di FRANCO CIMINO
Per un anno intero, quest’ultimo della drammatica pandemia, due persone belle, moralmente più autorevoli pure dell’alta personalità da loro rappresentata, hanno parlato con accenti gravi della responsabilità che incombe su di noi e sulla Politica in particolare. Anzi, sui politici in quanto persone, perché nei momenti cruciali della storia la responsabilità individuale si circoscrive alla singolarità della persona prima che al ruolo civile ricoperto. Il primo, Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, parlando agli italiani ha parlato a tutti gli uomini del mondo. Il secondo, Papa Francesco, parlando a tutti gli uomini del mondo ha parlato agli italiani. Uno per uno, volto per volte, nome per nome, entrambi. “Davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato, ricordo che «la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad accogliere questo dovere in un progetto di Nazione» e ancora di più in un progetto comune per l’umanità presente e futura. Pensare a quelli che verranno non serve ai fini elettorali, ma è ciò che esige una giustizia autentica, perché, come hanno insegnato i Vescovi del Portogallo, la terra «è un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva» Sono le “ sante” parole di Francesco. “ Sentite quanto sono belle. Vere.
“Mi permetto di invitare, ancora una volta, a trovare le tante ragioni di uno sforzo comune, che non attenua le differenze di posizione politica né la diversità dei ruoli istituzionali. Le sofferenze provocate dalla malattia non vanno brandite gli uni contro gli altri". E ancora: “Perché, con una pandemia in corso, la festa della Repubblica quest'anno più che mai "interpella tutti coloro che hanno una responsabilità istituzionale - a partire da me naturalmente - circa il dover di essere all'altezza" del dolore, della speranza e del bisogno di fiducia scaturiti in questi mesi.” E ancora:"C'è qualcosa che viene prima della politica e che segna il suo limite: qualcosa che non è disponibile per nessuna maggioranza e per nessuna opposizione: l'unità morale, la condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l'uno dell'altro. Una generazione con l'altra. Un territorio con l'altro. Un ambiente sociale con l'altro. Tutti parte di una stessa storia. Di uno stesso popolo". Sono le parole “ sante” di Sergio Mattarella. Parole inascoltate. Dodici mesi in cui, invece, in direzione contraria si sono mossi gli uomini, e gli uomini politici, in particolare. Nel mondo, nazioni, separate e quasi in conflitto, fra di loro. In Italia, partiti l’uno contro l’altro, nella maggioranza e nell’opposizione. E, poi, ancora, maggioranza e opposizione. Gli uni contro gli altri, senza soste.
Di più, le singole persone, rose vicendevolmente da invidia, rancore, spirito di vendetta, gelosia, ambizione sfrenata. E presunzione. Soprattutto della propria singolare centralità nell’universo. Gli ospedali erano strapieni, gli operatori sanitari lavoravano ventiquattr’ore al giorno, per settimane, senza mai fare ritorno nelle proprie case, per salvare quante vite umane sarebbe risultato possibile, subendo, per il lungo tempo delle terapie intensive insufficienti, il doloroso dramma di dover scegliere chi tentare di salvare e chi no, e i nostri politici si dividevano ferocemente, impegnando il Parlamento in inutili discussioni, talvolta riducendolo a teatro volgare di risse vergognose. In pieno pericolo di una terza ondata, più temuta anche per le note varianti di cui il virus “ intelligentemente” si dota, viene aperta una crisi di governo ritenuta inutile, evitabile e in tempo correggibile, anche nella lontana Papuasia. Mentre Francesco continuava a parlare-anche a noi parlando al mondo-della necessità della Politica quale luogo di incontro per il superamento delle sofferenze dell’uomo unico centro della sua attività creatrice, Sergio tentava instancabilmente di risanare quelle rotture, mediando fra tutte le forze in campo per trovare in tempi rapidi un governo che non perdesse un solo minuto, con i vaccini ancora fermi nei frigoriferi, le regioni nel caos totale e le persone che, al numero di cinquecento al giorno, nella più atroce solitudine ancora moriva. Fatica inutile, tempo perso, giorni bruciati come carta velina. L’odio, il rancore, l’ambizione incontenibile nella folle esternazione del proprio super io, moralmente più mediocre delle intelligenze che lo esprimevano, hanno prevalso sul dramma più pesante che gli italiani hanno potuto vivere dal dopoguerra, lasciando il Paese nel rischio crescente di un suo isolamento in Europa e quello conseguente di perdere parte dei 209 miliardi già ottenuti dalla Comunità Europea. Giunti a quel punto, Sergio, fermamente deciso a non trascinare nel baratro, anche “elettoralistico”, l’Italia, compie un atto non solo necessario ma politicamente determinato. Lo fa con una lezione morale di una grandezza tanto incommensurabile quanto non compresa dagli attori a cui era prevalentemente diretta. Non solo nomina il secondo Mario nella storia recente della crisi della politica, quel Draghi (dopo quel Monti tristemente ricordato per la politica “ lacrime e sangue”, impostaci con la scusa di salvarci dalla bancarotta), che nella sua stessa figura e storia personale rappresenta la più dura punizione per questo ceto politico litigioso e incapace, anzi litigioso perché incapace. Ma fa di più. Sergio fa precedere e accompagnare quella decisione con un discorso tra i più duri che si sia, da una sede così solenne, mai potuto rivolgere alla politica tutta. Neppure ai tempi di Sandro Pertini lo si è avvertito così forte. È vero che Sergio, come da suo costume e cultura, carattere ed educazione, lo rivolge con toni pacati e linguaggio fine, ma i contenuti sono duri. E molto.
Giungono a destinazione come una condanna inappellabile. E la nomina dell’ex governatore della Banca d’Italia e d’Europa( l’uomo forte ma aspramente criticato in passato per via proprio di quei rapporti internazionali oggi, invece, considerati rafforzativi del suo prestigio e del suo “ potere”)rappresenta chiaramente il commissariamento di tutta intera la politica italiana. Si sarebbero dovuti tutti vergognare e umilmente scusarsi. Quantomeno mettersi da parte e lasciar fare un governo del Presidente, che in soli due giorni sarebbe entrato in attività con il carico di quelle responsabilità e competenza, che erano mancate totalmente, tranne poche eccezioni, Conte sopra tutte, alla politica di questi ultimi anni. Invece, accade l’esatto contrario. Al grido unanime di Draghi l’eroe dei due mondi, il Superman imbattibile, il santo dei miracoli, il salvatore della patria in quanto avrebbe salvato in un solo colpo l’euro, la BCE, le banche tutte, l’Europa intera e la pace nel mondo, tutti sono corsi a dirsi disponibili a realizzare quell’unità che hanno spezzato nella bocca di Francesco, il Papa, e di Sergio, il Presidente, che l’hanno invano invocata.
E dalla politica, per il suo rilancio, l’avrebbero voluta realizzarsi. Tutti con Draghi. E con letizia. Avrebbe potuto essere bastevole tutto ciò. Un amore improvviso al posto del calesse, ci stava pure. Siamo un popolo di navigatori, di romantici e non sempre di azzardosi trasformisti. Ma poi, immediatamente dopo, tutti quelli, partiti e persone, che si sono insultati e odiati, fisicamente aggrediti, con i loro luogotenenti, nelle aule del Parlamento, quelli che hanno giurato solennemente che “mai con quello lì”, dichiarano di essere disponili a mettersi insieme, per lavorare fianco a fianco nell’interesse del Paese. Addirittura, tutti uniti a quel famoso fiorentino, che, dopo aver provocato la crisi di governo e precedentemente odiato la Lega e attaccato il PD, che lui stesso aveva diretto, appare come il grande stratega che, scompaginando i più brutti giochi, avrebbe inventato il governo salvifico Draghi. Anche questo ci sta. Siamo un paese “ creativo” che a forza di creare trasforma i sette nani in giganti e il lupo in Cappuccetto Rosso. Ma quando il non politico di professione, Draghi il migliore, viene trasformato in politico di mestiere, costretto, in pieno Covid, a fare più di una settimana di incontri con i partiti e tutto il resto delle classiche consultazioni della vituperata prima Repubblica, per “ imporgli” un governo misto tecnici-politici, perché senza visione politica non vi potrebbe essere un governo buono, beh, la crisi della politica riprende a puzzare di un qualcosa che sa di lottizzazione partitica, di caccia al potere, di conservazione per i nuovi notabili di quei vecchi privilegi che la stagione del predicato rinnovamento avrebbe già da tempo dovuto cancellare.
Tuttavia, conoscendo i personaggi in commedia, anche questo si potrebbe sopportare, tanto gli italiani, sfiniti di povertà e paura, incassano ogni cosa oggi più di ieri. Ciò, però, che a tutte le persone sensibili non può risultare sopportabile, è quando tutto questo trasformismo e trasversalismo e opportunismo, egoistico e becero, viene fatto passare come alto senso di responsabilità verso l’aggravarsi dell’emergenza socio-economica-sanitaria che vive l’Italia. A me personalmente questa situazione rimanda a quel famoso sketch televisivo in cui un grandioso Massimo Trosi, turbato dal tono severo che il presidente Pertini usava, guardando fisso nel teleschermo, per la sparizione dei fondi per il terremoto del Belice, alla sua insistente domanda “ chi ha rubato i soldi della ricostruzione?”, rivolto al povero vecchio padre che gli stava seduto accanto, dice, preoccupato e umiliato:” papà, ma fuss stat tu a fa’ sta fesseria?” E qui mi fermo.
È tardi, si sta facendo notte. Domani, quando tutti canteranno felici per il varo del primo governo salva patria, diremo qualcosina di più. Naturalmente, anche il nostro auspicio, sin d’ora, è che il nuovo presidente del Consiglio, sia davvero nuovo nella sua azione di governo. E che salvi il nostro Paese e l’Europa. Chissà che i miracoli in politica non esistano davvero!
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