Cimino: "La guerra della statale 106 contro la vita dei nostri giovani"

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Franco Cimino
  07 gennaio 2024 07:11

di FRANCO CIMINO

E la pioggia finalmente è arrivata. Nessuno la cercava. Nessuno l’aspettava più in questo lungo dicembre che ci ha regalato un Natale quasi estivo. Con il chiarore del cielo che contrastava il cedere precoce della luce del giorno, secondo la regola dell’inverno e dell’ora naturale, che il pomeriggio era già sera. La pioggia è arrivata in serata avanzata. Insistente. Battente. Forte. Ma non di temporale. È arrivata in silenzio senza tuoni né lampi di fuoco. Battente, però. Sui vetri delle finestre. Sui cornicioni. Sul pavimento dei balconi. E la senti. Oh, sì che la senti, anche se non fa rumore! Non pioveva, oggi, a fine mattinata. Non pioveva sulla “ statale 106, all’altezza del km 171, in località Calalunga-Pietragrande(km 171+300), come dicono i verbali tecnicamente dettagliati della Polizia e dei tecnici stradali. Lì, su quel tratto, al centro esatto della strada che separa la Marina di Catanzaro da Soverato, che saranno, da ambedue le direzioni, otto-dieci minuti per arrivarci, non pioveva da settimane. Non pioveva neppure oggi. C’era luce sulla via. E si vedeva bene e lungo. È una giornata di festa, questa. Una festa bella. L’Epifania, portatrice di doni al Bambino e da Lui promesse di vita nuova per tutti gli uomini e le donne di questa terra. Specialmente, per i ragazzi e i giovani. È la festa delle famiglie. E del riposo dal chiasso di queste due settimane, piene di movimento, di auto, di merci, di persone, di musiche assordanti e di piazze affollate. Di quasi tutti che hanno fretta e ti passano davanti senza neppure vederli, poterli salutare se li conosci. Domandargli dove stiano andando visto che sembrano indirizzarsi sul versante sempre opposto dal tuo. E poi, tra due giorni, complice la domenica, i figli torneranno a scuola. Si sta a riposo, oggi. I più stanno a casa per l’Epifania. O per la Befana. Sono le le tredici e trenta circa. È l’ora canonica del pranzo della festa. Non c’è molto traffico. Poche automobili, che vanno in opposte direzioni. Non c’è stanchezza. Non c’è l’alcol e la testa di fumo delle notti del sabato del divertimento acceso. Si può stare tranquilli, oggi, giorno della festa. Non è successo nulla ad alcuno dei partecipanti ai diversi veglioni. È stato un Buon Natale e un buon fine 2023. Non può succedere più nulla. E, poi, oggi, è la Festa dei doni. E su quella strada sulla quale siamo passati mille volte noi. Da soli e con le nostre famiglie. E i nostri figli. Anche in qualche momento di questo lungo Natale. E le nostre raccomandazioni fatte per monotonia genitoriale, in quel ricorrente” andate piano, vi raccomando. E state attenti”, detto così perché lo diciamo. Ma senza particolari timori, come quando, invece, li sappiamo in viaggio su percorsi assai insicuri. In quel tratto lì, di giorno quieto, si sta più tranquilli. Pur se della cattiva centosei sempre si tratta. Strada quasi bestemmiata, perché portatrice di morti e feriti, lungo tutti i suoi più di trecento chilometri. Quelli che dovrebbero unire tutta la magica realtà che dall’antica Magna Graecia scorre lungo il litorale Sibari-Crotone-Squillace-Monasterace-Reggio Calabria. Ma oggi è il giorno della festa nella giornata di quiete, di luce, di armonia. E, poi, sono le tredici e trenta. Non c’è traffico. Non c’è fretta. Le baldorie sono finite. E le bottiglie di vino e birra pure. Invece, no. La centosei, la strada cattiva, non rispetta alcuna regola. Non perdona errori e distrazioni, non protegge dai guasti tecnici, non difende la gioia di chi la percorre o il bisogno di chi è costretta ad usarla. La strada nata brutta su una lingua di territorio devastata dalle tante bruttezze che le sono state caricate sopra, a mo’ di sfregio e di sfruttamento, la strada lasciata peggiorare per oltre trent’anni e abbandonata da promesse ingannevoli, o da sistemazioni costosissime in tratti disgiunti e assai distanti tra loro, effettuati in tempi lunghissimi che la rendono ancora più pericolosa per le interruzioni quasi ritmiche, semina vittime continuamente. È una strada contro. Sì, contro. E in opposizione anche. Contro lo sviluppo e la crescita economica della Regione. Contro il bisogno di unità territoriale, economica, culturale e politica. Della Calabria. Contro la estrema necessità di rompere l’isolamento che tiene la nostra terra ai margini dell’intero Paese

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quasi ignorata dall’Europa, se non per il suo “ condannarsi” ad essere scoglio, invece che felicemente porto, d’approdo dei miserabili che attraversano il nostro mare per cercare pane e lavoro e libertà. Contro, è questa strada, la vita. Dei nostri ragazzi, soprattutto, che la vita e la forza giovanile lasciano sul quell’asfalto ammalorato. Oggi, giorno della festa dei doni, a quell’ora lo schianto! Due auto piccole si scontrano violentemente. Muoiono tutti i passeggeri di un’auto. Sono quattro ragazzi, tre donne e un uomo. Venivano da San Luca, nel reggino. L’unico, dell’altra, è in condizioni molto gravi in ospedale. È di Soverato, giovane anche lui nei suoi cinquant’anni, probabilmente di sposo e di padre di giovani come quelli che ha incontrato, “ avversativamente dalla sorte”, oggi. Una tragedia. Da bollettino di guerra. L’ultimo proveniente dall’Ucraina parla proprio di quattro morti innocenti sotto l’odierno vile attacco russo contro una piccola Città. La guerra della statale centosei, continua. Indifferente ai morti che semina come chicchi di dolore immane e di ingiustizia assurda. Quanti ce ne vorranno ancora per chiudere questo cimitero dell’inciviltà? Quante madri e quanti padri dovranno ancora morire agonizzando sul cadavere dei figli? Quanti ancora, figli suoi, di questa terra, dovranno cadere sotto i colpi di una barbarie senza colpevoli? Dal pomeriggio le agenzie di stampa sono prese d’assalto dalle dichiarazioni di uomini delle istituzioni che recano lo stesso grido:” basta vittime sulla strada della morte”. Tutti lo gridiamo. Ma sempre ad ogni strage. E che sia la più clamorosa, altrimenti neppure registriamo il fatto drammatico. Passato il clamore, celebrati i funerali, poi più nulla. Solo indifferenza. Il dolore resta alle famiglie e a quei paesi che non li hanno più visto tornare tutti quei ragazzi. Mentre la lotta per fare la strada nuova, e che si chiami con un altro nome, la fanno solo i due o tre comitati di cittadini( quello di Ciró Marina e di Badolato per dire i più noti), che da anni, in piena solitudine, scendono per le quelle strade. Per protestare contro lo sterminio. Per rivendicare un diritto. Per opporsi alla morte. Per difendere la vita. Delle persone. E dei nostri figli, che sempre da lì dovranno passare. E la vita della nostra Terra, che non può consentirsi più di perderne neppure uno. É già notte. E piove più forte. Di una pioggia che non rovina. Sono solo lacrime del Cielo per questo dolore insopportabile. Dolore ingiusto.

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