di TERESA ALOI
Non c'è rabbia. Ma dolore. Quello sì. Anche tanto. Dolore per la perdita di una persona cara. Dolore per una perdita che, forse, si poteva evitare. Sarà l'autopsia, in programma nei prossimi giorni, a chiarire i motivi della morte di Cristina Brandi, 69 anni, di Andali, piccolo centro della Presila catanzarese, deceduta lo scorso 15 maggio nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro.
L'ultima immagine è una carezza che sa di rassicurazione. Su un lettino, in ascensore, prima di entrare in sala operatoria. L'ennesimo intervento per salvarle la vita durante quel mese di degenza tra un reparto e un altro.
Lo racconta Anna, una delle figlie che oggi chiede che venga fatta giustizia. E' serena, per quanto si possa esserlo dopo una tale perdita. Le sue non sono parole di condanna, ma chiede la verità. Quella che "non ho avuto in un mese, quando ai vari dottori chiedevamo cosa fosse successo a mamma".
Ed è un racconto minuzioso fatto di tenerezze e di disperazione. Di lacrime versate. Giorno e notte. Ricorda attimi dopo attimi. E' come rivederla. riabbracciarla, rassicurala. "Lei che - spiega Anna - il primo giorno, dopo quella maledetta gastroscopia, mi diceva che l'avevano bucata".
Al momento nel registro degli indagati, dopo la denuncia presentata in Procura, figurano i nomi del chirurgo Pietro Carlo Voci, del gastroenterologo Stefano Rodinò e dei dottori Anna Maria Scozzafava e Orazio Stefano Giovanni Filippelli. L'ipotesi di reato è omicidio colposo e responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario.
Tutto inizia il 14 marzo quando “decido di far fare una gastroscopia di controllo a mamma. Una delle tante visite di controllo alla quale si sottoponeva periodicamente". Da lì, inizia il calvario. "Da quella stanza mamma - racconta Anna - è uscita su una barella, coperta da un lenzuolo". Anna riconosce il cappotto, ai piedi del lettino: alza il lenzuolo e la vede "coperta" di sangue. Chiede spiegazioni al medico: si parla di una sospetta lesione, per la quale si rende necessaria la Tac. Sarà solo la prima. Il referto dell'esame è una lacerazione dell’esofago. Bisogna operare: un piccolo taglio e due punti di sutura. Ma nulla di questo viene fatto.
"Il chirurgo non ritiene necessario portarla in sala operatoria perché quel buco si sarebbe chiuso da solo - racconta Anna - sarebbe stato sufficiente che, per tre o quattro giorni, alla paziente non venisse somministrato cibo, né liquidi". Da qui il ricovero nel reparto di Chirurgia toracica. E' il 15 maggio. Anna è in ospedale come ogni mattina. Nella borsa ha un pigiama pulito e roba intima per la sua mamma. La vede, la incrocia nel corridoio: è su una sedia a rotelle, la stanno portando giù per eseguire un'altra Tac. Parla con lei, l'accarezza, la rassicura. "Ma mi ero accorta che non stava bene - ricorda Anna - aveva il collo molto gonfio ed era molto stanca".
Dopo l’esame, "un dottore mi riferisce che mamma ha una mediastinite". Un parolone per Anna che non è medico. Che si tratta di un’infiammazione del mediastino, la cavità toracica che racchiude il cuore, l’esofago e altri organi e che necessita con urgenza di un intervento chirurgico, lo imparerà a sue spese.
"Mamma viene portata giù nel blocco operatorio e un medico mi dice che ha un tumore all’esofago, ragion per cui non avrebbe potuto provvedere alla chiusura del buco, ma potevano solo effettuare alcuni drenaggi per eliminare la mediastinite". La signora Cristina viene intubata e sedata, trasferita nel reparto di Rianimazione in coma farmacologico e sottoposta ad un nuovo intervento: il tumore non c’è e il buco viene chiuso. Ma il suo cuore smette di battere. Ad un mese esatto dal suo ricovero.
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