di EMANUELE CANNISTRA'
"Nel silenzio rispettoso del Cimitero Urbano, dove le tombe raccontano storie più vive dei vivi, risuona forte e profondo l’appello del cappellano Mons. Perrelli. Le sue parole non sono solo un invito alla preghiera o alla commemorazione, ma un vero e proprio grido dell’anima, un’esortazione a riscoprire il significato della pietà, dell’umanità e della responsabilità che abbiamo verso chi ci ha preceduto e verso chi ci cammina accanto. Mons. Perrelli ci invita a riflettere su un aspetto spesso dimenticato nella frenesia della vita quotidiana: il rispetto come base della morale. In un mondo sempre più anestetizzato all’emozione e all’empatia, dove anche la visita al cimitero rischia di diventare un gesto formale e vuoto, egli denuncia un’anemia interiore, una mancanza di speranza che raffredda i cuori e rende “gelido” persino il luogo della memoria e della preghiera. Non si tratta di parole generiche: il suo è un richiamo alla concretezza dell’essere umani, prima ancora che credenti. È l’urgenza di riscoprire la nostra fragilità, ma anche la nostra capacità di bellezza, attraverso gesti semplici e concreti, che non si chiudono nell’indifferenza ma coinvolgono e contaminano, come semi di umanità piantati nella terra arida dell’individualismo. È solo così – sembra dirci – che possiamo restituire dignità alla morte e significato alla vita.
Nel suo pensiero, Mons. Perrelli riesce a intrecciare con maestria le voci dei santi e dei profeti del nostro tempo. La sua riflessione si arricchisce delle parole di Papa Leone XIV, che ci invita a guardare gli altri con occhi nuovi, e di Don Primo Mazzolari, una voce profetica del Novecento, che con la sua “Via Crucis del povero” ci ricorda che “i morti vanno continuati”. La vera memoria, infatti, non è mai stanca né nostalgica, ma è viva, attiva e rivolta verso il futuro. In questa luce, la celebrazione della S. Messa l’11 giugno alle 18.00, nella Chiesa del Monte dei Morti, acquista un significato ancora più profondo. Non si tratta solo di un rito, ma di un atto di comunione con chi non è più con noi, un dialogo che rompe le barriere del tempo e riporta in vita il presente. Con l’invocazione di Sant’Antonio nel cuore, il cappellano ci ricorda che la preghiera è l’ancora che ci tiene saldi nella tempesta, e che i nostri defunti, proprio come fari nella notte, possono ancora illuminare il cammino dei vivi. Mons. Perrelli ci lascia infine con un’immagine potente: Gesù con le mani e i piedi crocifissi, ma con il cuore e la mente liberi. È l’icona della speranza, della libertà interiore che nasce dall’amore. È un invito per ciascuno di noi a coltivare un cuore integro, a scegliere la logica del servizio e a rifiutare la cultura dello scarto. In un tempo che tende a dimenticare, escludere e chiudersi, questa è la rivoluzione più urgente: tornare a essere umani.
“Ci vuole continuità tra cimitero e vita.”
Che le parole del cappellano non restino eco fra le tombe, ma diventino seme fecondo nei cuori di tutti."
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