di EDOARDO CORASANITI
Le premesse erano diverse: quasi cento capi di imputazione, 50 imputati, fiumi di pagine di giornale e qualche troupe televisiva scomodata al tempo dell’inchiesta. Il risultato, un po’ più magro: 5 condanne, 42 assoluzioni e tre non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Sono i numeri di “Catanzaropoli- Multopoli”, maxi-indagine della Procura di Catanzaro che segnava in rosso le accuse di associazione a delinquere, peculato, truffa, abuso d’ufficio, turbata libertà degli incanti e falso nei confronti di politici, imprenditori, funzionari pubblici, vigili urbani e professionisti del capoluogo calabrese.
Sotto i riflettori una presunta gestione poco chiara del Comune di Catanzaro tra supposti illeciti legati all’annullamento di contravvenzioni per violazioni del Codice della strada (“Multopoli”) e un’attività amministrativa che avrebbe visto omesse verbalizzazioni degli abusi edilizi, agli straordinari di un prolungato (e privilegiato) servizio di vigilanza notturna, l’uso di sim assegnate a fini istituzionali e usate per telefonate personali (“Catanzaropoli”). Un pacchetto lunghissimo di accuse che ha bollato “Palazzo de Nobili” come il “Palazzo degli ignobili”, fatto di vigili urbani utilizzati per scopi privati, appalti affidati a consiglieri comunali, sanzioni cancellate agli amici dei politici e ancora truffe ed estorsioni. Due fascicoli separati ma che poi finirono nello stesso binario e sullo stesso treno.
Catanzaropoli-Multopoli, la sentenza: 45 assoluzioni e 5 condanne (I NOMI)
Era il 2014, i tg di mezza Italia arrivano a Catanzaro per raccontare la storia del vero “Cetto La Qualunque”, il soprannome che un giornale molto attento alle sensibilità delle Procure diede a Massimo Lomonaco, ex assessore al Personale del Comune di Catanzaro, accusato di 19 capi di imputazione e scagionato “perché il fatto non sussiste” dai giudici del Tribunale di Catanzaro. La vicenda che agitò il vento dello scandalo fu l’accusa per cui avrebbe utilizzato il suo ruolo politico e la scheda telefonica comunale per agevolare l’iter burocratico di una carta d’identità di una escort in cambio di prestazioni sessuali. Il loro volto ha fatto il giro di tutte le redazioni calabresi e italiane, con i cronisti più spavaldi andarono a citofonargli a casa, un vero show televisivo. La Procura voleva condannarlo a 6 anni e 11 mesi, il tribunale lo ha assolto. Non ci sono reati, se ne facciano una ragione gli inseguitori di scheletri.
Stesso destino (10 capi di imputazione) per Stefania Lo Giudice (richiesta: 4 anni): ex assessore del capoluogo, finita nel tritacarne del processo mediatico dove tutti sono colpevoli, non c’è contraddittorio e fatti, intercettazioni e vita privata sono mescolati per comporre una fotografia sbiadita. In Comune entrambi non ci fecero più ritorno, fine della carriera politica.
Assolto anche il sindaco Sergio Abramo (la Procura aveva chiesto l’assoluzione), accusato di abuso d’ufficio; come il primo cittadino, non colpevole anche l’ex consigliere comunale Carlo Nisticò e il maresciallo Antonio Celi. Non luogo a procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di un consigliere comunale dell’epoca, Rosario Lostumbo.
Il teorema accusatorio ha retto solo per una piccola porzione del grande castello accusatorio (durante la requisitoria l’ufficio di Procura ha chiesto 29 assoluzioni e 22 condanne): il Tribunale ha condannato a 8 mesi il comandante dei vigili urbani, Giuseppe Antonio Salerno (richiesta della Procura: 3 anni e 6 mesi), 3 anni per tenente colonnello dei vigili urbani Salvatore Tarantino (richiesta della Procura: 8 anni), 1 anno e sei mesi per l'ex consigliere regionale Domenico Tallini (richiesta della Procura: 1 anno e 6 mesi), imputato in qualità di ex consigliere comunale. Condannati a 8 mesi Luigi Veraldi e 1 anno al carabiniere Antimo Paternenuosto.
La lettura del dispositivo però consente di dare una visione più completa e attenta dell’intera cornice. Perché, ad esempio, Salerno è accusato di 24 fatti che la Procura avrebbe etichettato come reati. Per 23 di queste è stato assolto con formula piena, per una sola vicenda (relativo ad un preavviso di un verbale) il collegio presieduto da Alessandro Bravin ha scritto la parola colpevole. L’accusa iniziale parlava anche della sua patente rinnovata senza i dovuti controlli: assolto.
E se per sei episodi Tarantino è stato condannato, per altri 40 invece il Tribunale non ha individuato la responsabilità penale. Ex consigliere comunale ed ex assessore regionale, tra i condannati c’è anche Mimmo Tallini. Anche qui, su sei capi di imputazione, il Tribunale ha assolto per quattro e condannato per due: il fatto non sussiste.
Le motivazioni della sentenza emanata dal Collegio composto da Alessandro Bravin, Maria Cristina Flesca e Francesco Illiano, verranno depositate tra 90 giorni. Momento in cui le difese e l’accusa potranno leggere le argomentazioni logiche e giuridiche che hanno condotto al dispositivo di venerdì scorso per poi valutare il ricorso in appello e provare a cambiare l’esito di un processo che ha già fatto molto parlare di sé. Anzi, le indagini hanno fatto rumore: delle sentenze, soprattutto di assoluzione, come al solito, ce ne ricordiamo un solo giorno.
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