
di FRANCO CIMINO
I miei ex alunni, che ormai sono tantissimi, sparsi per le vie della Calabria, del Paese e anche oltre, in questi giorni di festa ricorderanno quanto sto per ricordare a me stesso, per dirlo a tutti i ragazzi che mi leggeranno. Il giorno prima delle vacanze natalizie, e anche qualche giorno precedente, tenevo, anzi riproponevo in forma diversa, una mia lezione, distribuendola negli altri giorni sulle “curricolari”, per la pace e contro la guerra. Riaffermavo il principio che la guerra non è mai affare degli altri, come il dovere della pace, che non si riduce soltanto alla tecnica sospensione dei conflitti per il tempo necessario a riarmarsi ancora di missili e odio. La guerra nasce e si muove negli spazi anche più piccoli, quelli nostri. E cresce, quale tendenza, nei cuori dei più piccoli, delle persone normali, quelle come noi sostanzialmente.
Gli spazi piccoli, quelli in cui viviamo la vita apparentemente normale. Sono gli spazi e i cuori in cui crescono l’invidia, la gelosia, l’odio, il rancore. E quel sentimento, apparentemente invisibile anche a noi stessi, in cui si desidera in qualche modo la soppressione, in qualsiasi forma, di chi “odiamo” o manteniamo invisi ai nostri occhi. Non necessariamente il desiderio che quello muoia nel senso fisico del termine, ma quello ancora più grave: che abbia tutte le condizioni che ce lo portino sconfitto, piegato, impegnato totalmente a trattenere dolore e conseguenze di una sconfitta esistenziale e/o sociale.
Insomma, quel che dai tempi più antichi si riduce nel classico “malaugurio” o “mandargli bestemmie”. Insomma, augurargli ogni male possibile. Il massimo di quelli che ci ripari dai sensi di colpa e dai pentimenti, però. Una cosetta così, proporzionale al bisogno di sfogare il nostro rancore. La guerra nasce nei nostri piccoli spazi e nei nostri piccoli cuori, quando accendiamo conflitti assurdi tra persone, amici, familiari, colleghi di lavoro, vicini, che sia un condominio o la via o la ruga dei nostri piccoli paesi. O quando scarichiamo contro chiunque ci sembri disturbarci, nel traffico tra automobilisti o in altri posti simili, la nostra frustrazione accumulata in lunghi periodi in cui nessuno ci ha dato ascolto. Ovvero, aiutato a risolvere un problema, per cui vediamo nell’altro, chiunque questo sia, specialmente se rappresentativo di una qualsiasi autorità, il nemico giurato.
La guerra nasce in noi quando, per un antropologico sbagliato senso del potere, o quando temiamo di averlo perso, specialmente maschile, scateniamo quella sorta di violenza che pensiamo sia componente intrinseca della natura umana. La violenza contro la donna in generale, quella assai più diffusa e frequente, attuata dagli uomini anche senza giungere al femminicidio cosiddetto, il crimine efferato quanto l’assassino in guerra. La guerra la troviamo nelle scuole, quando, nei modi più subdoli o evidenti, si pratica la violenza più dura e assurda nei confronti del ragazzo, (scolaro, studente)più debole e indifeso. Quella violenza da parte di uno o pochi altri con lui, che, con la passiva complicità del resto della classe, si scaglia contro quel povero compagno. Lo chiamano bullismo, questo atto ignobile di guerra. E così passa e lascia tracce dolorose sulla vita intera di preziosi ragazzi, e drammaticamente sulla scelta dei più deboli e disperati di loro, di chiuderla prima, la propria giovanissima esistenza.
La guerra della Domenica, preparata minuziosamente durante tutta la settimana. La guerra del pallone. La più stupida, folle, scellerata guerra, per una partita di pallone. Lo sport più bello, che resta sempre un gioco affascinante, rovinato da questi soldati armati di spranghe, catene, coltelli, bastoni, odio feroce contro chi muove al vento una diversa bandiera. E guerra, quotidiana, è quella nella politica, la guerra della contro la Politica, il luogo opposto per sua natura a quello dei campi di battaglia veri e propri. La Politica non è solo la “più alta forma di carità”. È, soprattutto, dopo il fuoco, la più bella invenzione dell’essere umano. Essa è nata proprio per risolvere i conflitti che migliaia di anni fa già nascevano sullo scontro degli interessi e per l’egoismo di chi voleva prendere sempre di più. E per lo spirito ladro di chi, ritenendosi il più forte, prendeva con avidità la roba degli altri, ovvero i beni che erano per natura già di tutti.
Questo difetto morale esiste ancora oggi e si rappresenta come inarrestabile e imbattibile, riproponendosi come la causa principale di ogni guerra e dell’odio che la precede e la segue. E di più la sostanzia e la alimenta. La guerra, quella quotidiana, è anche l’indifferenza che ci prende quasi tutti dinanzi alle guerre vere. A quel senso di lontananza che si insinua in noi quando pensiamo alla guerra solo come quella degli altri. Indifferenza sempre più grande che si radica anche in quella sorta di assuefazione al male, all’odio, al dolore, alle stragi, specialmente di bambini, che i notiziari e le trasmissioni televisive puntualmente ci portano. Indifferenza, lontananza, assuefazione, nei confronti della morte. E, in particolare, di quella di una guerra che continua ad uccidere migliaia di persone ogni giorno, per le conseguenze di quella barbarie di fuoco: la fame, la sete, il freddo e le malattie più semplici. Indifferenti e lontani anche rispetto alla guerra, quella veramente mondiale, che precede e segue quelle militari. È la povertà diffusa nei due terzi del pianeta, che ancora più devasta quelle regioni storicamente piegate dalla povertà. La guerra è anche la propaganda sulla guerra, che quei governi partecipi pur diversamente alle guerre, e in particolare i paesi che guerreggiano in armi, fanno per ingannare il mondo e dividerlo nei sentimenti e nelle opinioni sulla stessa sporca guerra, la loro.
Questa giornata è sempre celebrata e solennizzata, anche attraverso le feste colorate, rumorose, euforiche di vino e spumante, di fuochi d’artificio e di luminarie sempre accese, di palchi “cantanti” e di folle accese e rumorose, più dei decibel che sparano nel cielo. È un giorno considerato assai importante, perché ci regala l’effimera gioia di scambiarci gli ultimi auguri dell’anno. Più caldi di quelli di Natale, ormai spiritualmente indebolito. Auguri a tutti e tra tutti. Centinaia di migliaia di messaggi arrivano sui nostri telefonini, tanti che abbiamo perso l’abitudine di scambiarceli di persona. Stasera, puntuali alle venti e trenta, ci saranno quelli del Presidente della Repubblica. Domattina, a mezzogiorno, quelli del Papa. Sono uguali a quelli dell’anno scorso. Uguali anche a quelli che ci scambiamo tra di noi. “Buon Anno, il prossimo sia di salute, serenità, prosperità, pace, salute.” Pochi si domandano perché anche quest’anno finisce come era incominciato e rinasce come sta per iniziare. Allo stesso identico modo, le guerre e la guerra che le raccoglie tutte. E la povertà, che è diventata estrema per i poveri che già c’erano, e che è diventata tale anche per quelle famiglie che povere non erano prima.
E allora, auguri anche da me. Auguri a tutti, quelli classici, ma sinceri, per un anno davvero buono, sereno, più sicuro per famiglie e persone, popoli e Stati. Un anno che si muova dall’inizio sul terreno della vera pace. E anche su quello di una tregua che permetta di salvare vite umane, se la pace, quella autentica di cui ho sempre parlato, non sarà possibile a causa degli interessi in campo che la impediscono. E dell’arroganza di piccoli uomini di potere che si sentono giganti, e invece sono nano che hanno solo l’aspirazione di estendere il loro dominio sul mondo e sulla ricchezza da continuare a rubare. O a costruire con il sangue di milioni di innocenti. I miei auguri, però, vorrei che fossero un po’ diversi da quelli della retorica tradizionale. Mi piacerebbe rivolgerli singolarmente e da qui lo faccio, utilizzando le seguenti parole: auguri
a te che prima di pensare all’anno che verrà, avrai domandato a te stesso e a chi ti sta vicino, come hai vissuto e cosa hai fatto per cambiare quello appena passato. Auguri a te e a te e a te e a te… se avrai il coraggio, passata questa notte di baldoria, di non accontentarti più delle parole degli altri, delle ragioni degli altri. E della propaganda del potere, delle mance che il potere dona dopo aver svuotato le tue tasche, delle luci bugiarde sulla tua città al buio e sulla pratica che il potere utilizza per distrarre la gente con feste e festini che coprono l’incapacità di chi ci governa nel rendere la vita migliore alla gente. Gli auguri di buon anno a te, a te e a te e a te… se dopo aver aperto gli occhi, farai battere il cuore di un battito nuovo e la tua coscienza, personale e politica, di una nuova consapevolezza. Quella irrobustita da un pensiero alto, dal quale nascano un nuovo senso del dovere e una gran voglia di battersi, da soli e con altri, per cambiare questo mondo che gira all’incontrario e rischia di cadere nel volto dell’umanità perduta.
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