Confermata l'assoluzione all'imprenditore Filadelfio Fedele: nessun legame con la cosca Giampà

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La Corte d' Appello di Catanzaro
  08 luglio 2019 17:09

Si conclude anche in secondo grado, con il rigetto dell’appello del Pm e la conferma dell’assoluzione, perché il fatto non sussiste, già riconosciuta dal Tribunale collegiale di Lamezia Terme, un altro capitolo della intricata vicenda giudiziaria che ha visto coinvolto l’Imprenditore lametino Filadelfio Fedele, accusato di favoreggiamento personale, con l’aggravante di avere agevolato la cosca Giampà.
Arrestato nell’operazione “Medusa”, già in fase cautelare le originarie accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e di concorso in rivelazione di segreti d’ufficio, mosse a Fedele, erano state “ridimensionate” in un’ipotesi di favoreggiamento personale, con l’esclusione dell’aggravante dell’agevolazione del clan lametino.
L’ ufficio di Procura, anche sulla base di ulteriori apporti dichiarativi di “nuovi” collaboratori di giustizia,  aveva chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per il delitto di favoreggiamento aggravato, ribadendo l’accusa – per il Fedele – di aver favorito la cosca Giampà.
Ancora, la Procura – su impulso della Direzione Investigativa Antimafia – aveva avviato un parallelo giudizio di prevenzione davanti al Tribunale di Catanzaro, al fine di ottenere il sequestro di tutti i beni del Fedele (funzionale alla confisca) e l’applicazione della sorveglianza speciale nei confronti del “proposto”.
Il procedimento di prevenzione, dopo una lunga battaglia giudiziaria, nel corso della quale il Fedele – tra l’altro – aveva dimostrato la provenienza lecita di tutti i beni a lui riconducibili, si è concluso con il rigetto integrale della proposta, personale e reale, avanzata dal Pubblico Ministero, sia in primo grado che davanti alla Corte di Appello di Catanzaro. A porre la parola “fine” sul giudizio di prevenzione, poi, ci ha pensato la Suprema Corte di Cassazione, nel gennaio 2017, confermando l’impostazione difensiva con il conseguente rigetto del ricorso presentato dal Procuratore Generale calabrese.
Nel luglio del 2017, nel processo penale ordinario, anche il Tribunale Collegiale di Lamezia Terme (presidente Carè), dopo un lungo dibattimento, aveva assolto il Fedele perché il fatto non sussiste, evidenziando la fumosità e genericità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, principali accusatori dell’imprenditore.
Esito decisorio che non aveva soddisfatto la Procura Distrettuale, tant’è che il Pm si affrettava a presentare appello chiedendo la riforma della sentenza dei Giudici lametini.
Oggi, dopo le arringhe degli avvocati difensori Pino Zofrea e Francesco Iacopino, che hanno presentato anche una corposa memoria corredata da allegati, e una lunga camera di consiglio, un altro punto fermo è stato “segnato” dalla Corte di Appello di Catanzaro (presieduto da Pezzo), con la conferma dell’assoluzione del Fedele dalla infamante accusa a suo carico, perché il fatto non sussiste.
Il Procuratore Generale aveva chiesto l’accoglimento del gravame e la condanna a quattro anni di reclusione.
Viva soddisfazione è stata espressa dagli avvocati Zofrea e Iacopino al termine della lettura del dispositivo: “dopo sette anni di autentico calvario, personale e familiare, la conferma della pronuncia assolutoria deliberata dalla Corte di Appello di Catanzaro – che si somma alla decisione dei Giudici lametini e, quanto al procedimento di prevenzione, a quelle dei giudici catanzaresi e della Suprema Corte –, contribuisce a riaffermare la dignità di uomo “onesto” in capo a Fedele, ingiustamente privato della propria libertà personale e ingiustamente accusato di fatti che, fondati su mere ipotesi e congetture, prive di riscontri, si sono ancora una volte infranti di fronte a un serio vaglio critico. Ci auguriamo che questa ennesima pronuncia favorevole (la quinta) possa destinare a conclusione questa tormentata vicenda”.

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