di UMBERTO PETA
Il passaggio, o più adeguatamente legame, tra essere artigiano, mescolanza di tecnica e saper fare, ed essere artista è riposto nel pensiero, nel saper pensare e nel saper vedere. Nuccio Loreti torna a declinare la femminilità a distanza di anni da “Donna” bianca* presentando “Donna” rossa, opera che aggiunge una novità all’uso già proprio dello scarto, del riutilizzo dei materiali della tradizione e della sua abilità espressa nei mosaici metal 3D e, in generale, dalla conoscenza della lavorazione dei metalli maturata nella propria bottega. Tanto “Donna” bianca quanto “Donna” rossa rappresentano due momenti della propria ricerca, storia e dell’intuizione spontanea, genuina, naif - rivendicate con orgoglio. Generate dagli scarti del lavoro di fabbro, intorno a cui si concentra la propria formazione, produzione e stile, “Donna” bianca venne forgiata durante un’operazione di trazione, compressione e piegatura capace di restituire un profilo nella visione e percezione dell’artista e poi consegnata e resa evidente a ogni fruitore, mentre “Donna” rossa viene concepita dall’assemblaggio di lamine che sebbene ricordino uno stable calderiano o una figura boteriana ne risultano estranee per ideazione, realizzazione, processo, percorso artistico-formativo. Pertanto, la novità di quest’opera - nel percorso dell’artista - sta in quello che lo stesso concepisce e definisce “concettuale”, ossia un’operazione della mente capace di saldare dei pezzi residui restituendo un manufatto, senza perdere, aspetto caro a Loreti, immediatezza della lettura per tutti nella chiarezza e nella riconoscibilità del soggetto rappresentato. Loreti non abbandona il figurativo, ma nel contribuire ad elevare lo scarto a dignità scultorea (gesto peraltro attuale e dal significato sociale) rende omaggio alla completezza e compiutezza della donna attraverso pochi elementi evocativi. Così, nella corporeità, data dai rapporti equilibrati degli scarti di un cancello, capaci di rimandare ad una figura volutamente caricaturale, ma armonica, l’artista rende omaggio alla donna in una modalità che quasi ricorda la Venere di Willendorf: rossa come la passione ed il sangue mestruale o il volto evocato dai capelli che restituiscono leggerezza e movimento all’intera opera apparentemente statuaria e ieratica, dai molteplici significati ed attributi: maternità, fertilità, potere, forza, sensualità, fierezza, fermezza, intelligenza. Tuttavia, nell’ideazione dell’artista, all’estremo opposto, in quelle stesse forme rimarcate ed accentuate c’è una visione ipersensibile colta dallo sguardo che talora spoglia la concezione della donna di ogni contenuto violando la femminilità attribuendo un’accezione eminentemente corporale e carnale. E così quel rosso colore caldo, di fuoco (elemento che richiama la nascita come uno dei quattro elementi fondamentali), di passione, perde ogni connotato spogliandosi di significato e si carica di violenza. Pertanto, Loreti in entrambe le interpretazioni esorta a rispettare e proteggere la donna rappresentando la sua vulnerabilità nelle lamine leggere che delineano il profilo e nelle esili, essenziali, rastremate estremità e chiasma, precari e fragili.
* Opera installata sul corso Mazzini Comune di Catanzaro
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