di VITALIANO NISTICÒ
Si creda di ben conoscere il senso degli appelli solo per opporsi alla probabile istituzione di un corso di Laurea di medicina a Cosenza, eppure, nel caso in specie, si potrebbe "voler" competere in libera scelta poichè "nulla osta"? Prendiamo in essere la realtà catanzarese affaticata e stanca nel mantenersi eretta sin da un triste ventennio, spopolamento continuo e incerto segnale di ripresa socio-economica, basta questo dato per comprenderne che il quadro "clinico" non è affatto clemente.
Resta, dunque, così chiara la fotografia che, nello stesso, non ci impaurisca, anzi, stimoli, sopratutto, i governi centrali a pronunciarsi e non solo prenderne atto, poiche' qui a Catanzaro, città così tardiva negli sviluppi, si continua a discutere, usando magari "virgolettati" appelli e usuali reunion di palazzo, mentre sfugge ogni coinvolgimento di risorse umane, quale importante obiettivo di lustro per una popolazione scarsamente partecipe.
Eppure le conseguite specializzazioni dei catanzaresi in campo professionale raggiungono notevoli traguardi, dovendo, almeno, considerare che esista un dato certo, contro lo sbiadire delle proprie ambizioni che ancora sospese, sanno di giovani promesse costretti a lasciare il centro sempre più "nevralgico" tra inerzia e lascivo intendersi.
Ecco che il fare duramente impresa sulla dislocazione dal capoluogo di Enti storicamente presenti, ne frammenta continua il passo isolandoci così inevitabilmente, facendoci avere che un risultato contrario all' interesse collettivo che non prevederebbe tale sorte.
Si adopera spesso il campo mediatico per risaputa insurrezione, ne prosegue, ovviamente, una conta di danni ingenti con sollecito al neo consiglio comunale: aprite le porte anzi i portoni, di fabbricati fatiscenti, di costruzioni abbandonate, poi strade dissestate e senza progettualità di una celere bonifica, un disastro che prevale sullo sviluppo, quando i Catanzaresi si vedono estirpare cio' di cui si parla solo e soltanto, vedi la travagliata sanità, che non fa sconti neanche ai sofferenti! Ci sarà, forse, la rivoluzione di un popolo?
Chi potrebbe farla partire, i suoi stessi rappresentanti, magari, con a capo la guida e non la coda, per una lunga fila di gente provata, tutti compresi in quel lontano dopoguerra.
Resilienza, solo questo pare sia rimasto nel cuore buono di un capoluogo, vittima immolata come massima di una tradizione emersa dai testi di storia locale, ove i disservizi neutralizzano, ancora oggi, le cose "vere" lasciate dai nostri padri, dopo lunghi anni di fatica e mestieri illuminati, così poco, dunque, adoperabili.
La "ricetta" del recupero di un tessuto sociale ferito come il nostro, spetta a chiunque volga con crescita primaria e consolidata risultanza sociale, ammettendone la riqualificazione "intelligente" del capouogo calabrese, altrimenti, permarranno sterili tutte le solite "indicazioni".
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