Riceviamo e pubblichiamo la riflessione a firma di Emanuele Cannistrà.
"Spesso mi chiedo: perché negare l’evidenza? Perché mettere in discussione, a volte con superficialità e sospetto, le segnalazioni o le proteste di un cittadino qualunque, o addirittura di un uomo di Chiesa? Quale interesse potrebbero avere, se non quello di esercitare un diritto – o forse un dovere – civico e morale? Non cercano visibilità, né hanno secondi fini politici. E allora, perché tanta diffidenza? Forse perché danno voce a chi non ce l’ha, a chi vive ai margini? Forse perché disturbano l’autocompiacimento di certa politica? È più facile sminuire chi denuncia piuttosto che affrontare i veri problemi. È più comodo accusare di polemica chi solleva una questione, piuttosto che prendersi la responsabilità di intervenire in tempo. Eppure, la realtà è sotto gli occhi di tutti. Com’è possibile negare lo stato di abbandono in cui versa la cosiddetta “città dei dormienti”? Solo perché, dopo mesi di silenzio e immobilismo, qualcuno ha finalmente deciso di intervenire, di ripulire e dare una sistemazione dignitosa a quell’area? È questo il metro di giudizio: un’azione tardiva che cancella mesi (se non anni) di incuria? Non possiamo e non dobbiamo accettare che il disagio venga affrontato solo quando diventa emergenza o polemica pubblica. Non possiamo ignorare che se oggi si è intervenuti, è anche grazie a chi ha alzato la voce, a chi ha avuto il coraggio di denunciare, di chiedere, di pretendere il rispetto di un luogo che merita dignità. Chi si fa carico delle fragilità sociali, chi cammina accanto agli ultimi, non lo fa per visibilità, ma per coscienza. Perché la vera politica, quella con la “P” maiuscola, nasce dalla responsabilità, non dalla propaganda. E allora, la domanda rimane: perché negare l’evidenza? Forse perché affrontarla costringerebbe qualcuno a fare ciò che avrebbe dovuto fare da tempo".
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