Viaggio a ritroso nel tempo. Una occasione per ripercorrere momenti della storia della nostra Città nel secondo dopoguerra. Tempi bui sicuramente fra cumuli di macerie provocate dalle bombe nemiche che piovvero sul Capoluogo. E la forza di ricostruire. Per noi questo “viaggio all’indietro nel tempo” lo ha ricostruito la ricercatrice Francesca Rizzari Gregoraci
di FRANCESCA RIZZARI GREGORACE
“La guerra lasciava macerie e povertà: la città era stata bombardata dagli alleati, i primi ordigni avevano colpito il rione Montecorvino causando vittime e così per altri punti: Madonna dei cieli, Spiazzo Banca d’Italia, Corso Mazzini, Paesello. Si era mirato a centrare palazzo Piterà in quanto sede del XXI corpo di armata. Fallito il bersaglio, fu distrutta una zona rappresentativa del centro storico con la Cattedrale, il monumentale campanile ottocentesco con le cinque campane secolari che rievocavano momenti significativi della nostra diocesi e la fontana coeva.
Con mezzi di trasporto lenti e inaffidabili, da tutti i paesi della vasta provincia mogli, madri giungevano in gruppo per sollecitare negli uffici di competenza il disbrigo delle pratiche per le pensioni di guerra. Alcune avevano lasciato nella propria dimora i mariti ciechi o allettati per un arto amputato, altre, da vedove si erano risposate solo col rito religioso per non perdere il tanto agognato assegno mensile.
Nelle scuole ai bambini distribuivano tavolette di cioccolata americana e, su una minuscola fetta di pane, poche gocce di olio di fegato di merluzzo per la crescita. Passavano poi gli ispettori della Prevenzione Infortuni per illustrare la pericolosità delle bombe rimaste inesplose nei campi.
Il Sud, dove gli alleati erano sbarcati nel 1943, non aveva maturato grandi idee di rinnovamento perché non aveva vissuto l’esperienza della guerra appieno e soprattutto perché nel ventennio fascista era stato governato da forze locali conservatrici. I podestà di Catanzaro erano stati il barone Giuseppe di Tocco (1923-27), l’ing. Riccardo Raffaelli (1930), il conte Domenico Larussa (1933), l’avv. Fausto Paternostro (1935-43), il dott. Francesco Carnovale (1943), persone degne di stima.
In quegli anni, grazie al quadrumviro Michele Bianchi di Belmonte Calabro, la nostra regione era stata industrializzata a Crotone con i due poli chimici (Montecatini e Pertusola), era stata bonificata nelle aree del lametino e del crotonese dilaniate dalla malaria e in Sila erano stati creati i laghi artificiali. A Catanzaro, il 31 ottobre 1932 il ponte di Siano agevolava finalmente un percorso faticoso, infatti per raggiungere la sede bisognava scendere da dietro il vecchio ospedale, attraversare il torrente Musofalo e risalire, le persone anziane venivano portate “bombareddhu”, in braccio come bambini.
Il ritorno alla normalità si rendeva difficile. Il Presidente della Provincia, Sebastiano Iannini, nella relazione di bilancio metteva in evidenza l’inadeguatezza delle entrate: “La nostra provincia è uscita dalla guerra estremamente impoverita, le poche industrie esistenti sono state distrutte, le strade e i ponti resi in condizioni pietose prima dai Tedeschi in ritirata, poi dall’intenso traffico di guerra e da quello non meno intenso per il trasporto del legname che gli alleati stanno effettuando dalle montagne della Sila e di Serra San Bruno verso lo scalo ferroviario di Crotone”.
Il 7 gennaio 1946, i reduci senza lavoro occupavano gli uffici pubblici non ritenendo che le donne potessero continuare a prestare servizio nei ruoli affidati durante il conflitto.
Il prefetto Solimena riceveva lettere di richiesta per posti di lavoro e scriveva che la vita dei comuni era tormentata dalle precarie condizioni economiche e finanziarie. Molti contadini si davano infatti all’accattonaggio. Venivano in città e in maniera dignitosa chiedevano la carità. Presentavano un foglio firmato dal prete del loro paese che attestava la loro condizione miserrima.
Con lo sbarco degli alleati, i vecchi podestà furono sostituiti da sindaci di nuova nomina e, nella nostra città per scelta del comandante Holmestrom, dopo il breve commissariato di Armando Bianco, già ispettore della prefettura e dell’assicuratore Armando Milelli, fu nominato sindaco l’avv. Giovanni Correale Santa Croce, uno dei ragazzi del ’99, figlio del medico condotto di Siderno trasferitosi a Catanzaro per svolgere la professione presso lo studio Pugliese.
Nel leggere la relazione da lui redatta a fine mandato (marzo ’46) si evince la precisione e la serietà di un amministratore che quasi si scusa di non essere catanzarese di nascita e asserisce di aver fatto del suo meglio “nell’assolvere al duro compito nei confronti di una cittadinanza pur piena di speranza ma non ancora ripresa dai disagi dello sfollamento”.
Il rialzo dei prezzi, la scarsità dei generi anche di prima necessità (persisteva la tessera annonaria) e l’inflazione monetaria avevano aggravato ancor più la situazione. Pertanto, per combattere il mercato nero, aveva favorito l’apertura del Mercato del popolo dei fratelli Chiodo, il rifornimento del latte ai lattai, il mangime per gli animali a prezzo d’imperio e aveva assicurato alla città l’approvvigionamento del carbone vegetale, obbligando l’acquirente del taglio del bosco comunale (i Comuni) a vendere in Catanzaro tutto il carbone prodotto. Per la drammatica realtà aveva ottenuto, dietro lunghe insistenze, che la città venisse compresa tra i paesi danneggiati dalla guerra. Le incursioni aeree tra l’altro avevano rovinato le tubature idriche e quindi ridotto la portata dell’acquedotto Visconte, provocando così periodi di siccità nella stagione estiva. La carenza d’acqua induceva gli abitanti a utilizzare la sorgente di Tuvuleddhu che fungeva da abbeveratoio per gli animali da soma. Si era quindi ricorso ai lavori d’emergenza come la rimozione delle macerie (gli ultimi scheletri sarebbero stati rinvenuti durante la sistemazione delle fondamenta della galleria Mancuso), la riparazione dei selciati e basolati, l’ampliamento del Cimitero, in parte bombardato, con 140 loculi (ditta Galiano) e i primi aiuti ai senzatetto. Il problema dell’assistenza insoluto, quello della nettezza urbana cruciale e a proposito del mezzo di trasporto: “Vi fu un periodo in cui difettammo di assegnazione di carburanti e potemmo rimediare attingendo, malgrado le ironie dei puritani, al mercato nero, poi fummo in crisi per le gomme, poi per i pezzi di ricambio. Il servizio è così migliorato”.
Intanto a livello nazionale si formava il governo di coalizione sotto la guida di Ferruccio Parri con la partecipazione di tutti i partiti della liberazione, anche dei comunisti.
Togliatti da ministro della Giustizia diede il via ai processi sommari per gli ex capi fascisti rei di violenza e tra questi anche a quello degli 88 di Catanzaro, chiamato così dal numero degli imputati. Tra i giovani alcuni futuri professionisti nostri concittadini (Gimigliano, Paparo, Notaro, Giardini, Sestito, Gallarano, Trovato, Mauro, Greco, il diciassettenne Fiore Melacrinis). Secondo l’accusa si proponevano con atti terroristici e raccolte di armi di reprimere in Calabria il sentimento nazionale e di ricostruire il partito fascista. Tra i difensori: Marini, Casalinuovo, Pittelli, Cantafora, Caporale e il generale nonché avvocato Fiore Melacrinis. Il promotore sarebbe stato il principe Pignatelli dalle carceri di Padula. La sentenza fu severa, dai 10 ai 4 anni di prigione, fino a quando Togliatti, per evitare che si protraessero odi e vendette, concesse l’amnistia. La cittadinanza catanzarese, al di là di ogni colore politico, seguì con interesse l’iter, fiduciosa nella clemenza.
Intanto i contadini, penalizzati già da una forma di economia protezionista, erano stremati: i decreti Gullo (ministro dell’agricoltura) prevedevano la concessione delle terre incolte alle cooperative contadine ma gli agrari erano contrari. Si formò allora una commissione presieduta dal dott. Blasco con Massara in rappresentanza dei proprietari, Braga dei coloni e Fiore ispettore agrario delegato della provincia, acché si passasse alle procedure. I vantaggi furono esigui perché le semine e i raccolti erano privatizzati. Segni, succeduto a Gullo, impartì ai prefetti di non concedere terreni ulivetati e a ritirare quelli dati, qualora ce ne fossero. Non si realizzarono miglioramenti, tuttavia per la prima volta veniva scosso un sistema feudale. (Fausto Gullo, catanzarese del rione della Catena, iscritto al partito socialista, col congresso di Livorno del ’21 aveva fondato il partito comunista calabrese. Operò nel cosentino e fu definito il Ministro dei contadini. Da Ministro della Giustizia si batté per l’autonomia del potere giudiziario, parlò dell’uguaglianza dei figli legittimi e naturali, fu contrario al regionalismo). Così le sommosse dei contadini avrebbero provocato nel 1948 a Calabricata di Albi, oggi di Sellia marina, nel fondo Mazza, il ferimento di Giuditta Levato, madre di due figli, deceduta poi nell’ospedale cittadino. A lei sarebbe stata dedicata l’aula dei Consiglio regionale di Reggio Calabria. L’anno successivo ’49 nel fondo Fragalà dei baroni Berlingieri a Melissa venivano colpiti alle spalle gli occupanti in 11 minuti con 300 colpi di mitra. Morivano Franco Nigro di 26 anni, Giovanni Zito di 15, Angela Mauro di 36. Il processo non fu celebrato perché il caso venne archiviato.
Intanto si erano formati i primi partiti. Il popolo partecipava attraverso organizzazioni culturali, politiche e sindacali. Tra i sindacati di categoria la scuola col prof. Mauro Nicotra. Tra i relatori Nicola ed Antonio Lombardi. Il primo, massone, era presidente del Partito Democratico del lavoro, l’altro, suo figlio, in seguito alla morte prematura della promessa sposa, si era dedicato agli studi filosofici e religiosi, fondando il Centro Culturale Studium.
Il leader nazionale del M.S.I. fu il calabrese Giacinto Trevisonno di Reggio Calabria, poi nel ’47 Almirante. Ad organizzare il P.S.I. nella nostra città, dove già nel 1904 si stampava il giornale «Calabria Avanti» furono Enrico Mastracchi, Paolo Apostoliti, Severino Serrao e l’indimenticabile avv. Antonio Giglio, ai quali si sarebbero aggiunte persone di levatura intellettuale e morale come gli avv. Casalinuovo e Dominijanni e il prof. Riolo.
A Catanzaro, diversamente da altri centri specialmente del cosentino, il P.C.I. attecchì soltanto nelle classi meno abbienti. Ne fu fondatore l’ebanista Francesco Maruca (Mardef), arrestato nel periodo del regime per essere in possesso di libri sovversivi e ancora maltrattato dalla bassa manovalanza fascista. Convinto delle sue idee, nel corso di un suo comizio al teatro Italia, definì l’aumento del prezzo del pane un provvedimento disastroso invocando così un attento esame del carovita, causa di tanti tumulti. Di lui si diceva: “Maruca ‘u comunista da fama perdiu a vista” per indicare la sua dedizione al partito piuttosto che al lavoro. Quando poi convocato perché facesse i nomi di coloro che lo avevano perseguitato, tacque. Espulso dal Partito Nazionale, fondò il Partito Comunista Internazionalista e fondò il giornale «L’internazionale comunista», di cui fu anche direttore. Trovò proseliti tra gli artigiani nei fratelli imbianchini Parentela, l'intagliatore Montpellier, il muratore Saverio Rotella, il commerciante Igino Caligiuri e altri.
I giorni 23-24-25 novembre del ’45 si teneva nella nostra città il primo Congresso provinciale della D.C. De Gasperi ne fu il grande leader a livello nazionale: lasciò i comunisti al governo (contrastato da papa Pacelli) fin quando non fu ultimata la Costituzione (’47), per poi seguire la dottrina del presidente Truman acché l’Italia non fosse isolata dalla protezione statunitense. Già nel periodo fascista, nella riunione del 5 dicembre 1943, si era costituito a Catanzaro il Comitato provinciale con Vincenzo Turco presidente, Francesco Bova segretario, Renato Leonetti cassiere; i primi due realizzarono le loro aspirazioni politiche, mentre Leonetti moriva all’età di 24 anni in seguito ad una setticemia fulminante. Laureato in giurisprudenza, aveva lavorato presso la Camera di Commercio cittadina ed era stato il primo “reggente” della F.U.C.I. catanzarese. Tra i nomi dell’atto costitutivo: Ernesto Pucci, Gustavo Pavone, Gennaro Mottola di Amato, Francesco Colacino, Giuseppe Sciarrotta. Le riunioni si tenevano nella canonica della Chiesa di San Rocco da don Vero (là nacque il giornale «Idea cristiana») o nei locali dell’orfanotrofio Rossi, retto da Antonio Lombardi. Si formavano i comitati femminili.
La D.C. veniva appoggiata direttamente dalla Chiesa che combatteva il Comunismo ateo. Ancora echeggiava la frase: “L’Ebrei ammazzaru u Signura!”.
Legati alla Chiesa erano i democristiani: il bancario Alfonso Vitale, il dott. Raffaele Gentile e il dott. Filippo Vecchio (così profondamente cattolico che scrisse testi di riflessione sui Vangeli). Nel 1945 sarebbe sorto il partito liberale cittadino con Rauty, Giampà e Castagna. Paparazzo, Panaro, Agosto, e Mannarino organizzavano il comitato provinciale del partito repubblicano.
Nel 1946 si tennero le prime elezioni comunali. Sindaco Vincenzo Turco di Alessandro e di Angelica Varcasia. Tra gli eletti il dott. Colao, il dott. Cosco, Maruca che chiedeva l’abbassamento dei prezzi annonari, l’avv. Giglio che con la sua abituale schiettezza (verb. 2 dic. ’46) proponeva che la città di Catanzaro in qualità di centro regione fruisse di priorità, sollecitava così i lavori urgenti e si rivolgeva ai deputati calabresi perché affiancassero il Consiglio comunale e non appoggiassero i contributi per l’Alta Italia. Già la stampa sul foglio locale di Nord e Sud contrapponeva ai fucili di Reggio Calabria le mitragliatrici di Catanzaro. Ad allora risale la contesa per il capoluogo di regione. Si formava a proposito una commissione che non apportò soluzioni.
Tra gli eletti ancora una donna, Gesuzza Rizzo. Nata ad Albi, proveniva dalle file dell’Azione cattolica, aveva difeso a Roma il diritto di voto alle donne e si dedicava alle opere di beneficenza. Sarebbe stata la prima donna laica a insegnare religione in una scuola pubblica.
Ma il Sindaco rimase in carica meno di due anni, si dimise il 17 febbraio 1948 per presentarsi alle parlamentari, quando su 24 eletti in Calabria 12 erano avvocati. Nel biennio della sua carica i lavori avevano mirato alla riparazione dei tanti danni bellici. Era stato valorizzato il rione San Leonardo ex Ciano (le prime case costruite nel periodo fascista erano state quelle nei pressi del Conventino per i più poveri, poi in parte sfrattati per mancato pagamento e là un appartamento adibito a scuola elementare con la dimora dell’insegnante, poi la casa dei mutilati e le case per gli impiegati), ristrutturato il mattatoio e ancora ampliato il Cimitero. A quanto si legge nella relazione finale si mette in risalto il degrado della marina, dove le famiglie vivevano “nei sotterranei privi d’aria e di luce e nella maggior parte di gabinetti e di cucina con una promiscuità deplorevole”.
Nel 1941 l’elenco dei poveri aveva annoverato 2055 famiglie, negli anni successivi su 5000 famiglie aventi diritto ad aiuti, si andava incontro solo a 1443. Funzionavano le refezioni per gli adulti nei conventi delle verginelle poi ampliate per 500 utenti. Tra asili e orfanotrofi si seguivano 7000 bambini e altri 400 nelle colonie. L’U.D.I. di Torino faceva pervenire all’asilo Guglielmo Pepe indumenti usati per i bambini. Alcune persone s’interessavano di beneficenza distribuendo denaro che andavano racimolando presso alcune famiglie generose. Il macellaio Curcio delle Guccerie il giorno di San Giuseppe offriva il morzello nella pitta allestendo una lunga tavola.
Il mercatino della roba usata offriva capi americani da adattare. Il Comune, i Partiti, la Massoneria aiutavano le famiglie dei patrioti.
Si avvertiva il bisogno di cambiamento. Si cambiava il nome alle strade: Corso V. Emanuele diveniva Corso Mazzini, Villa Margherita Villa Trieste, via Bianchi via Indipendenza. La ditta Nicoletti nel 1947 accorciava le distanze tra i vari paesi col servizio Autobus, per cui ad alcuni giovani fu data la possibilità di continuare gli studi in città.
Con la riforma gentiliana era sorto il Liceo Scientifico, ubicato inizialmente alle Guccerie e poi spostato in via Lepera. Per il primo decennio, si limitò a una sola sezione di iscritti in quanto la vera cultura era considerata di formazione umanistica. L’Istituto Magistrale, trasferito nel ’39 nell’attuale edificio, accoglieva per lo più studentesse.
Vigevano le leggi fasciste e alle donne insegnanti venivano destinati i posti più disagiati. Venivano retribuite meglio qualora insegnassero in classi di sesso maschile. Gli studenti in prossimità degli esami di Stato per la ripetizione del programma di studio a prima mattina si recavano “a li centu metri” perché le case anguste non permettevano libertà di movimento. Veniva inaugurato il Rotary, circolo culturale, ritrovo dei professionisti della città.
Catanzaro si apriva al meglio. S’inaugurava la Fiera Campionaria nel 1948 alla presenza dell’ambasciatore statunitense, e l’anno successivo nella stessa occasione veniva eletta la bambina più bella: Fiorella Fera. Si formava una compagnia filodrammatica con gli attori Mimmo Rotella, Gigino Caiola, Armando Colacino, Manlio Ferro, Lina Binni, Marica Rizzo.
Il sindaco Bova e l’avv. Migliaccio, vicepresidente dell’amministrazione provinciale, riuscivano a far anticipare dalla Società appaltatrice del Dazio tre milioni per la salvezza della Catanzarese, locale squadra di calcio. Nasceva il Circolo di tennis presieduto dallo sportivo Nunzio Caroleo con un campo in cemento situato in Villa Trieste.
Al Politeama giungevano compagnie di teatro lirico, al Masciari si proiettavano film di ogni genere.
Alle prove del giro ciclistico della Calabria, moriva Sasà Giglio, il catanzarese che aveva vinto la Giardini-Taormina, e nel quale i concittadini avevano riposto tanta speranza.
L’onorevole Larussa riceveva dal sottosegretario alla Difesa Meda la notizia che a Catanzaro sarebbe sorto un campo sportivo a condizione che fosse consentito l’uso anche per le esercitazioni militari. Inoltre, dava un appezzamento di sua proprietà nella località di Madonna dei Cieli perché si costruisse un edificio atto a ospitare ciechi e invalidi.
Nel 1949 il Ministro dei Lavori Pubblici Tupini deponeva la prima pietra per le case popolari del quartiere Bellamena e dava 30 milioni al Sindaco per la sopraelevazione del palazzo comunale. L’anno successivo si programmava la costruzione di 800 alloggi I.N.C.I.S.
Intanto i governi postbellici compivano seri sforzi per integrare il sud. Furono spese somme ingenti perché si portasse in molti paesi l’acqua potabile.
La Cassa del Mezzogiorno si finalizzò a creare le infrastrutture per uno sviluppo industriale, con la legge del 1953 cercò di far fronte ai danni dell’alluvione, mentre con la n.117 del 1955 cercò di sistemare i corsi d’acqua ma non migliorò il sistema produttivo. L’emigrazione continuò.
Nel 1950 veniva varata una legge riforma per l’esproprio e la ripartizione del latifondo. (Furono espropriati 75000 ettari, e 10000 ettari erano stati precedentemente acquistati). Nasceva l’O.V.S. I progressi compiuti furono tuttavia di gran lunga inferiori alle aspettative perché divenne strumento nelle mani della D.C. Quando venne in Calabria il ministro Fanfani per rendersi conto del lavoro svolto dall’Ente, intuì di essere stato ingannato, in quanto nelle varie tappe gli allevatori presentavano lo stesso bestiame e questo lo dedusse da una mucca che aveva una macchia atipica sulla fronte.
Anche se nelle ristrettezze economiche si pensò di dare un assestamento urbanistico alla nostra città che, con la creazione di nuovi uffici, aumentava il numero degli abitanti. Il prefetto Randone scriveva all’allora presidente della provincia Fausto Bisantis una lettera in cui lo induceva a continuare a condurre le iniziative da lui intraprese per i servizi di trasporto e portava come modello Perugia, sede nella quale operava. Quindi si collegavano i centri periferici con l’utilizzo di autobus di linea e, poiché il comune (sindaco Bova) non aveva contanti per l’acquisto dei mezzi di trasporto pubblico, fece da garante il consigliere Eugenio Chiodo, concessionario dell’Alfa Romeo, poi fondatore della Banca Popolare. Fu abolita la tramvia.
Da rilevare che le nostre periferie a carattere agricolo non erano per niente progredite, sebbene ci fosse la volontà di attuare un nucleo d’industrializzazione che potesse far trarre vantaggi anche ai paesi vicini in una zona compresa tra Catanzaro Sala e Catanzaro marina indicata dal P.S.I., la proposta fu ostacolata dai democristiani e ancor prima dai fascisti. Si costruì da tutte le parti. Il piano regolatore Marconi (sindaco Morisciano) non fu realizzato per dare priorità alla costruzione di edifici scolastici.
La città si avviava con lentezza verso la ripresa: la popolazione riusciva a conseguire miglioramenti di vita soprattutto con l’istruzione. La professoressa Daffinà, del liceo classico Galluppi, organizzava una serata danzante allo scopo di raccogliere fondi pro-gabinetto di Scienze. Molti giovani, conseguito un titolo di studio, anche la licenza elementare, occupavano posti di lavoro. Nel 1951 la popolazione era di 59.959 unità.
I fratelli Brunk, venuti dalla Germania, pertanto controllati dalla polizia, avevano di tutto nella cartoleria e, sempre in maniche corte di camicia, anche nel periodo invernale, riuscivano a soddisfare le richieste di tutta la provincia nel totale disordine della mercanzia.
La vendita rateale migliorava la qualità della vita.
La passeggiata sul corso (“scupara u corsu”) dava la possibilità di osservare le vetrine eleganti dei magazzini d’abbigliamento Mazzocca, Curcio per le scarpe, della gioielleria dello svizzero Sandoz.
La vita scorreva semplice: il gustoso gelato da Giorgio, le paste da Colosi. Le signore benestanti si rivolgevano alla sarta Belmonte e alla modista Rotella (madre del pittore). Nella popolazione era viva la speranza di un futuro migliore.
Oggi è triste constatare che si sta ritornando a quel clima di povertà che non apre alla speranza che acuisce sempre più il divario tra ricchi e poveri”
Testata giornalistica registrata presso il tribunale di Catanzaro n. 4 del Registro Stampa del 05/07/2019.
Direttore responsabile: Enzo Cosentino. Direttore editoriale: Stefania Papaleo.
Redazione centrale: Via Cardatori, 9 88100 Catanzaro (CZ).
LaNuovaCalabria | P.Iva 03698240797
Service Provider Aruba S.p.a.
Contattaci: redazione@lanuovacalabria.it
Tel. 0961 873736