di FRANCESCO PARAVATI
Per fortuna anche in questo campionato strano e malato c’è chi ci ricorda che il calcio è il gioco più bello, e onesto del mondo. Il mister Claudio Ranieri ha fatto un altro miracolo, ha preso un squadra rotta e l’ha aggiustata, lui che ormai è il mister Wolf del calcio internazionale, il mago che ripara i palloni bucati e le squadre demotivate.
Ranieri non è un allenatore come ce ne sono tanti, nel bene o nel male è l’esempio vivente di un calcio che sembra scomparso, fatto di sole che batte su campi di pallone di terra e polvere che tira vento, diventati campi di erba solo per chi ha coraggio, altruismo e fantasia. I particolari da cui si giudicano i campioni veri, come il nostro Claudio, indimenticato capitano del Catanzaro dei miracoli. Per i detrattori è un 'aggiustatutto', tinkerman lo chiamano gli inglesi, il tecnico di squadre ormai condannate alla mezza classifica, bene che vada, da chiamare come ultimo tentativo prima della rottamazione. Eppure succede che a volte il rottame diventi un bolide, grazie al mestiere di quel gran genio del meccanico, che con un cacciavite in mano fa miracoli, regola il minimo, alzandolo un po’ per non picchiare in testa e quello che era un rottame riprende allegramente a viaggiare, ed evitare le buche più dure, magari conquistando una salvezza insperata o una Premier League mai nemmeno sognata.
Perché miracoli non per forza, e non sempre, sono eclatanti, non si tratta di resuscitare morti, o di raddrizzare storpi, ma di ridare fiducia ai depressi e voglia di vincere ai dimenticati. Ad ognuno la propria cura, e mister Ranieri sembra avere un rimedio ad ogni male, come il calendario di frate indovino. Perché lui alle ricette della nonna ci crede, e di poche regole fisse pretende rispetto foss’anche solo quella di non fumare bere e scopare prima della partita. Il massimo della mondanità che concesse ai soldatini del Leicester ormai in odor di vittoria fu una lezione su come fare la pizza prima di mangiarla. Della serie ve la dovete guadagnare, finì con le pizze in faccia e una storica vittoria in Premier League per chi mai aveva neanche sognato tanto. Se a cena con lui e stappa una bottiglia di vino attento a non esagerare, o a non farti beccare che fumi una sigarette dopo le meraviglie della cucina ella moglie Rosanna, potresti ritrovarti a non essere più convocato senza neanche un perché.
Quando un più giovane pagato e brizzolato allenatore, gli rubò il posto al Chelsea e lo chiamò vecchietto, lui non perse la calma e lo attese sulla sponda del fiume Soar, che attraversa placidamente la città di Leicester nei pressi dello stadio. Gli rifilò un umiliante 2-1 che mise in crisi l’allenatore più pagato del mondo, lanciando l’allenatore più umile del mondo a diventare il primo mister italiano a vincere la tostissima Lega inglese. Non solo ma, elegantemente, diede un calcetto spintone al cadavere galleggiante dell’acerrimo nemico, cavalcando il suo cavallo di battaglia, l’attaccamento alle maglie che ha allenato, commentando la vittoria “Sono felice per il mio Leicester ma dispiace vedere il Chelsea finire così in basso”. E giù applausi e pinte di birre come se piovesse nei pub di mezza Inghilterra, che ha ad odio la squadra più ricca e meno tifata del mondo.
Sempre a Leicester quando in pieno tripudio di bandiere biancazzurre nel King Power Stadium impazzito per la conquista della premier qualcuno dagli spalti gli tirò una sconosciuta sciarpa giallorossa di una città dal nome esotico non esitò a indossarla e baciarla durante il giro di campo che lo proclamò per una notte Re di Inghilterra e miglior allenatore della Uefa omaggiando il Catanzaro che gli aveva regalato gli amori della sua vita: la sua famiglia e il calcio giocato.
Del resto quando doveva cacciare Totti perché giocava male e pensava ad aprire ristoranti non ci pensò due volte, anche se poi mancò per un soffio lo scudetto proprio con la maglia della magica Roma che sognava da bambino nella “sua” Testaccio.
Se questo è l’uomo come meravigliarsi che a 68 anni suonati, dopo una vita mediano passata a recuperar palloni e lavorare sui polmoni, continui a rifiutare, al contrario di più blasonati colleghi, facili e superpagate mete esotiche in cui il calcio giocato è un pretesto per stampar magliette (dalla Cina a Dubai l’ultimo gran rifiuto in ordine di tempo), continuando invece ad accettare sfide impossibili che anche un esordiente rifiuterebbe. Sempre per colpa di quella maledetta malattia di chi ama il pallone preso a calci e non manovrato in Cda. Perché Ranieri è un malato di calcio giocato, se non allena, bene o male, ingrassa, era arrivato a 100 chili tondi prima di sbarcare a Genova, e lo stop del Corona Virus e il lockdown in casa con la moglie non ha aiutato.
Ma gli basta una sfida impossibile per ritornare un figurino. Naturalmente alcune vanno bene (Nantes, Leicester, Samp solo per citarne alcune), altre male (nazionale Greca e Fulham su tutte) vista la difficoltà imbarazzante delle proposte, ma quando vanno bene, soprattutto se si hanno campioni s da ricaricare e giovani talenti da far sudare, che soddisfazione.
L’ultima se l’è presa domenica scorsa. Con una squadra, la Sampdoria e una città, Genova, che sembravano fuori dal mondo, in cui vecchi ronzini in prepensionamento e giovani promesse in prestito hanno affrontato la Juventus più brutta e cattiva di sempre, non concedendo neanche un metro. Ranieri si è fidato anche del presidente Ferrero (a Roma lo chiamano “viperetta”, non proprio uno di cui fidarsi), strappando un contratto di due anni per ricostruire ma trovandosi davanti a zero rinforzi. Ha preso a schiaffoni Quagliarella e lo ha fatto tornare il bomber di una volta, ha recuperato i giovani che lavoravano di più e li ha fatti giocare meglio di quel i che giocavano sempre, ma si allenavano di meno. Ha ricostruito una squadra storica di una città meravigliosa, che sembravano crollate assieme al ponte Morandi e le ha riportate a riveder le stelle. I Doria rimangono in serie A con tre giornate di anticipo in un campionato che sembrava destinato ad altro. Poi il tocco di classe di chi non dimentica e la vendetta, sportiva, servita fredda su un piatto d’argento. Dopo aver quasi rovinato la festa per il nono, e più brutto, scudetto di fila, tra feriti in campo e i soliti rigori, segno della voglia di vincere dei blucerchiati senza niente da perdere se non l’onore, agli juventini sono saltati i nervi. In un Olimpic Stadium in cui i soli spettatori erano dirigenti e giocatori hanno alzato i toni fuori misura reclamando Var e calci piazzati inesistenti. E lui King Claudio, ci regala l’ennesima perla a favore di microfono, si rivolge a denti stretti ai dirigenti juventini in Tribuna autorità: “Voi siete la Juventus non potete comportarvi così”. Impartendo, oltre che una lezione d calcio anche una lezione di stile agli eredi di quelli che qualche anno prima lo avevano licenziato senza altra ragione che le bizze del campione di turno lasciato in panchina. Insomma… “Sò soddisfazioni!”. Perché non è dai calci di rigore che si giudica un giocatore, e neanche un allenatore, quelli veri, li vedi dal coraggio, dall’altruismo dalla fantasia…
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