di STEFANIA PAPALEO
La Corte di Cassazione ha ormai deciso in via definitiva: Luigi de Magistris con i suoi due articoli titolati "Le Mistificazioni del regime" e "Il giudice di Why not… non di Berlino" ha diffamato l’imprenditore catanzarese Maurizio Mottola di Amato e sua moglie, il giudice Abigail Mellace, attualmente in servizio presso la Corte d'Appello di Catanzaro. E lo ha fatto in un contesto di veleni giudiziari scivolati lungo le aule di giustizia per ben dodici anni. Ma adesso l’ex pm di Catanzaro, spogliatosi nelle more della toga di magistrato e approdato prima al Parlamento europeo e poi sulla poltrona di sindaco di Napoli, chiede scusa. E si dice rammaricato per avere offeso la reputazione di marito e moglie, con l’auspicio che il tempo possa diradare “i momenti di gravissima tensione che ci hanno coinvolto da posizioni contrapposte”.
Un vero e proprio colpo di scena, dunque, in una guerra a colpi di carta bollata iniziata negli anni ruggenti della cronaca giudiziaria in Calabria che ha visto nascere e morire la dirompente inchiesta “Why Not” sulla gestione dei fondi comunitari in Calabria che, dopo aver provocato perfino la caduta dell’allora governo Prodi, travolse anche il giudice che, mettendo mano a quelle stesse carte, scrisse un diverso copione.
La vicenda, infatti, strada facendo, approdò sulla scrivania dell'allora giudice distrettuale Abigail Mellace, che, a marzo del 2013, ribaltando ruoli e protagonisti della vicenda, portò il fascicolo al capolinea, con 34 assoluzioni e 8 condanne, ritenendo infondata buona parte della impostazione accusatoria messa su nel fascicolo che, peraltro, nel 2007, fu tolto a Luigi de Magistris. Da lì l’ira dell’ex pm, sfogata sul proprio blog con dichiarazioni che il giudice e il marito ritennero parziali e infondate, comprese quelle relative al presunto coinvolgimento nella stessa inchiesta dell’imprenditore Mottola d’Amato, tirato in ballo da De Magistris per un biglietto da visita trovato tra le carte di uno dei principali indagati e risalente, in realtà, agli anni ’90, epoca in cui il marito del giudice Mellace svolgeva la professione di avvocato.
Ma che ciò fosse infondato lo hanno decretato tutti i giudici che si sono succeduti nei processi all’ex pm che oggi, carta e penna alle mani, torna sui suoi passi e, a sorpresa, scrive una lettera per chiedere le scuse (accettate) all'imprenditore Mottola e al giudice Mellace, assistiti fin dall’inizio della vicenda giudiziaria dall’avvocato Valerio Zimatore. Dunque, pace fatta!
IL TESTO DELLA LETTERA MANDATA DA LUIGI DE MAGISTRIS A MOTTOLA DI AMATO E ABIGAIL MELLACE
Egregio avvocato Maurizio Mottola di Amato,
a conclusione del lungo contenzioso che ci ha visti purtroppo contrapposti dal 2011 al 2023, intervenuta la sentenza della Corte di Cassazione che ha ritenuto diffamatorie le espressioni da me pubblicamente rivolte nei suoi confronti, desidero manifestarle il mio profondo rammarico per aver offeso la sua reputazione, pur non essendo comunque mai state queste le mie intenzioni. Men che mai volevo mettere in discussione la sua persona sia sul piano personale che professionale.
Così come non era mia intenzione recare nella maniera più assoluta offesa nei confronti di sua moglie, e me ne dolgo se così son state percepite le mie dichiarazioni, non mettendo in dubbio le sue capacità professionali di magistrato.
Non posso essere che lieto per lei che le indagini preliminari da me dirette, nei vari gradi di giudizio si siano dimostrate infondate nei suoi confronti non portando a nessuna responsabilità e dimostrando, quindi, la bontà delle sue ragioni.
In definitiva, ritenendo che dopo tanti anni il tempo possa diradare momenti di gravissima tensione che ci hanno coinvolto da posizioni contrapposte, posso oggi solo chiederle di accettare le mie scuse, se con le mie parole, mio malgrado, ho danneggiato la sua reputazione, augurandomi che ciò sia sufficiente per restituirle la serenità personale, imprenditoriale e familiare che in passato ho fortemente turbato e compromesso.
Luigi de Magistris
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