di STEFANIA PAPALEO
Ci sono voluti ben 7 anni, ma alla fine per Giuseppe Focaccio, presidente della onlus "Araba fenice" di Catanzaro, è arrivato il momento del riscatto. Così come per una sua dipendente, Gaetana Rosaria Migali, a sua volta scagionata da ogni accusa.
Arrestato, privato dei propri beni e ribaltato sulle prime pagine della stampa nazionale, solo ieri Focaccio è riuscito a liberarsi delle gravissime accuse di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di più delitti contro la pubblica amministrazione, corruzione e concussione per induzione, legate a un presunto sistema illecito nell'affidamento a soggetti privati di attività formative e culturali da rivolgere ai minori detenuti messo su, tra il 2013 e il 2015, dall'allora direttrice del carcere minorile Beccaria di Milano, Alfonsa Miccichè. Solo per quest'ultima la condanna per istigazione alla corruzione, così riqualificata la originaria imputazione di induzione indebita
"Assolto perchè il fatto non sussiste", dunque, ha decretato ieri sera il Tribunale di Caltanissetta per Focaccio, accogliendo la tesi difensiva portata avanti con determinazione dall'avvocato del foro di Catanzaro, Carlo Petitto, durante il lungo processo celebrato a carico di 5 persone. Con Focaccia e Beccaria, sul banco degli imputati anche la figlia di quest'ultima, Federica Fiorenza, il suo fidanzato Emiliano Maria Longo, e Gaetana Rosaria Migali, dipendente della stessa onlus "araba fenice" di Catanzaro.
Secondo quanto sosteneva l'accusa, la Miccichè avrebbe favorito per anni associazioni a lei vicine per la realizzazione di progetti finanziati con fondi pubblici in cambio della disponibilità di queste ad assumere o conferire incarichi ai propri familiari. Da lì il blitz dei carabinieri che, all'alba del 22 ottobre 2015, aveva portato agli arresti i quattro imputati, per i quali la Procura, rappresentata in aula dal pm Simona Rossi, aveva chiesto condanne fino a 5 anni di reclusione.
Noto da sempre per la sua attività nel campo della formazione professionale con la cooperativa sociale “Araba Fenice”, attento in in special modo alle esigenze dei soggetti sociali più deboli e svantaggiati, in prima linea nel concreto ausilio al recupero dei detenuti con progetti apprezzati a livello nazionale, Focaccio era stato all'improvviso ritenuto "organizzatore di una associazione per delinquere che aveva come ragione sociale commettere i reati di abuso di ufficio, induzione indebita e corruzione; il tutto per mettere le mani sui fondi del Ministero della Giustizia finalizzati al recupero dei giovani detenuti degli Istituti penali per i Minorenni".
Insomma, un grassatore della cosa pubblica in danno dei più deboli, così era stato in pratica descritto Giuseppe Focaccio anche da organi di stampa, osserva adesso l'avvocato Carlo Petitto, che aggiunge: "Quella di Pino, come è conosciuto da tutti, Focaccio è stata una via dolorosa caratterizzata da 103 giorni di arresti domiciliari, dallo stigma sociale e dalla perdita di opportunità lavorative. Si pensi – il dato è forse marginale ma rende plasticamente idea circa gli effetti di un procedimento che gli istituti di credito provvedevano dopo pochissimi giorni dalla esecuzione della misura a revocare tutti i conti correnti anche personali del Focaccio, impedendogli quindi di assicurare a sé ed ai propri cari il soddisfacimento delle esigenze primarie. E ciò nonostante la A.G procedente non avesse disposto misure patrimoniali sui suoi beni. Nella tarda serata di ieri in Caltanissetta il Tribunale collegiale ha posto un punto fermo restituendo verità e giustizia alla figura di Pino Focaccio, accusato anche di due episodi specifici di corruzione e per il quale il Pubblico Ministero aveva richiesto la condanna per tutte le contestazioni ad una pena di anni 4 e mesi 6. Tutti i fatti di reato ascritti non sono mai esistiti, dice il Tribunale nisseno, anzi, per usare proprio la prosa del Giudicante nel dispositivo di sentenza - conclude l'avvocato Petitto -, Pino Focaccio è stato assolto da tutte le imputazioni allo stesso ascritte “perché il fatto non sussiste”.
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