
di M. CLAUDIA CONIDI RIDOLA*
Le idee meritano sempre rispetto, soprattutto quando provengono da figure che hanno segnato la storia delle istituzioni e del Paese. Tuttavia, anche l’opinione più autorevole conserva un valore relativo se non viene inserita nel contesto in cui è nata. Nessuna posizione, nemmeno quella di chi ha sacrificato la vita per la giustizia, può essere trasportata meccanicamente dal passato al presente senza subire inevitabili distorsioni. Le idee vanno comprese, non venerate; contestualizzate, non utilizzate come strumenti di legittimazione. Il diritto, del resto, non è un corpo immobile: è un organismo vivente, che respira con la società, ne assorbe i mutamenti e si modella sulle sue esigenze. Pretendere di applicare le parole di ieri alle sfide di oggi significa ignorare che il tempo modifica le condizioni, gli scenari, le priorità e persino il senso stesso delle affermazioni. È in questa prospettiva che ritengo necessario rileggere anche ciò che disse Giovanni Falcone. Quando affermava che il pubblico ministero, nel sistema accusatorio, rappresenta una parte e non può avere “parentela” con il giudice; quando sottolineava che il giudice deve rimanere una figura neutrale, estranea alla dinamica dell’accusa; quando criticava l’indistinguibilità tra PM e giudice derivante da formazione e carriere unificate; quando auspicava figure “strutturalmente differenziate” all’interno di un modello più coerente con il nuovo processo penale, egli parlava in un preciso momento storico, segnato da un codice appena riformato e da un equilibrio istituzionale molto diverso da quello odierno. Non esprimeva un giudizio sulle riforme costituzionali che oggi animano il dibattito pubblico, né delineava in modo rigido ciò che sarebbe accaduto più di trent’anni dopo. Parlava da magistrato immerso nelle esigenze operative di quel periodo, non da profeta chiamato ad anticipare le tensioni del nostro presente. Per questo considero fuorviante — e giuridicamente improprio — l’uso delle sue parole come se fossero un’etichetta spendibile in ogni stagione. Falcone non è un argomento d’autorità: è un patrimonio culturale, un metodo, un esempio. Le sue idee hanno un valore incalcolabile, ma non sono sottratte al tempo. Sono figlie del tempo. E il tempo cambia. Come avvocato, e come cittadina, ritengo che proprio l’onestà intellettuale imponga di riconoscere che il passato non può guidare il presente se non attraverso una rilettura critica e attuale. Ed è qui che si inserisce la mia considerazione personale: se oggi Falcone tornasse sulla scena, nel mondo complesso e stratificato che abbiamo davanti, nella società trasformata e nelle mafie profondamente evolute nei loro metodi, nelle loro economie e nelle loro relazioni, credo che rivedrebbe molte delle sue idee, ne ridefinirebbe i confini, forse ne riformulerebbe alcune e ne supererebbe altre. La sua forza stava proprio nella capacità di adattarsi, di comprendere il mutamento, di cogliere i segnali del futuro. E allora sono convinta che rivedrebbe anche lui stesso molte cose dette in un contesto che non esiste più. Questa non è una mancanza di rispetto: è il riconoscimento più autentico di ciò che significa essere un giurista vivo nel suo tempo. È questa, in definitiva, la ragione per cui credo che il richiamo al passato debba avere un limite: non per dimenticare, ma per non cristallizzare. Perché il presente ha il dovere di costruire le proprie soluzioni, non di vivere all’ombra delle parole di ieri.
*Avvocato
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