Coronavirus. La liturgia si "ferma" anche a Taverna, l'emergenza cancella la tradizione secolare del luogo

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  09 aprile 2020 19:58

di CARMINE MUSTARI 

Quello che mancherà ai tavernesi e non solo, in questo periodo dedicato ai riti della settimana santa  saranno quei riti legati immancabili della Pasqua, un fermento di fede e tradizione a braccetto in questi giorni caratterizzati purtroppo dall’emergenza Covid 19, che ha di fatto cancellato quella che è una tradizione secolare e perpetua del luogo. Sono ricordi e ambientazioni sceniche, riti di origine grecaniche, ma che hanno un valore culturale inestimabile, vuoi per la fede, manifestata attraverso una spontanea solerzia ed impegno nella preparazione di un evento come quello del  Venerdì Santo, organizzato dalla Parrocchia di Santa Barbara e dalla congrega, o come la  processione della Naca organizzata dalla confraternita della Madonna del Carmine della parrocchia di Santa Maria Maggiore, Eventi che si alternano e che  negli anni sono seguiti da centinaia di fedeli o semplici avventori appassionati delle tradizioni e del folklore.

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Questo 2020 non avrà il suo periodo di riflessione ne potrà essere condiviso, il Corona Virus si è sostituito alla Corona di Cristo sulla Croce santa, e le celebrazioni si caratterizzeranno dalle sole manifestazioni liturgiche officiate senza popolo dai parroci di Taverna, don Maurizio Franconieri e don Vincenzo Agosto, come accade già da qualche domenica. E restano i ricordi di un esercito di piccoli angioletti e del corteo composto dai vari figuranti che rappresentavano i ruoli di   Maria Madre di Gesù gli apostoli. Un corteo composito, figuranti, banda, simulacri, fedeli, si leggeva la commossa partecipazione della gente, la serietà dei soldati romani, e anche l’incolpevole sorriso di qualche angioletto salutato da qualche meno giustificato cenno di approvazione di un nonno, mamma e via dicendo.

La liturgia si ferma, si ferma la tradizione, le viuzze del borgo, da festose e vivaci sono ora nella più placida mestizia. E poi mancano quei suoni caratteristici che annunciavano la quaresima ovvero la eco dei grandi tamburi, le “Grancascie” che erano lo strumento atto a ricordare il momento di sacralità, e ci pensato i “Grancasciari” i suonatori attori di una tradizione plurisecolare che caratterizza e cadenza il periodo di tutta la quaresima. Una tradizione  che sembra avere origini intorno al XV secolo e che coinvolgeva soprattutto i pastori i quali ricavavano artigianalmente i grandi tamburi. Si usava il legno di castagno lavorato a mano al quale si dava la forma tondeggiante attraverso varie procedure, una era quella di piegare le assi con il vapore sino a ricavarne la forma voluta per la cassa di risonanza, come superficie battente si usava la pelle dell’ariete o del caprone che sono più resistenti.

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Una tradizione nata nel quartiere di Santa Barbara e che conta anche ora proseliti, ad ambire a far parte dei Grancasciari ci sono anche i giovani e i più piccoli, i quali seguono la processione stoicamente per tutta la processione, compresa la levataccia alle 5 del mattino del Venerdì Santo. Grancascie e banda musicale si alternavano nel corso della processione creando un atmosfera di forte emozione. Mancherà tutto questo, perché questo Covid 19 non solo ha fermato i riti, ma ha anche negato la possibilità a molti emigrati di congiungersi per qualche giorno ai parenti agli amici.

 

 

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