di FRANCO CIMINO
1969, 12 dicembre, ore 16,37, Milano, Banca Nazionale dell’Agricoltura. Nonostante l’orario prossimo alla chiusura, ancora tanta gente quando deflagra un ordigno di notevole potenza. Un rumore assordante, intreccio orribile di colpo di cannone, tuono di tempesta e starnuto del diavolo, dà il via al fumo acre e nero che copre tutto l’ampio elegante salone con il tetto a cupola. Non si vede più niente, urla e pianti sono gli unici “ suoni” disperati che si odono anche da fuori. Quando il silenzio ripiomba su quel campo di guerra inattesa e la nuvola nera si assottiglia, i primi soccorsi contano 17 morti e 88 feriti. Il rumore riprende a farsi spazio. Sono le urla che si confondono alle sirene stonate delle ambulanze e dei mezzi delle forze dell’ordine. Al centro del salone un enorme cratere, più inquietante di quello di un vulcano in eruzione. Milano è in quell’anno la Città che più gode della gioiosa frenesia del boom economico e il Natale, che sta iniziando, è la festa della serenità e del denaro che veicola da negozio in negozia con una veloce quantità superiore ad ogni altro giorno, compreso quel 7 dicembre, in cui la Scala si veste d’argento e d’oro. In quello stesso giorno altri tre ordigni vengono fatti scoppiare, a pochi minuti di distanza, in due banche di Roma e in una via di Milano. Qui non ci sono morti, solo 17 feriti, alcuni gravi. Inizia da qui l’altro ventennio nero della storia del novecento italiano.
Da questa, che è considerata “ la madre di tutte le stragi” , inizia il tempo terrorizzato degli anni di piombo, che getteranno l’Italia nel baratro dell’incertezza e della paura. A quella di Milano seguiranno quelle più sanguinose. Il 22 luglio del 1970, deraglia un treno a Gioia Tauro ( 6 morti), il 31 maggio un Fiat 500 imbottita di esplosivo provoca la morte di tre carabinieri. E poi,Piazza della Loggia a Brescia, 28 maggio 1974 ( 8 morti), il treno Italicus, esploso come un palloncino in galleria il 4 agosto 1974 (12 morti), la sala d’attesa seconda classe (!?) della stazione di Bologna il 2 agosto 1980( 85 morti), 23 dicembre, bomba sul rapido 904 fatta esplodere a San Benedetto Val di Sambro ( 17 morti). Queste le più pesanti. Più alto del numero dei morti è quello dei feriti, moltissimi di questi costretti a vivere, per le gravi infermità subite, una vita più crudele della morte. Un secondo ventennio nero, perché, se le stragi in qualche modo si fermano un po’ prima, addirittura dall’avvento del terrorismo rosso e della sua strategia del terrore? Semplicemente, perché l’intelligenza criminale, che ha ordito il piano eversivo, ha continuato ad utilizzare pezzi dello Stato e gangli vitali delle istituzioni, per nascondere le prove, deviare le indagini, coprire i responsabili materiali delle stragi e mantenere attiva in altri modi la minaccia contro la Democrazia. Per lunghissimi anni e infiniti processi si è tentato di coprire la responsabilità, chiamiamola pure “criminal-politica”, di quella orribile lunga stagione, facendo ricadere la colpa, spesso riuscendovi con la rovina delle vite di persone innocenti, su anarchici e movimenti dell’estremismo comunista. La trama, invece, fu subito evidente, quasi una firma sui delitti. E fu trama nera. Il piano di sovvertimento dello Stato democratico, con i ripetuti golpe solo per poco evitati all’ultimo minuto, era di marca fascista. L’Italia è rimasta per vent’anni, e poi, con la complicità del folle terrorismo rosso di fine anno settanta e quasi tutti gli ottanta, seduta sul baratro.
Da fuori confini, tale disegno fascista, era finanziato e sostenuto dal club dei regimi fascisti d’Europa e del mondo. Quelli del Sudamerica, Argentina e Cile in testa, e le nostre consorelle Grecia, Spagna e Portogallo. Tutti ad attendere una nuova dittatura in Italia per realizzare una vera Internazionale nera, capace di dividere il pianeta tra due emisferi antidemocratici e totalitari, fascista e comunista, con gli Stati Uniti a rimanere isolati o a farsi coooptare dal primo. Insomma, ce la siamo vista davvero brutta. Se ci siamo salvati, pur pagando prezzi incalcolabili, il merito è delle forze popolari e democratiche e del mondo sindacale, tutti uniti nelle istituzioni e, nelle piazze, accanto a milioni di lavoratori, studenti, intellettuali e gente comune. Quel popolo in lotta contro il nuovo fascismo e, anni dopo, contro le Brigate Rosse e affini, è stata la più grande lezione di democrazia che gli italiani hanno dato al mondo intero. Una sorta di nuova Resistenza, che ha formato una nuova coscienza, individuale e collettiva, e la ferma consapevolezza che nulla valga più della libertà di recente conquistata con le lotte partigiane di liberazione. Io c’ero, giovanissimo e sognatore, in quelle piazze, con tutte le variopinte bandiere che coloravano il cielo anche nelle sere che riposavano le esaltanti fatiche di quelle giornate. Non avevamo paura-comunisti, democristiani, socialisti, liberali e repubblicani- anche quando di notte ci mettevamo su quei treni arrugginiti, che dalla Calabria ci portavano a Roma, a Bologna e a Milano. Non avevamo paura nemmeno di stiparci a centinaia di migliaia in quei luoghi dell’incontro della Politica per la Democrazia, per la quale la Politica è nata. Troppo forti i nostri ideali, per nulla diversi nei giovani che li coltivavamo pur dentro la diversità dei corpi politici, i partiti, che li nutrivano organizzativamente.
Troppo forti, per aver paura degli attentati contro di noi. E ancora più forti quando, nella mia Roma universitaria degli anni settanta, gli estremisti di destra e di sinistra, prima di sprangarsi sanguinosamente tra di loro, andavano separatamente a caccia di democristiani, considerati i soldati di un vecchio potere da abbattere con le armi. Se le sezioni di partito e la militanza furono la scuola della nostra coscienza politica e dell’arte di praticarla, quelle piazze furono la palestra in cui forgiare le nostre idealità. Di più, il luogo in cui imparammo il valore del confronto delle diversità e l’obbligo di cercare sempre l’unità, mai demonizzando il nemico e mai coltivando odio per alcuno. Neppure per i nuovi barbari, da colpire inesorabilmente sempre con la forza del diritto, nella piena osservanza dei principi costituzionale. Fu guardando ai giovani dei paesi prigionieri della dittatura che in quelle nostre lotte maturai la volontà di non rinunciare mai a recarmi alle urne e a esprimere una preferenza elettorale. A loro era vietato votare e io per loro sarei andato ai seggi fino all’ultimo giorno della mia vita. Sono felice che questo giorno non sia anzitempo arrivato per poter godere ancora del più grande beneficio della democrazia, il voto. Mi addolora solo che tanti giovani, oggi, non hanno potuto formarsi una coscienza politica capace di fagli valutare l’importanza di questo prezioso strumento, mentre sono costretti ad assistere al peggiore spettacolo comico e drammatico che mai la politica italiana abbia potuto offrire nel corso della sua storia.
Studino, però, e tanto. Burdino la realtà con i propri occhi. Si informino. E anche se la scuola, troppo chiusa nel suo tecnicismo pure anacronistico, non intende informare sui tragici fatti mossi contro la democrazia nel novecento, riflettano su ciò che sta avvenendo e sul rischio che l’ Europa possa non essere quella disegnata dai suoi grandi padri fondatori e l’Italia quella che la Resistenza vuole che per sempre sua. Il modo migliore per capirlo, è saper cogliere le sottili modifiche che in quest’ultimo ventennio, pur se diverso dei primi due, le potenti oligarchie finanziare hanno sottilmente introdotte nella nostra democrazia, sensibilmente già modificandola. E ribellarsi, facendo la Politica. Perché la Politica, quella che i miei coetanei, con me, hanno vissuto, prima che sia praticata, la si crea. Nella mente e nel cuore, quale spazio divino nel quale l’essere umano si unisce agli esseri umani per trasformare il sogno in progetto. E far sì che l’Utopia si compia.
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