di VINCENZO BERTOLONE*
«Quanto più l’uomo sentirà la propria vita come compito, tanto più essa apparirà significativa».
Il legame tra le parole dello psicoterapeuta Viktor Frankl ed i giorni nostri, segnati dalla lotta ormai mondiale alla Covid 19, è nelle immagini, che dalle città italiane ed europee arrivano nelle cronache: marciapiedi affollati, strade intasate d’auto, gente che fa jogging. Pur con la comprensione dovuta a chi negli ingorghi si ritrova per raggiungere un medico o il posto di lavoro, tutto il resto suona e incomprensibile, se non assurdo, come in Campania, dove l’ordinanza che imponeva la sospensione delle attività fisiche all’aperto è stata impugnata davanti al Tar, che, però, ha rigettato il ricorso, ritenendo prevalente la tutela della salute pubblica. È questo un punto fondamentale: correre aiuta a far stare meglio il singolo, mentre restare a casa, almeno in questo momento storico eccezionale, protegge l’intera comunità, specialmente i più deboli, cioè anziani, ammalati ed emarginati.
Da queste vicende traspare ciò che siamo: implacabili nel denunciare i doveri della società, della politica, della carità pubblica nei nostri riguardi, ma reticenti e sfuggenti quando si tratta di riconoscere i nostri impegni nei riguardi del prossimo. Spesso, a fondamento di ogni pretesa, ci si appella alla libertà, che da base per il riconoscimento della dignità della persona viene stiracchiata fino a divenire lasciapassare per l’egoismo e la prevaricazione. Ed allora, in questo come in quel che accade nella quotidianità, l’esigenza profonda di esaltare un’altra componente umana, altrettanto decisiva: la responsabilità. Essa nasce dalla coscienza, si nutre di etica ed è pronta ad autoimporsi limiti e obblighi perché nella società la presenza della persona sia edificatrice.
Se la libertà è il territorio in cui ci si muove, la responsabilità è il tracciato delle strade che si percorrono. «Essere uomo è essere responsabile», ricordava lo scrittore Antoine de Saint-Exupéry. Purtroppo, capita sovente di assistere ad atti irresponsabili che sbocciano dalla libertà senza essere sottoposti al controllo di ragione e volontà. Un lusso che oggi, e non solo per la necessità di arginare effetti e conseguenze del coronavirus, l’umanità non può concedersi. Serve, piuttosto, proprio responsabilità, termine che etimologicamente rimanda al verbo latino “spondère”, che vuol dire “impegnarsi”, “assumere un obbligo”, e implica l’assunzione di un impegno serio. Il richiamo ad essa, dunque, è un invito a tener conto della valenza profonda dell’impegno personale verso gli altri, in una relazione che noi cristiani definiamo amore che unisce il singolo agli altri uomini ed a Dio, con poche, semplici azioni, come quelle riproposte in un’intervista da papa Francesco, per indicare la via da seguire: «Dobbiamo ritrovare la concretezza delle piccole cose, delle piccole attenzioni verso chi ci sta vicino. Ci sono gesti minimi, che a volte si perdono nell’anonimato della quotidianità, gesti di tenerezza, di affetto, di compassione, che tuttavia sono decisivi, importanti. Ad esempio, un piatto caldo, una carezza, un abbraccio, una telefonata. Sono gesti familiari di attenzione ai dettagli di ogni giorno che fanno sí che la vita abbia senso».
*Presidente del Consiglio ecumenico delle chiese e Vescovo metropolita
della Curia di Catanzaro- Squillace
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