di FRANCO CIMINO
In un’Italia che si divide su tutto, con un Parlamento che sempre più si trasforma in una curva da stadio, con l’emiciclo addirittura in un ring per fare a pugni tra parlamentari e le televisioni, private e pubbliche, in una reta unica che diffonde sempre il brutto spettacolo delle morti “ in diretta”, ciascuna amplificata, a scopo audience, fino al superamento della stessa per una nuova morte che si riveli più eclatante e, quindi, più televisivamente interessante, accade un fatto che non sai se definire drammatica o comico. È di ieri sera, intorno alle ventuno. È accaduto a Milano. Nel luogo più “laicamente religioso”, la Scala, il tempio della musica e del canto, alti e colti. Sta per partire, come ormai da tradizione, l’inno nazionale dagli strumenti degli orchestrali e dalla bacchetta magica del direttore d’orchestra, quando dal loggione due voci diverse, di due diversi loggionisti, squarciano il silenzio del Teatro alle due grida “No al Fascismo” e Viva l’Italia antifascista”. In qualsiasi parte del mondo il teatro intero sarebbe scoppiato in un forte coro sulle stesse parole o in un applauso più lungo dei diciassette minuti riservati ai protagonisti dell’Opera verdiana “Don Carlo”, andata in scena, sotto la regia di Lluis Pascal. In qualsiasi paese del mondo il giorno seguente si sarebbe fatto festa, anche nelle chiese della festa per la Madonna Immacolata. Da noi, invece, sono scoppiate polemiche che hanno impegnato tutti gli organi d’informazione nello sforzo di rafforzarle, e le polemiche e le divisioni. Anche con l’apertura di nuovi salotti dove parlano sempre gli stessi per dividersi ancora, con l’aiuto di giornalisti che ormai fanno i propagandisti di una o l’altra parte di questa politica, sulla vecchia querelle fascismo-antifascismo, facendo prevalere, per non disturbare i nuovi “padroni del vapore”, la tesi della pesante gravità di quelle due grida. E per almeno due motivi. Il primo, è che sarebbe maleducato, inopportuno, scorretto, urlare al teatro. In particolare, alla Scala. Come lezione di bon ton, è davvero un gran cosa per l’Italia, che ne avrebbe bisogno, specialmente tra i melomani, pur se notoriamente considerati spettatori colti e sensibili. Ché amare e conoscere a fondo la musica alta e le opere liriche non è proprio un gioco al tavolo da poker. O un battibecco colorito tra capipartito di oggi. Il secondo motivo si trova ormai da anni in un refrain monotono e noioso. Questo:” è una disputa ormai superata. Il fascismo non c’è, e non c’è alcun pericolo di vederlo tornare.” Ma c’erano fino a poche settimane addietro i fascisti, si obietta. Si risponde, sempre dalla stessa parte, la destra ufficiale e storica:” non ci sono neppure quelli, se non qualche nostalgico relegato ai margini del suo stesso isolamento dagli uomini e dalle donne di Destra, giunte democraticamente al governo del Paese, e a quello di molti comuni e regioni.” Si obietta:” vero, il voto c’è stato e liberamente espresso, ma su di esso, e la grande responsabilità conseguente, non si è aggiunta nessuna abiura del Fascismo, nessuna vera condanna dei suoi crimini contro Libertà e Democrazia e degli uomini che le idee e la storia del fascismo hanno difeso e sostenuto. Il tutto, mentre debole è apparsa la scelta chiara e decisa degli ideali democratici.” Di rimando, amplificata dalla stragrande maggioranza dei mass media, sempre, qui da noi, asserviti al potere e al dominante, la voce stentorea, anche quella femminile:” ma non vedete la Meloni, la presidente del Consiglio, quanta sensibilità democratica manifesta, in Italia e nel mondo? E non ascoltate le vibranti parole, che già dal suo discorso di insediamento, dice con forza e decisione?” Si obietta:” sì, è vero che lei si rende credibile anche in questa direzione, ma alcuni rappresentanti tra i più autorevoli del suo partito, in particolare non pochi tra coloro che ricoprono le più alte cariche istituzionali, continuano, tra false gaffe e errori sospetti, a pensare e comportarsi in maniera molto diversa dalla sua…” E ancora, la difesa:” basta il leader ad assicuraci tutti e a correggere i suoi amici, e poi non ci si dimentichi che la gente ha votato…” Su questa strada e in questo modo si vorrebbe chiudere la questione Fascismo-Antifascismo, fascismo sì, fascismo no. Manca solo il passaggio, che sarà brevissimo, tanto atteso dalla Destra, quello che passerebbe sotto il nome di “riconciliazione nazionale”, che metterebbe sullo stesso piano i combattenti di una nobile guerra civile, e la storia avrà ricevuto le sue correzioni. Io credo, invece, che sia pericolosa tutta questa confusione attivata per confondere i fatti che la storia italiana ci rimanda con tutta la sua chiarezza. Credo anche che sia giunto il tempo per un forte chiarimento intorno a questi temi. Chiarimento che porterà, io credo, e di più spero, alla piena maturazione nella Destra storica di un sentimento nazionale che più fortemente si intreccerà con i valori insostituibili della Democrazia, che sulla Libertà senza aggettivi fonda la sua forza inarrestabile. E sulla Costituzione Antifascista, la fiducia piena che possa, Democrazia, vivere rafforzandosi. Nella coscienza dei cittadini e nel prestigio delle istituzioni. Anche per fare l’Italia più forte in un’Europa che voglia essere pienamente libera e democratica, oltre che unita. È un lavoro che Giorgia Meloni può fare riuscendovi bene. Ne ha l’autorevolezza, della persona e del ruolo, la sensibilità di donna e l’intelligenza politica per capire che l’Italia non può arretrare neppure di un millimetro dalle sue storiche conquiste. Dall’Europa e dal suo Nord, giungono venti neofascisti, spinti con forza da una destra becera e rozza. Inquietante e contagiosa. Tanto contagiosa che è già arrivata da noi, chiamata da un leader politico, arrogante e insicuro, perennemente in campagna elettorale. Un capopartito “ nazionalpopulista” di suo, che, per difendersi dalla progressiva discesa elettorale, cerca di occupare la parte sociale della destra estrema o soltanto quella vecchia e radicale, che la Meloni ha di fatto abbandonate. L’Italia non corre però alcun pericolo. Nonostante la riduzione della sensibilità democratica collettiva, la perdurante crisi della politica e l’indebolimento delle istituzioni, il rischio, ritornato, di riforme istituzionali poco rassicuranti, il nostro Paese resta saldo nei suoi valori principali. Ci sono due figure, tra le più importanti e attive, che sapranno ancora vigilare sulla tenuta democratica dell’Italia. Sono un uomo e una donna, molto anziani. Lui è Mattarella, il presidente della Repubblica democratica e antifascista. Lei è Liliana Segre, la senatrice a vita per meriti acquisiti dalla sua storia personale, di ebrea sfuggita per caso all’olocausto mentre l’intera sua famiglia ne è rimasta vittima. Vederla, ieri, nel palco “ reale” alla Scala, acclamata dal pubblico, nel posto che è del Capo dello Stato, ieri assente, ha commosso anche me. E profondamente. Mi ha commosso la sua regalità e quella bellezza infinita. Quel suo essere donna forte e fiera. E quegli occhi lucidi da cui traspare la sua incrollabile fede nella Libertà. E quel suo sguardo che si muoveva tra il cielo del soffitto e dei palchi e del loggione e, in basso, verso la platea, senza che si muovesse verso un suo lato, il desto, dice bene da che parte noi si debba continuare a guardare. Mi piacerebbe che in suo onore, domani, nei teatri e nei cinema e lunedì in tutte le scuole, ci di alzasse per un solo momento in piedi, all’inizio degli spettacoli e delle lezioni, e si gridasse tutti insieme “ No al fascismo.” E “ Viva l’Italia antifascista”. Sarebbe bello. Davvero proprio bello.
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