“Chi chiede asilo politico non ha vissuto facilmente nel proprio paese, per questo quando arriva dovrebbe essere considerato con maggiore rispetto e non essere guardato male”. Lo ha detto Maysoon Majidi, l'attivista curdo-iraniana rimasta in carcere per 10 mesi in Calabria con l'accusa di essere una scafista e scarcerata a fine ottobre: Maysoon Majidi stasera ha raccontato la sua esperienza e la sua storia in un’iniziativa a Catanzaro patrocinata dal Comune capoluogo della Calabria.
“Anzitutto – ha sostenuto Maysoon Majidi - voglio specificare che sono una rifugiata e non una immigrata. Un immigrato viene per motivi economici, di lavoro, per non morire di fame, un rifugiato come me è chi lascia il suo Paese perché lì rischia la vita e cerca un posto sicuro in un altro Paese. Ho lasciato il mio Paese perché rischiavo la vita, per questo ho chiesto l'asilo politico”.
Maysoon Mjaidi ha poi parlato del suo lungo periodo nel carcere di Castrovillari: "Ho fatto lo sciopero della fame perché aspettavo una data in cui essere ascoltata dal giudice, ho perso 16 chili scendendo fino a 36 chili. Nessun giudice voleva ascoltare la mia storia, la data per essere ascoltata è sempre stata rimandata. Questo – ha aggiunto l’attivista curdo-iraniana - è durato 8 mesi. Ho cercato anche di imparare la lingua con i corsi che ci sono in carcere ma non mi è stato dato un interprete. Non potevo parlare con i miei familiari. Ho fatto il viaggio con mio fratello e non ho potuto parlarci per due mesi. Non sapevo nulla di nessuno. Pensavo che tutte le 77 persone che viaggiavano con me fossero state arrestate perché non sapevo il motivo dell'arresto”.
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