Dall'ultima settimana di novembre fino a pochi giorni fa, il 23% dei braccianti migranti visitati nella clinica mobile di Medici per i diritti umani (Medu) nella piana di Gioia Tauro, avevano tosse, raffreddori, tracheiti, bronchiti o altre infiammazioni delle vie respiratorie. Il 22% è tornato una o due settimane dopo con gli stessi sintomi, a conferma di quanto le condizioni di vita in tende e ghetti, favoriscano le 'recidive' o la continuazione dei sintomi.
Parte da questi dati l'allarme e "la profonda preoccupazione" di alcune ong che lavorano nella zona: in caso di contagi nella tendopoli di San Ferdinando e negli altri insediamenti precari calabresi, "sarebbero difficilmente controllabili e impossibili da gestire da parte del servizio sanitario locale".
Lo denunciano in una nota comune Medu, Mediterranean Hope, Sanità di frontiera, Csc Nuvola rossa, Comitato solidarietà migranti. "Chiediamo che il problema del contenimento del contagio nei luoghi di vita dei braccianti venga affrontato dalle istituzioni con urgenza e con provvedimenti che possano garantire l'efficacia delle misure di quarantena". In particolare, perché "i braccianti si trovano a convivere in gran numero in spazi angusti, privi di validi sistemi di riscaldamento e areazione", oltre alla "carenza di acqua corrente ed elettricità in alcuni insediamenti", per cui diventa difficile ad esempio lavarsi spesso mani e abiti. Da qui una serie di richieste come aumentare le tende per distribuire meglio i migranti all'interno; bagni in più, con pulizia e disinfezione due volte al giorno; uno spazio di quarantena ad hoc, con bagni; dispenser con gel mani all'entrata; un presidio sanitario all'esterno per poter fare un primo screening.
Chiedono inoltre di "permettere il rinnovo dei documenti di soggiorno nelle questure e commissioni territoriali calabresi, in modo da impedire qualsiasi spostamento delle persone che devono andare in altre città per il rinnovo dei documenti".
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