Contro il genocidio di Gaza, Mengani: “La voce della coscienza che non può tacere”

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  21 settembre 2025 16:51

di TERESA MENGANI

C’è un’immagine che resta come un pugno allo stomaco: il vescovo di Napoli che, durante la sua omelia, alza la voce non solo come guida spirituale ma come uomo che non accetta il silenzio. Io, profondamente laica, non riconosco autorità nelle vesti religiose. Eppure quelle parole mi hanno toccata. Perché quando la parola si fa grido di umanità, supera i confini di ogni credo e diventa respiro comune.

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Ciò che accade a Gaza non è soltanto guerra. È l’annientamento sistematico di un popolo con l’arma più crudele e antica: la fame. Affamare bambini, spegnere i forni, tagliare l’acqua, impedire l’arrivo di medicinali: significa colpire il cuore stesso della vita. È un crimine che nessuna retorica di “necessità militare” può giustificare. È genocidio alla luce del sole, protetto dal silenzio e dall’ipocrisia di governi che preferiscono distogliere lo sguardo.

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Ogni palazzo che crolla, ogni scuola bombardata, ogni ospedale devastato, non distrugge solo Gaza: mina le fondamenta della nostra civiltà. Perché ciò che viene meno non è un territorio, ma la fiducia che l’essere umano sappia ancora scegliere la vita invece della morte. Chi bombarda i corridoi umanitari, chi colpisce le tende dei rifugiati, non spezza soltanto corpi: lacera la coscienza del mondo.

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Mentre un popolo viene cancellato, il pianeta intero si arma fino ai denti. Le spese militari crescono senza freni, alimentando una spirale che ci trascina verso l’abisso. Si parla di pace con le labbra, ma si stringono contratti di armi con le mani. Capi di governo che dovrebbero custodire la vita diventano mercanti di morte.

Non è solo Gaza a morire: è la speranza. La speranza che dopo Auschwitz, dopo Srebrenica, dopo le stragi del Novecento, l’umanità avesse imparato. La speranza che “mai più” fosse un impegno, non uno slogan. Invece assistiamo a un “ancora” che si ripete, con la complicità di un mondo che si volta dall’altra parte.

Ecco perché la voce del vescovo di Napoli è importante: non perché provenga da un pulpito, ma perché ha il coraggio di rompere la coltre di indifferenza. Non è questione di fede, ma di dignità umana. Quando un bambino muore di sete, quando una madre stringe il corpo senza vita di suo figlio, quando un popolo intero viene ridotto in polvere, nessuna neutralità è possibile. Tacere equivale a essere complici.

Il genocidio di Gaza è un grido che interroga ciascuno di noi. Non basta indignarsi per un giorno per poi tornare all’abitudine. Non possiamo accettare che la strategia della fame, delle bombe e del ricatto diventi normalità. Ogni parola, ogni gesto, ogni presa di posizione conta.

E non si tratta solo di Gaza. Oggi, decine di guerre e conflitti divorano popoli, terre, speranze. Il mondo si sta spegnendo nel fuoco delle armi. Se davvero vogliamo riscattare l’umanità, dobbiamo iniziare da qui: dal dire con forza, senza compromessi e senza paura, che la distruzione di un popolo è la distruzione di tutti noi.

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