Cimino: "Le Coppe Italia, quelle dei ricchi e quelle dei poveri. Allegri e Vivarini"

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images Cimino: "Le Coppe Italia, quelle dei ricchi e quelle dei poveri. Allegri e Vivarini"
Franco Cimino
  16 maggio 2024 14:23

di FRANCO CIMINO

Ieri sera mezza Italia si è incollata, dalle ventuno, davanti agli schemi di canale cinque per assistere alla finale di Coppa Italia, il prestigioso torneo calcistico che rende più che una gratificazione secondaria alle squadre blasonate che hanno perso lo scudetto, mentre a quelle umili e mai decorate la soddisfazione più grande. Infatti, a giocarsela quest’ultima sono state proprie le due squadre più espressive di questa dicotomia, la grande Juventus dal lungo ricco passato e dalla enorme potenza di oggi, e l’Atalanta delle straordinarie ripetute meraviglie. La Juve, di quella coppa, ne ha vinte fino alla vigilia sedici. l’Atalanta nessuna. A giocarsele più personalmente sono anche i due tecnici, il potente Massimiliano Allegri e il celebrato Giampiero Gasperini. Il primo, antipatico oltre che di suo anche perché ininterrottamente in cima al successo. Il secondo, molto simpatico per via delle sue eccelse qualità tecniche non corrispondenti al palmares rimasto purtroppo vuoto. Allegri quasi sempre primo. Gasperini quasi sempre secondo. Il primo di coppe ne ha vinte cinque, il secondo nessuna, pur raggiungendo per quattro volte l’ultima gara, quella dell’assegnazione. Era, pertanto, immaginabile che all’Olimpico si sarebbero giocate due super finali. Quella delle squadre e quella dei due uomini al comando. Allegri per riscattare gli ultimi tra anni di insuccessi e per andare via da Torino con orgoglio e onore. Gasperini, per restare a Bergamo a vita, sedendo sul trono del re regnante. E far mangiare le mani a quei presidenti delle società più forti, che non l’hanno mai cercato per incomprensibili motivi o per inspiegabili timori. Con qualche minuto di ritardo per via di una solennità troppo ridondante, il fischio d’inizio. Lo stadio è strapieno. Ci sono tutti a incendiarlo di tifo diverso. Gli juventini perché juventini, i bergamaschi perché atalantini, i romanisti perché antiiuventini, come probabilmente i laziali, forse per prima volta fratelli senza coltelli. Alla tribuna d’onore c’erano tutti. Delle istituzioni mancavano soltanto la Meloni e Mattarella, che la finale anticipatamente aveva onorato il giorno prima al Quirinale ricevendo le squadre e i dirigenti delle società e della Federazione. Tutto intonato, dunque, tranne l’inno di Mameli “ urlato, a fatica da Albano. Si gioca a ritmo intenso. Lo spettacolo non è alto dal punto di vista tecnico, ma l’agonismo acceso in campo rende l’incontro al cardiopalmo. Uno a zero dopo quattro minuti e per i successivi novantacinque, fanno incertezza assoluta la vera protagonista. Meglio di così, questa finale non avrebbe davvero potuto essere. Al novantanovesimo, l’arbitro fischia la fine della dura contesa. Vincono i bianconeri. Con merito e nel rispetto dei nerazzurri “ minori”, che lo confermano. Come detta l’atteggiamento di Gasperini, educato e composto. E quello dei suoi calciatori, uguale. Tutto bene, quindi? Sì, se la nostra attenzione è rivolta alle solite preoccupazioni della vigilia. Quella degli scontri “ bellici” tra le opposte tifoserie che seminano panico nelle Città e di sangue sporcano le strade. Per fortuna lo stadio ha resistito bene. Le uniche immagini toccanti dagli spalti erano i primi piani dei ragazzi. Sì, proprio loro e i più piccoli fino ai bambini, in lacrime per la sconfitta dell’Atalanta. Sarebbe stato davvero uno spettacolo di sport. Purtroppo, c’è sempre un “ ma”, che, se non la rovina, guasta la festa. All’Olimpico si é rappresentato anche il peggiore spettacolo di sé che uno sportivo, per giunta tesserato, potesse dare. Tutti l’abbiamo visto in diretta, mentre le telecamere impietosamente lo inquadravano. É la reazione rabbiosa di Allegri, che, incontenibile anche fisicamente, se la prende, aggredendoli di verbosità violenta, con tutti. Con gli arbitri, in campo e fuori, con il Var e con i dirigenti in tribuna. E con altri che non so. Lo fa con quella fisicità oltraggiosa e aggressiva quando si libera, correndo come un matto, di giacca, cravatta e, intenzionalmente, anche della camicia che aveva iniziato a sbottonare. Spettacolo pessimo degli stessi colori rafforzato nelle più assurde e parimenti aggressive trasmissioni del dopo partita( quelle che durano ,annegate di parole e di liti, fino alle due senza che immagini delle partite vengano trasmesse)

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quando la maggior parte

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dei sedicenti opinionisti giustificano quelle autentiche violenze come lo scarico comprensibile di tensione accumulate dal tecnico bianconero durante l’anno. Va ricordato che si parla di un allenatore tra i più pagati al mondo, protetto da un contratto assai vantaggioso per altri due anni ancora. Ora mi chiederete perché questa filippica di tipo moralistico. Ne parlo per due motivi e per una raccomandazione conseguente. Il primo: il celebrato Max deve ricevere una lunga squalifica accompagnata da una consistete sanzione pecuniaria. Non basteranno le scuse, che se non sono arrivate mentre scrivo, di certo arriveranno in giornata. Magari, ben stimolate dalla sua conferma con prolungamento del contratto più ricco. Queste gioie, si sa, rendono più buoni e gentili. In aggiunta, vi sia una condanna più pesante da parte del sistema dell’informazione, che lo chiami a rispondere della responsabilità morale per il grave danno che quel comportamento, evidentemente contagioso, ha prodotto nei nostri ragazzi. Personalmente, se fossi legislatore, introdurrei una fattispecie di reato che punisca atteggiamenti di qualsiasi violenza. In particolare, se espressi in spazi ampiamente pubblici. Maggiormente aggravata, se frequentati da minori. L’altro motivo, vogliamo dirlo con orgoglio? si trova in un nome che il calcio italiano adesso conosce bene. É Vincenzo Vivarini. L’uomo sempre educato e composto, dentro e fuori del suo piccolo rettangolo. L’allenatore che non si porge mai con alcuna aggressività nei confronti di alcuno. Neppure dei suoi giocatori, che invece incoraggia quando sono in difficoltà, li protegge durante la prestazione da possibili contestazioni dagli spalti, li esalta nei dopo partita quando parla con la stampa. Lo sportivo sempre corretto nei confronti degli avversari, che rispetta prima dell’incontro e dopo, che abbiano vinto o perso, complimentandosi per la bravura e l’impegno. Bravura che egli riconosce sempre ai suoi colleghi. Vivarini non è solo il tecnico tra i migliori dei campionati italiani. É un maestro dello sport. Un vero educatore per i giovani. Uno stimolatore di educazione e bontà per tutti. Un emblema dell’onestà. Un messaggero della Pace nel mondo. Sì, anche questo. Soprattutto , quando ci dice che il calcio é solo la somma di tante partite di pallone. Un cortile o uno sterrato antico in cui abbiamo tutti giocato divertendoci senza mai odiarci. Ché una parità di pallone è solo una partita di pallone, intorno alla quale bisogna sempre far festa. Da qui la raccomandazione, che valga anche per la tifoseria più bella in assoluta, la più civile e calda, la più corretta ed educata, la nostra. Continui ad esserlo, quale esempio educante per le altre, nelle prossime cinque partite che restano di questo esaltante e vittorioso campionato giallorosso.

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