di FRANCO CIMINO
E ti verrò a trovare ancora una volta, Madonnina mia, Madonna del mare. Domani, festa tradizionale di Maria di Porto Salvo. Verrò. Come tutti gli anni della mia ormai non breve vita. E sarà sempre bello ed emozionante. Di più, commovente rispetto agli anni precedenti. Ed il motivo tu lo conosci. Ti rivedrò bella e ferma, in quella statua, antica ormai, di cartapesta, nella quale custodisci, austera, la memoria di questo borgo, la bellezza tormentosa del nostro mare, le fatiche rischiose dei nostri marinari. I nostri sogni di ragazzi. E gli ideali vissuti, sentiti. Perduti e ritrovati e perduti ancora nelle nostre battaglie perse. E in quelle non fatte, battendo in ritirata per paura di perdere ancora. E scoprire con il tempo di aver vinto anche quando credevamo o ci hanno fatto credere il contrario. E poi cercarli nuovamente, quegli ideali , in questa età strana, che non è tarda e non è fresca. Età neutra e anfibia, che però ha lunga memoria di sé e parecchio futuro. Non ci saranno i marinari di una volta. Quelli, in particolare, che nutrivano il mare della loro passione e della loro immane fatica, ricevendo purtroppo solo la povertà della loro condizione. Povertà non solo economica. Me li ricordo ancora, io piccolino, la mia mano stretta in quella di mia mamma o di mio papà, quando, in quegli anni ormai lontani, i “ piscaturi”, vestiti di nuovo, con i pantaloni lunghi blu e la camicia bianca, a piedi scalzi, ti portavano in processione dalla paranza, da cui scendevi regina, dopo il lungo tragitto in mare. Ti portavano a spalla, alternandosi a gruppi di sei, per le vie di Marina, fino alla chiesa parrocchiale, sita al centro della vivace Piazza Anita Garibaldi. Quella delle prediche buone e dei comizi belli, ambedue i microfoni altamente formativi della nostra coscienza morale e della nostra sensibilità politica. Quanto sei bella, Madonna mia, Madre nostra, matrona del ridente quartiere, anticamente carico di promesse! Promesse che i nostri sogni sarebbero stati realizzati. E qui, a Marina. Ovvero, con le tasche piene di quelli degli ideali e di quei principi anche religiosi, altrove. Lontano, in ogni posto in cui fossimo stati costretti ad andare. Emigrati affamati di pane. E studenti senza ateneo nella regione. O viaggiatori in cerca del nuovo. Nuove terre e nuove culture. Di un futuro migliore. E di spazi in cui realizzare i nostri talenti. Ti verrò a trovare, domani. E ti seguirò, come tutti gli anni. In silenzio, che è, insieme, pensamento intenso e preghiera muta. Tu sai già cosa io penserò. E per cosa ti pregherò. Sono i pensieri rinnovati e le preghiere aggiornate. Mi metterò, come ormai faccio da tanto tempo, immediatamente dietro la banda musicale, distrattamente infilandomi dentro, curioso di vedere da vicino i singoli bandisti suonare. In particolare, quelli che ancora mi affascinano di più, il suonatore del trombone e quello del
tamburo. Mi colpisce ancora la fatica che i singoli “ musicanti”sono costretti a fare per tenere il pesante strumento. E mi domando dove trovino la forza di sostenerlo dopo quella lunga fatica sulla barca e nel camminamento lento verso la chiesa. Sudati in quelle divise pesanti e scure. E con le scarpe grosse e nere. Le musiche della banda mi riempiono di gioia, che starei ore ore ad ascoltarle. E con quella nostalgia che mi rimanda sempre a quel tempo lontano, in cui il palco circolare della piazza, in una delle sere della festa, ospitava la banda. Che concertava, come le orchestre di oggi nei palcoscenici più importanti. Che bello è ritrovarti, “Madonna e mara”! Che bello è vederti. Che bello è stare dietro a quel tuo manto celeste di seta luminosa, di stelle a centinaia appuntate. Ti farò come al solito mille foto, che, come tutti gli anni di questa tecnologia padronale, pubblicherò in ogni modo che consenta a tanti marinoti lontani di vederti, richiamando nel loro cuore sentimenti che sono propri di ciascuno di loro. Ma non verrò soltanto per te, lo sai. Da vent’anni più due, cerco in quella processione la mia prima mamma, che tanto a te teneva e tanto a te, nel dolore e nella dignità e nel coraggio, somigliava. La cercherò tra la folla. La riconoscerò subito dalla folta chioma di capelli ricci e bianchi, che dalla sua altezza, anche fisica, spuntano come nuvola bianca appena scesa dal cielo per dare un tocco di morbidezza a quel piccolo fiume umano orante. Farò come quando c’era. Mi avvicinerò con gli occhi umidi e i battiti a mille, le metterò il braccio sulle spalle e le dirò:” Ciao ma’, sì nella assai!”E le camminerò a fianco fino all’arrivo.
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