Cimino: “Donne, sentimenti, pandemia”: Catone e Procopio, letteratura e teatro a Soverato

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images Cimino: “Donne, sentimenti, pandemia”: Catone e Procopio, letteratura e teatro a Soverato
Franco Cimino
  03 maggio 2025 21:50

di FRANCO CIMINO

Non era facile riempire un teatro alla vigilia di una festa importante per un lungo ponte primaverile. Un teatro piccolo ma importante. Bello. Una bomboniera di cristallo. In una città piccola e importante, che nelle sere del sabato sera, anche se questa era mercoledì, è piena di vivacità mondana. E con una folla straripante in ristoranti e trattorie sempre pieni, come la piazza e il lungomare. E i luoghi di ritrovo e di divertimento, soprattutto giovanile. Il teatro è quello di Soverato. Soverato è la bella città ricca ancora di bellezze, nonostante i danni subiti in tantissimi anni tra urbanizzazioni aggressive e incolta concezione della città e del suo ruolo lungo il mare più bello, lo Ionio. Non è grande e imponente come il Politeama di Catanzaro, quel teatro, però è capiente e armonico. Delicato. Questo teatro ieri era pieno. Coperto in ogni posto. E di spettatori attenti e generosi con se stessi. E con gli attori, applauditi più volte durante la rappresentazione. Per poi, darsi a un’autentica acclamazione alla fine della stessa. In particolare, quando sono saliti sul palco il regista e l’autrice del romanzo breve, che ha ispirato la commedia messa in scena Non era facile che questo si verificasse. Ma è avvenuto. Non era facile portare in scena una commedia su un tema non facile oggi da trattare. La gente ancora è prevalentemente stretta fra due emozioni forti. La prima è la paura per quanto sta accadendo nel mondo, con riflessi inevitabili in ogni altra realtà, compresa la nostra. Quella italiana e quella locale. Paura delle guerre, a due passi da casa. Paura delle distruzioni e delle devastazioni. Delle morti e dei dolori che queste, tanto ingiuste e cattive, procurano a chiunque abbia un poco di sensibilità. Paura della crisi economica. E di questi strani processi dell’economia mondiale e nazionale, che nel corso di un lungo decennio impoveriscono sempre più le famiglie italiane, accentuando la preoccupazione degli adulti per il futuro dei giovani, tutti nostri figli. L’altra emozione è quella di difendersi, come fa la mente umana ad ogni trauma o tormento o angoscia,rimovendo fatti dolorosi che li procurano. Ovvero, allontanandoli per quanto possibile dalla propria quotidianità. Lo sforzo compiuto dalle persone, faticoso, è stato quello di rimuovere la tragica lunga stagione del Covid.

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Diciamolo con franchezza, che forse ce ne siamo liberati tanto frettolosamente da non aver conservato, per interiorizzarlo, il sentimento positivo che da quella vicenda tragica sarebbe potuto emergere, la solidarietà continua. E l’abbandono di ogni egoismo nella forza nella volontà di restare uniti per combattere le altre battaglie per la vita. La libertà. Il progresso. Non era facile per chiunque trattare questo tema. Non era facile scriverne, soprattutto, fuori da sterili sociologismi e “politicismi”, in modo tenero, leggero, affettuoso. Non era facile portarlo, il Covid, sulle quattro tavole di un teatro. E farne una commedia snella, elegante, semplice nel linguaggio. E nel contenuto.” Orecchiabile”, se fosse una canzone. Non era facile, invece, che è una canzone, in dialetto nostro, orecchiabile appunto, venisse inserita quasi come elemento centrale della commedia. Non era facile che si parlasse della speranza. Non solo rinascente, ma mantenuta in quegli spazi di vita quotidiana in cui , in un’unica scena teatrale si svolge la vita di tre famiglie e di dieci persone e con i bambini resi protagonisti quali soggetti da salvare in quel lungo tempo di chiusura nelle case e di dolore per le morti che a centinaia al giorno venivano registrate. Mai un cambio di scena, ieri sera. E non è facile far scorre a ritmi intensi una narrazione apparentemente semplice, mantenendo il linguaggio semplice che è dell’autrice del libro. Linguaggio semplice e contenuti complessi tradotti in semplicità da una penna semplice. Ché della Donna, con la maiuscola. É della Mamma. Con la maiuscola. É della Maestra. Con la maiuscola. Tutte figure che pur se colte e nutrite di sane letture, anche profonde, parla con semplicità. Per farsi comprendere e far comprendere a chi le ascolta ciò che Politica, Sociologia, Dottrine religiose e filosofiche, volutamente rendono difficile. E perché ancora oggi i “ colti” vogliono essere riconosciuti tali dalla inaccessibilità del loro linguaggio. E perché la cultura dominante vuol rendere difficile e complesse la comprensione della realtà, che è sempre semplice. Elementare. Non si sa mai, direbbero i primi e i secondi, che la gente pericolosamente capisse. E la pacchia di rendita di potere finisse. Il regista, lo sceneggiatore, il traduttore del libro in teatro, nella formula, da noi quasi inedita di Cine-Teatro, sono stati coraggiosi nell’impresa Covid oggi dalla dimenticanza collettiva. Ma lo sono stati di più nel mantenere , anche nei dialoghi, la semplicità e l’asciutezza del linguaggio narrativo dell’autrice. Asciuttezza, che non è solo la tecnica scrittoria usata e studiata, secondo il pensiero della moderna scrittura, che sulla spinta delle case editrici, si vuole breve ed “ economica”. Ché già i libri si vendono poco e ancor meno si leggono se si è costretti, non pochi, a comprarli. Ma asciuttezza, questa, per lasciare più spazio ai sentimenti. Soprattutto, quelli tra loro contrastanti, invidia, gelosia, timidezza, passione, fedeltà , infedeltà, tradimento, lealtà, voglia di “ uscire” ( dalla propria condizione) e necessità, quando non obbligo, di restare. Tutti . Nessuno escluso. Anche l’unica coppia, nella commedia e nella vita, composta da un uomo e una donna bellissimi. E anche bravissimi nei personaggi interpretati, marito e moglie. Tutti, nessuno escluso, prigionieri di sé stessi. Non della pandemia e delle sue rigide regole, che tra l’altro sono state, in quell’unica scena, pienamente e “ simpaticamente “ aggirate. Non solo per economicità dell’intera rappresentazione)Tutti, forse, incastrati in quell’ipocrisia “ sociale” che obbliga a recitare nel quotidiano più parti nella triste, oggi, commedia della vita oggi. L’autrice del libro e il regista, in piena sintonia, in questa attività, assai rara hanno sciolto e la domanda del “ dove andiamo “ quando finirà questa tempesta? E la stessa ipocrisia obbligante fino a quel momento. La scelta, trattandosi di coppie, non è l’Amore, che avrebbe lasciato il dubbio che quella doppiezza e quella ambiguità, sarebbero state aggirate come le norme Covid. Ma è la speranza. Teresa Catone, l’autrice di “ Donne, Sentimenti e Pandemia, iI regista, Franco Procopio, due princìpi diversi, a Soverato, della sera del Teatro, hanno indicato la Speranza, come l’unica vera forza che può aiutarci, nella società di cui non possiamo non far parte, ad uscire dalla crisi che si sta prolungando sulle vite delle persone e della società. La Speranza é il primo anelito di vita di questa dura contemporaneità. Come, per chi sta sott’acqua in apnea è il primo respiro al riemergere che lo salva. Il resto da lì verrà dopo. E sarà bellissimo. Teresa Catone, la Signora di quella serata, la nota scrittrice e poeta, e Franco Procopio, il signore del palcoscenico, pure lui conosciuto anche fuori dalla Calabria per la sua capacità di guidare e farsi maestro di teatro. Con loro tutti gli attori e le attrici, bambini compresi, che non posso elencare in questa riflessione, non solo perché sono tanti e tutti bravissimi. Ma perché desidero dire di loro a una prossima scrittura specifica. Grazie a tutti. Al Comune anche pres per la diretta partecipazione, anche in sala con il Sindaco e numerosi assessori. Mancava soltanto Emanuele Amoruso, il loro Lele. Una mancanza che si è sentita.

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