di STEFANIA PAPALEO
Nel momento di bussare alla sua porta per trascinarlo in carcere nell'ambito del blitz contro il clan dei Gaglianesi, i carabinieri avevano rinvenuto in casa di Manuel Pinto circa 120 grammi di sostanza stupefacente e soldi in contanti. Da lì l'arresto in flagranza di reato andato ad aggiungersi alla misura cautelare disposta con l'ordinanza a firma del gip Gilda Danila Romano, che ha travolto ben 34 persone accusate a vario titolo di “associazione di tipo mafioso”, “estorsione”, “rapina”, “usura”, “lesioni personali”, “truffa”, “associazione per delinquere” “autoriciclaggio” e “trasferimento fraudolento di valori”, reati anche aggravati dalle finalità e/o modalità mafiose, ipotizzati dai sostituti procuratori Veronica Calcagno e Debora Rizza.
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Stamattina la decisione del gip Sara Merlini di rigettare la richiesta di applicazione della custodia in carcere avanzata dal sostituto procuratore Francesca Ravizza e di concedere all'indagato la misura meno grave dell'obbligo di firma, in accoglimento della tesi difensiva portata avanti dall'avvocato Anselmo Mancuso. Pinto, infatti, ha sostenuto che il denaro non è altro che il provento dell'attività lavorativa della moglie, mentre la sostanza stupefacente era destinata a uso personale.
Manuel Pinto, dunque, resta in carcere nell'ambito del principale filone d'indagine che lo vede come organizzatore del clan e uomo di fiducia di Vincenzo Graziano Santoro, detentore di armi per la cosca e a supporto dei detenuti, ma anche deputato a mantenere rapporti con i clan di San Leonardo di Cutro, con i Mancuso di Limbadi e Iozzo di Chiaravalle.
Accuse contro le quali ieri, nel corso dell'interrogatorio di garanzia, davanti al gip Romano, l'indagato si è avvalso della facoltà di non rispondere, secondo una precisa strategia difensiva messa a punto dall'avvocato Anselmo Mancuso, che si è riservato di presentare istanza di scarcerazione davanti al tribunale della Libertà.
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