di FRANCO CIMINO
Io non amo la pubblicità e non la considero l’anima del commercio. Sempre più che sia stato utilizzata negli anni, essa appare una forzatura rispetto a ciò che si vuole promuovere, un prodotto, un’idea un progetto. Anche una posizione politica, come ormai di consuetudine visto che i politici oggi parlano a slogan, piccole frasi fatte. Quasi copiate da qualche parte in cui si stampano parole che quei bei signori non saprebbero neppure scrivere o mettere insieme per farne una frase compiuta. Ad effetto. E, però, c’è una propaganda che mi è piaciuta molto. E non perché riguardi i colori della mia squadra del cuore, il Catanzaro. Mi è piaciuta perché è proprio bella e incisiva. Contiene tante cose, che chiunque la legga può concepirle quali proprie, sentimenti, idee, propositi, impegni. Promesse. E giuramenti, appunto. Lo slogan è questo: “L’ho giurato da bambino che ti starò sempre vicino.” È. servita, questa frase, per stimolare lo spirito già a carico di affetto dei nostri tifosi. E anche per promuovere la campagna di abbonamento, che è andata molto bene. In fondo il tifo, quello vero è pulito, pacifico e gentile, è una specie di fede. Un giuramento che la difende e la sostiene in qualsiasi situazione. Anche quelle quella più avversa.
Io ho fatto un giuramento analogo a cui non sono mai venuto mai meno finora. L’ho fatto ad inizio dei miei ventun anni. Erano, allora la data più bella perché apriva le porte alla cosiddetta maggiore età. E a tutte le gioiose responsabilità ad essa conseguenti. La prima, la più grande, la più bella è quella del diritto al voto. Diritto al voto, sottolineo. Uno dei più importanti diritti, poiché più di altri contiene sommamente il dovere. Diritto al voto significa dovere verso il voto. Il voto, quale diritto-dovere, contiene la responsabilità. Quel valore straordinario, che si qualifica come Persona e come Cittadino. La responsabilità di scegliere. La responsabilità di decidere. La responsabilità di rispondere personalmente della decisione. Risponderne personalmente, significa non scaricare la forza di quella decisione e neppure l’onestà di doverla assumere personalmente invece che astenersene. Invece che delegare ad altri quel mandato. Votare, pertanto, è un diritto bellissimo. Una cosa straordinaria, tanto bella che la mano mi trema quando prendo la matita per segnare la mia scelta. Scelta mia. Totalmente mia, orgogliosamente mia. In quel momento in cui io mi sento solo e solo con me stesso in una cabina,il voto mi fa sentire in una immensa piazza insieme a milioni di persone come me. E ad altri milioni, che nel mondo non hanno la gioia di godere di questo diritto-dovere. È per questo, è. soprattutto per quella gente, che io il giorno del mio primo voto, ho giurato a me stesso che sarei andato sempre a votare. Che mai avrei disertato le urne. Che mai anche avrei deposto una scheda nulla o bianca. Che sempre avrei trovato il modo di esprimere una scelta. Ché esponsabilità vuole che si arrivi al seggio elettorale preparati. Consapevoli. Responsabili. Il giorno del mio primo voto, quello del raggiungimento felice della mia maggiore età, coincideva con lav terribile stagione di miserie e di lutti, di incatenamenti e imprigionamenti, di sparizioni e di uccisioni di uomini e donne. Tutti violentati nella persona e nelle libertà da parte di regimi autoritari e fascisti. Dalla Grecia alla Spagna e al Portogallo, per l’Europa, ai paesi dei regimi comunisti per l’altra Europa, quella dell’Est, ai più importanti paesi dell’America latina, Brasile, Cile, Argentina, in testa , regimi dittatoriali anno impedito, quale primo loro atto, il diritto al voto. Ché chiuse le urne, sigillate le cabine elettorali, distrutti i seggi, sarebbe stato più agevole, chiudere le biblioteche, bruciare i libri, sigillare le piazze. Silenziare la politica. Trasformare in “bivacchi” i Parlamenti, tappare la bocca ai giovani pensanti e agli oppositori. Impedire il voto era, soprattutto, propedeutico a tutto questo, non soltanto un dispetto alla Democrazia, in quel momento e da quel momento già cancellata. Io giurai quel giorno, quel mio bel giorno fortunato che ogni volta che mi sarei recato alle urne sarebbe stato anche per loro. Per quei giovani che non avrebbero potuto votare. Non avrebbero potuto godere della mia gioia. Dico con orgoglio che non sono mai mancato, dico mai, alle urne, per alcuna competizione elettorale. Fosse stata anche quella delle circoscrizioni della mia città. Ne sono talmente orgoglioso che se qualcuno anche oggi mi domandasse, come tante volte hanno fatto altri , soprattutto i miei ragazzi della Scuola, quale fosse la mia migliore attività, la cosa che più mi fosse piaciuta aver fatto, risponderei sempre allo stesso modo: “ Ho votato, ho sempre votato. Anche perché farlo è uno dei primi atti di rispetto delle istituzioni, le colonne della Democrazia, i custodi privilegiati della Libertà.” Domenica, pertanto, andrò a votare. Con Gioia e dispiacere insieme, ci andrò. Gioia per la gioia che provo nella felicità che mi è consentita nell’esercizio del voto. Dispiacere, perché registro sempre una maggiore debolezza delle urne. E non solo perché sempre crescente è il numero di chi non va a votare, quanto perché la maggior parte di chi vi si reca ci va con insoddisfazione, con quel senso di frustrazione che si scioglie nella domanda se è ancora utile votare. E per che cosa. E per chi. La politica odierna è debole della sua stessa debolezza. Essa è determinata progressivamente dalla mancanza di idee e dallo svuotamento degli ideali, quello scrigno prezioso in cui si depositano i sogni e le speranze dei giovani. E la storia esaltante e le lotte grandi, degli italiani. La gente avverte, purtroppo, sempre di meno il pericolo che, indebolendosi quell’istituto che contribuisce a dare forza all’idea di popolo e all’unione degli italiani in esso, il voto sia un orpello burocratico di uno Stato sempre meno democratico. Il cittadino sente con maggiore sofferenza che il diritto a votare, non costituendo più lo spazio della libera decisione dei cittadini, contrasti, ovvero ipocritamente si porrebbe dinanzi alla negazione dei diritti fondamentali dei cittadini. Ne sottolineo alcuni. Quelli che mi sembrano i più sentiti. E, cioè, il diritto alla cittadinanza europea, quella che consente a ciascun abitante questo continente di sentirsi europeo. E cittadino del mondo, che attraverso l’Europa quale istituzione politica, contribuisce alla Pace. E in essa agli elementi che la garantiscono, quali l’eguaglianza, la giustizia, la parità delle condizioni. E il diritto di costruire la ricchezza complessiva potendone, sul terreno politico, godere insieme agli altri secondo il rapporto inscindibile bisogni e sogni, necessità e capacità. Il diritto al Lavoro quale spazio nel quale realizzare le qualità della persona. La sua capacità creativa, la sua fatica dignitosa. La sua capacità anche di contribuire al miglioramento della società attraverso la buona qualità del Lavoro. Qualità che sia fatta di orari e paghe dignitose, di riconoscimenti morali e materiali del valore della persona all’interno del lavoro. Del valore inalienabile della sua dignità di persona che il lavoro usa esaltandolo. E non che da esso, per le mani dei ladri di lavoro, reso schiavo e impotente, dipenda e dinanzi a chi si sente padrone di tutto soggiaccia. Lavoro, qualificato e qualificante, paghe e non mance. Ambienti di lavoro salubri e non topaie, orari di lavoro compatibili con i diritti della persona. E segnalo come terzo ciò che non è un diritto, ma la difesa dell’essenza prima della vita. E della persona. E, cioè, la Libertà. La Libertà è l’anima di tutte le cose, la forza che costruisce gioia e bellezza sempre. La Libertà, la vita che dona la vita, ancor prima che essa fisicamente nasca. Ché Libertà viene prima di ogni vita..Come Dio, per chi ha fede. Come la suprema Ragione o luce dell’intelletto, per chi non crede in altro se non nell’uomo. Questi temi così sensibili sono incredibilmente nella scheda dei cinque quesiti referendari. A pensarci, come ho fatto io, sembra che i promotori del referendum abbiano studiato attentamente queste cose e che lo scopo dello stesso sia, più che annullare quelle leggi, l’occasione per far discutere intorno a quei principi quasi dimenticati. Di certo, mortificati. Principi che io continuo a denunciare essere da anni, non solo questi ultimi tre, in serio pericolo. Per questo mio sentire aggiuntivo, io Domenica andrò a votare. E con determinazione. Con responsabilità rafforzata. Andrò a votare ad occhi chiusi e a mente aperta cinque Sì. Il Sìmal referendum è sempre un voto comunque di prudenza e di tutela. Perché abrogare una legge, quale che sia, anche se la scelta non fosse la più giusta, o la più consapevole e chiara,consentirebbe sempre che il Parlamento possa modificarla in meglio, sapientemente raccogliendo le indicazioni del voto. Anche di quello non espresso. E su di esse aprire una robusta discussione fra le parti politiche, che consenta di raggiungere l’unità possibile intorno alla nuova legge. Votare No, respingendo quindi la richiesta di modifica di quelle leggi, invece, produrrà tutto il contrario. E, cioè, la chiusura ad ogni modifica migliorativa, obbligando il tutto alla rigida chiusura delle problematiche, comunque in movimento all’interno della rigidezza della legge confermata dal voto referendario. Specialmente, attraverso il mancato raggiungimento del quorum. Per questi principali motivi, io consiglio di votare Si anche ai diffidenti, agli indecisi, agli arrabbiati e agli scontenti della vita e della vita in questa società che la mortifica e talvolta la ferisce. E la mortifica proprio con un’idea del lavoro, che tutela solo le esigenze, spesse volte egoistiche, dei datori di lavoro che non quelle dei lavoratori. La mortifica anche nella necessità di maggiore sicurezza negli ambienti in cui il lavoro si svolge, continuamente sotto la minaccia della vita e della incolumità dei lavoratori. Votare Si anche sul quesito riguardante il diritto di cittadinanza. Dieci anni di attesa più quasi la metà per il disbrigo delle pratiche burocratiche, per ottenerla da parte di un cittadino non italiano d’origine, che abbia svolto una condotta pulita e abbia contribuito alla ricchezza del paese attraverso la sua fatica e il suo lavoro, ovvero costruendo qui una famiglia con figli che vogliono essere italiani, mi sembra non soltanto un tempo troppo lungo, ma un’attesa sbagliata. Per il Paese che di quei cittadini italiani ha bisogno. E per la Democrazia, che nel dettato costituzionale vuole che il nostro sia un paese libero. E libero per tutti. E aperto. Aperto a tutti. Le leggi ci sono già perché ogni cittadino sia obbligato a rispettarle. Italiano d’origine o italiano per scelta propria. La legge diritto-dovere di tutti, è anch’essa bella. La Democrazia la fa più bella.
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