Coronavirus. La ricostruzione del "caso Chiaravalle". Chi ha pensato alla prevenzione? Procura a caccia delle responsabilità

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La "Domus Aurea", casa di riposo a Chiaravalle Centrale
  04 aprile 2020 21:15

di GABRIELE RUBINO

Il trasferimento degli anziani della Rsa di Chiaravalle Centrale è l’epilogo di una vicenda che arricchirà il fascicolo già aperto dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri. Mentre il numero dei morti continua ad aumentare, proviamo a fare qualche passo indietro. La soluzione del dirottamento al Policlinico di Catanzaro dei pazienti rimasti a Chiaravalle era, da un punto di vista organizzativo-sanitario, l’extrema ratio poi diventata la scelta definitiva. Si è andati a saturare l’azienda Mater Domini, trasformando il sesto, settimo e nono piano dell’edificio A in “una Rsa di contagiati”. Una soluzione che ha scombinato l’idea iniziale per cui al campus di Germaneto si sarebbe partiti con il trattamento dei pazienti più complicati. Per intendersi, quelli di Terapia Intensiva che potrebbero aver bisogno dell’Ecmo (per la circolazione extracorporea). Tuttavia, la bruttissima piega che aveva preso l’intero “caso” ha imposto di chiudere la partita con un’evacuazione integrale per tentare di salvare i malcapitati anziani.

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LA “STRUTTURA” DI CHIARAVALLE- L’amministratore della struttura, l’avvocato Domenico De Santis, ha accusato “le Autorità” di negligenze ed omissioni e ha annunciato querela nei confronti del presidente Jole Santelli per le sue esternazioni sul caso. Prima puntualizzazione. Dalle carte regionali con cui si ricostruisce l’accaduto, tecnicamente, nell’immobile di Chiaravalle, risultavano operative due entità facenti capo alla Salus Mc: la casa di riposo (Rsa) “Ginestra Hospital” con 40 posti letto accreditati e convenzionati (con sede trasferita da Vallefiorita a Chiaravalle da Dca 153/2017) e la “Domus Aurea” qualificata come casa protetta con un’altra ventina di posti letto, che evidentemente accoglieva pazienti anche in forma privata. Quella di Chiaravalle non è l’unico caso di struttura con contagi. A Bocchigliero la situazione era delicata, ma non ha avuto l'epilogo drammatico di Chiaravalle.

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L’ORDINANZA REGIONALE SU COME AFFRONTARE I CONTAGI NELLE RSA- L’ordinanza numero 20 della Regione, quella sui test agli operatori degli ospedali e delle Rsa, era piuttosto chiara: “Relativamente agli ospiti delle strutture residenziali, in caso di esito positivo del test in soggetto asintomatico o paucisintomatico, il Direttore Sanitario della struttura dispone una stretta sorveglianza e monitoraggio attraverso la predisposizione di aree idonee ed isolate, al fine di evitare la possibile estensione del contagio”. “Il Dipartimento di Prevenzione (dell’Asp, ndr) – continuava l’ordinanza di Santelli - verifica l’idoneità della struttura e delle misure adottate e, di concerto con il Direttore Sanitario, attiva la sorveglianza sanitaria. In caso di comparsa di sintomi il Direttore Sanitario, di concerto con il Dipartimento di Prevenzione, attiva il trasferimento presso le strutture ospedaliere”. Era tutto già scritto, ma qualcosa è sfuggito di mano. Il nodo è stato sbrogliato da una soluzione “irrituale”: una disposizione di trasferimento al Policlinico dei pazienti di Chiaravalle da parte del direttore generale del dipartimento Salute della Regione quando c’erano precisi compiti assegnati al direttore sanitario della struttura privata e del dipartimento Prevenzione dell’Asp di Catanzaro. Il risultato: lo spostamento in un ospedale Hub, non di competenza dell’Asp con i contestuali dinieghi degli ospedali che invece “rispondono” all’Azienda sanitaria provinciale catanzarese parlano chiaro. Qualcosa nella catena di comando non ha funzionato, soprattutto nell’interlocuzione fra erogatore privato (vigilato), con le incombenze in capo al direttore sanitario, ed Asp (vigilante).  

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LA RICOSTRUZIONE EPIDEMIOLOGICA DEL CONTAGIO- Il principio del focolaio della Rsa, stando alle carte regionali, viene rintracciato in un funerale celebrato a Serra San Bruno, il 25 febbraio, a cui hanno partecipato parenti provenienti dall’Emilia Romagna e poi, soprattutto, in una festa organizzata in occasione della Festa della Donna (8 marzo) a cui hanno partecipato queste persone provenienti dal Nord, fra cui una operatrice della struttura della Rsa, la quale aveva partecipato alla festa (con le persone arrivate dall’Emilia-Romagna) ed ha poi fatto i suoi turni nella struttura di Chiaravalle. Il 22 marzo, la stessa donna comunica di essere risultata positiva al Covid-19. È l’inizio dell’escalation.

DALLA PRIMA PAZIENTE POSITIVA ALLA SCOPERTA DEL FOCOLAIO- Una paziente della struttura, il 23 marzo, ha cominciato ad avere la febbre. Il giorno dopo, il 24 marzo, la situazione peggiora. La donna accusava insufficienza respiratoria e viene ricoverata all’ospedale Pugliese di Catanzaro. Sottoposta a tampone, il giorno dopo (il 25 marzo), la paziente era positiva al Covid-19. A quel punto, intuita l’esplosività della situazione, partono i controlli. Nella ricostruzione del dipartimento di Tutela della Salute, venivano “inviati immediatamente 4 operatori sanitari per effettuare lo screening, attraverso il tampone rino-faringeo”. I campioni eseguiti sono stati “119”. Tutti sono stati “processati” al Policlinico di Catanzaro, un’operazione durata tutta la giornata del 26 marzo. I primi risultati sono arrivati il giorno seguente. Le prime batterie conteggiavano 40 pazienti e 12 operatori positivi. Poco più avanti il bilancio peggiorava attestandosi a quello che è rimasto consolidato per qualche giorno 48 ricoverati positivi (il 74%), assieme a 13 operatori. Nella stessa giornata, un membro della task force regionale per l’emergenza, l’infettivologo Benedetto Caroleo parte in direzione di Chiaravalle e redige un verbale. Nel documento riportato indirettamente nella relazione redatta dal dipartimento regionale di Tutela della Salute si legge: “valutati i pazienti clinicamente e con saturimetria, si conveniva che 8 erano bisognevoli di ricovero ospedaliero per supporto con ossigeno, e pertanto si provvedeva ad organizzare il trasferimento nelle strutture ospedaliere di Catanzaro; gli altri erano asintomatici e paucisintomatici”. “Difatti, fra le giornate di venerdì e sabato (27 e 28 marzo, ndr) venivano ricoverati nei due ospedali di Catanzaro 14 pazienti, 9 a Germaneto (Policlinico, ndr) e 5 al Pugliese. Nota a margine: fra questi c’era anche una paziente oncologica poi deceduta il 2 aprile, per intendere l’eterogeneità dei pazienti presenti. A quel punto l’idea di base era quella di fare di Chiaravalle una Rsa-Covid separando i positivi dai negativi. La struttura ha tre piani oltre al piano terra, in due circa 30 posti letto, in un altro 12 e al piano terra 5. “I positivi asintomatici venivano tutti trasferiti, per essere monitorati, in due piani della struttura isolandoli”. Ai negativi sarebbe stato ripetuto il tampone prima “di trasferirli in altra struttura”. Per quanto riguarda gli operatori sanitari. I contagiati venivano, come noto, portati in una struttura messa a disposizione da don Pugliesi (previo accordo con l’Asp) a Catanzaro Lido. Il restante contingente non infetto era tenuto invece a restare ad assistere i malati a Chiaravalle; un sacrificio che costerà alla quasi totalità di loro il successivo contagio.

I NUOVI POSITIVI E I TRASFERIMENTI SALTATI, CON IL GRAN RIFIUTO DI LAMEZIA TERME- E arriviamo al 29 marzo, quando la situazione precipita di nuovo. Questa volta al laboratorio di Microbiologia del Pugliese veniva effettuato il secondo screening sui 16 pazienti in un primo momento risultati negativi. Nella serata, fra questi, altri 11 erano contagiati. Se prima si pensava di spedire i negativi a Soveria Mannelli, l’ipotesi tramonta. Il dg Belcastro contatta il commissario (prefettizio) dell’Asp di Catanzaro, Luisa Latella, e quello (straordinario) di Vibo Valentia, Giuseppe Giuliano, prospettando l’idea di distribuire i pazienti positivi fra gli ospedali di Lamezia Terme e Tropea. All’indomani, con le barricate da Soveria Mannelli, si propone di accogliere i 4 negativi a Soverato e i restanti fra Lamezia e Tropea. A Soverato, ne andranno soltanto 2. La giornata del 30 marzo è l’epicentro della confusione. Il comandante dei carabinieri dei Nas, Pizzurro, e il responsabile del pronto soccorso di Soverato, Zurzolo, si recano presso la struttura. Agli atti della relazione del dipartimento resta che questi “descrivevano una situazione poco rassicurante per i pazienti”. A quel punto, il direttore del dipartimento regionale Salute, Antonio Belcastro, scrive alla commissione prefettizia (prot. N. 122899) che in relazione “alla situazione di grave criticità venutasi a creare”, di trasferire i “pazienti attualmente ricoverati” nell’ospedale di Lamezia Terme. Il direttore sanitario del presidio sanitario unico dell’Asp, Antonio Gallucci, risponde picche. “Le motivazioni per le quali, allo stato non è possibile dare riscontro positivo sono quelle già portate alla Loro conoscenza anche con note precedenti dell’11 e del 13 marzo, ovvero mancanza di adeguati DPI e di apparecchiature dedicate indispensabili per garantire le specifiche attività assistenziali”. Alla comunicazione, Belcastro risponde che tutti i dispositivi di protezione disponibili alla Prociv regionale sono stati consegnati. E ribadisce all’Asp di individuare i presidi in cui collocare i pazienti.

LA DISPOSIZIONE DI TRASFERIMENTO AL POLICLINICO- La situazione, come noto, si sbloccherà soltanto con la disposizione risolutiva del primo aprile con cui il dg Belcastro impone il trasferimento al Policlinico di tutti i pazienti con l’ulteriore indicazione “punitiva” di sospendere il contratto e diffidare anche i ricoveri in forma privatistica. Input recepito dalla commissione prefettizia, che subito sospende il contratto 2020 (per la Ginestra hospital) e richiede l’avvio della procedura di revoca dell’accreditamento regionale. Le Rsa erano state fin dalle prime battute individuate come ambienti vulnerabili, anche per l’età avanzata dei pazienti. Prima che scoppiasse un focolaio come quello di Chiaravalle, qualcuno ha pensato alla prevenzione?    

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