a ben vedere, in edifici di volta in volta ricostruiti e modificati, e perciò, in apparenza senza passato, e non leggibili se non con criteri di scienze archeologiche".
   

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Ma cosa c'è, quindi,  da vedere nel capoluogo calabrese?

"Chi attraversa Catanzaro senza l’ossessione del parcheggio, a piedi, e senza la fretta di spicciarsi in qualche fastidioso ufficio - è la risposta -  scopre tracce della città storica. Filanda, Coculi, Fondachello (alcuni dei quartieri più antichi della città, ndr) richiamano l’antica arte della seta, che rese Catanzaro giustamente celebre, e fu per secoli la struttura sociale e politica cittadina. Toponimi greci come Zarapotami (fiume secco), Stratò (esercito), Ianò (salubre), Pratica (operazioni) richiamano l’origine bizantina. Case Arse, è ricordo di un evento tragico dei tempi del Centelles. L’Aquila, simbolo della città, è imperiale. Altri toponimi si traggono dai molti conventi: Carmine, Gesù, Monte dei morti, Osservanza, San Domenico… poi sedi di enti militari e civili, ma se ne conservano le chiese".

I caratteristici “vichi” - prosegue - denunziano spesso superfetazioni sorte sopra le fortificazioni ormai inutili, o crollate e non restaurate. La città, che vinse l’assedio del 1528, era cinta di mura e torri; e vi si accedeva da porte sorvegliate". Rimaneva ancora pochi decenni fa la Porta Marina. Sappiamo che, nel 1712, il preside don Gaetano Golino gettava un ponte dalla Sala a San Rocco. Nel 1756 il preside don Bartolomeo Capredoni tracciava una strada che doveva portare in città  “in luogo di quella antica franosa e scomoda”".

Per molto tempo ritenuti leggenda urbana, si stanno riscoprendo i cunicoli che collegavano le varie zone della città: "Strutture non improbabili - sostiene lo storico - stante la geologia dei tre colli. Dal XV secolo città regia, dal XVI capoluogo della Calabria Ultra, Catanzaro attrasse cospicue famiglie nobili, che edificarono palazzi residenziali di una certa imponenza. Grandioso fu quello De Nobili, oggi Municipio".

Le condizioni attuali di molte già dimore patrizie non sono certo delle migliori, "ma forse - spiega Nisticò -  qualcuna conserva quadri e arredi e mobilio più decorosi delle facciate in degrado. Molti palazzi si dotavano di giardini, anche pensili. Il verde pubblico più noto è la Villa, Margherita o Trieste che dir si voglia. Recente, ma ben tenuto e frequentato, il Parco della biodiversità, sede di eventi". 

Al pian terreno dei palazzi, le botteghe artigiane, di cui Catanzaro era ricca. "La “putikha” per eccellenza  - sottolinea - era quella dove, iniziato il lavoro all’alba, si andava a “morzirhara”. Era la carne dei poveri, ricavata dagli scarti; finché anche i ricchi non si accorsero quanto sia buono!".

Sono andate perdute molte usanze popolari e feste, si potrebbero recuperare. Nisticò le elenca: "Le gare sportive del passato erano i “prei”; perciò si dice ancora, ironicamente, “si preia”; le cronache ricordato il “correre la vacca”, forse una specie di corrida per i vicoli cittadini. I conventi e le chiese tenevano scuola. Il Seminario viene istituito, come dovunque, dopo il Concilio di Trento; lo frequentavano anche laici. Oggi è Facoltà teologica. Nel 1563 sorse la Casa dei Gesuiti, che impartiva lezioni di livello universitario. Dopo l’espulsione di quei religiosi, divenne il Liceo, poi intitolato al filosofo Galluppi. Catanzaro si dotò di istituti superiori provinciali, che in passato tenevano anche corsi di farmacia, notariato… L’università ora detta Magna Graecia, giace in solitudine senza quella socialità che è sempre stata la natura degli studi accademici; occasione persa di recupero del centro storico". 

La città ha una sua particolarissima situazione topografica, dovuta anche alla conformazione del territorio, che si estende dalla collina al mare. Un fattore, secondo Nisticò, determinante. "Certo che sì - risponde - Catanzaro è una sorta di confederazione di quartieri, che procedono dal mare alle pendici della Presila; e spesso mostrano un’identità urbanistica, e persino di dialetti particolari. Io sono nato e vissuto a Sala (fino a poco tempo fa vi sorgeva la stazione ferroviaria, da alcuni anni dismessa, ndr), e i miei ricordi sono quelli di una piccola comunità autonoma. Ma ogni quartiere, ogni “vico” ha qualche piccola o grande singolarità".

Volendoli elencare, dunque, il visitatore ha molti luoghi da scoprire a Catanzaro. Nisticò li indica:  "I resti delle mura, per quanto inglobati in superfetazioni posteriori; il castello detto di Carlo V, che nasconde però molti segreti forse precedenti; i misteriosi cunicoli; gli antichi conventi, poi usati per scuole e caserme e uffici pubblici, quindi troppo ristrutturati; le case nobiliari, non particolarmente imponenti, ma di una certa eleganza; spesso ormai trascurate, ma degne almeno di uno studio; alcuni palazzi meglio tenuti; le icone sacre sopravvissute; i “vichi” di sorprendente, improvviso colpo d’occhio; lapidi importanti per la storia cittadina; i musei Provinciale, Militare, Marca, delle Carrozze, Diocesano; la ricchissima Biblioteca Comunale; e non poche chiese in esercizio, ornate di quadri e statue. Molto più arduo sarebbe parlare di tutti gli oggetti d’arte in luoghi ecclesiastici, civili e privati".

Nisticò è un fiume in piena: "Alcune chiese antiche  - ricorda - sono sfuggite alla furia naturale dei terremoti e a quella intellettuale degli uomini. In Santa Caterina si tenevano le assemblee cittadine. Genuinamente medioevale è la chiesetta di Sant’Omobono, luogo di culto di una corporazione di sarti; altre sono state ricostruite o rimaneggiate, o costruite in tempi più recenti. Spicca per solennità ed eleganza la Basilica dell’Immacolata. La Cattedrale fu gravemente colpita da un bombardamento angloamericano del 1943, e rinacque nel decennio successivo. San Giovanni fu dei Cavalieri di Malta. Ornate e composte, il Carmine, San Rocco; e il Rosario di Gagliano, con pareti luminose di “pietra” verde e rossa di Gimigliano. Il Pinnellio, nel 1608, dice di una cattedrale, di rito greco, ma non se ne conoscono tracce. Un luogo di culto doveva avere la comunità ebraica, che, ufficialmente scacciata nel XVI secolo, è attestata lo stesso nei tempi seguenti".

Istituzione meno celebrata e frequentata del dovuto, lamenta Nisticò,  è la Biblioteca Comunale, iniziata dal Tulelli, potenziata dal De Nobili. "La sua dotazione - rileva - è di gran numero e alta qualità.  Qui e lì, sono una sorta di museo a cielo aperto, tra l’altro, alcune lapidi: quella in onore di Carlo di Borbone, in visita nel 1735; e quella, sfuggita all’iconoclasmo risorgimentale, in lode di Ferdinando II, a Catanzaro nel 1858; curiosa è quella di Bellavista, con centoni di poeti latini". Per restare in quell’area, ricorda lo studioso, "la Funicolare di oggi ebbe un precedente illustre, nel 1910, con un sistema idraulico; seguita dalla Tranvia: credo che allora pochissime città vantassero una così ardita struttura. Ci fu una Catanzaro futurista, con le visite di Marinetti; e l’opera di un dimenticato, Alfonso Frangipane, che, lavorando a Reggio, proiettò la Calabria in Italia e Europa. Non meno dimenticata, la grande Emilia Zinzi. Va ricordato il vasto territorio, che dal mare di Lido, con torrioni di avvistamento e difesa, giunge alla Presila; e mi lasci ricordare il borgo di Sala, dove sono nato".

Opere diffuse sul territorio, ma poco conosciute dai catanzaresi stessi. Cosa fare per valorizzarle?

"Immagino - spiega Nisticò - un’operazione di catalogazione generale. Occorre un gruppo di lavoro che coinvolga l’Accademia, le associazioni culturali cittadine, e l’opera di giovani qualificati, con il sostegno concreto di Regione, Provincia, Comune, Arcidiocesi, Sovrintendenze. Un gruppo che - aggiunge - può funzionare solo a patto sia coordinato da un responsabile con adeguati poteri, e in tempi certi".

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