Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta alla presidente della giunta regionale, Jole Santelli, e ai parlamentari calabresi, del giornalista Salvatore Condito
In questi giorni di grande preoccupazione ho dato spazio alla lettura e mi sono imbattuto in un interessante articolo del Gesuita Francesco Occhetta, pubblicato sul suo blog, che riprende il concetto di “ Solidarietà umana”.
Il contesto individualistico nel quale viviamo, che spesso si riduce a vivere le logiche della cultura del “Grande Fratello”, in cui si deve eliminare l’altro, vincere il premio e diventare famosi, rischia di ridurre la solidarietà a un volontarismo altruistico e sentimentale o a una confusa ideologia utopistico-distributiva. E allora è lotta di tutti contro tutti, quella descritta da Hobbes per difendere (almeno il proprio) dividendosi e rompendo i legami anche con i propri fratelli con cui quel proprio lo si era condiviso ed ereditato.
Chiediamoci: ma ha ancora senso parlare di solidarietà? Di questa parolina fastidiosa che nasce nel vocabolario del latino giuridico in solidum, che indicava l’obbligazione da parte di una persona che appartenente a un gruppo di debitori di pagare integralmente il debito?
O meglio la solidarité della rivoluzione francese del 1789 è ancora il sentimento di fratellanza, di fraternità che devono provare fra loro i cittadini di una stessa nazione libera e democratica?
Nella Carta costituzionale è rinchiuso il significato di solidarietà che dovrebbe legare e tenere uniti i nostri rapporti sociali.
Quando l’11 settembre 1946, nella prima sottocommissione dell’Assemblea costituente, Lelio Basso e Giorgio La Pira redassero quello che sarebbe diventato l’articolo 3 della nostra Costituzione in cui la persona umana è posta al centro del nostro ordinamento, Basso spiegò la disposizione centrando la sua argomentazione sul principio di solidarietà nei termini seguenti: «Parlando di solidarietà sociale non si dice un’ingenuità, (…). Il dovere della Costituzione è di mirare a un massimo sforzo. …) in senso anti-individualistico. (…) Se si toglie questo, si rompe l’equilibrio che deve esserci tra l’esercizio degli antichi diritti della persona e l’esercizio di questi diritti in senso sociale, accompagnati cioè dallo sforzo di creare una solidarietà sociale».
Alla luce del pensiero dei padri costituenti, il principio di solidarietà voleva restituire all’uomo umiliato dalla guerra la sua dignità di persona umana. Il suo fondamento ha una valenza etica e antropologica molto profonda ed è strettamente legato ai valori dell’uguaglianza, dell’efficienza, della gratuità e della libertà.
La nostra democrazia si fonda, infatti, sulla dimensione comunitaria della persona e la reciproca responsabilità tra i membri del gruppo. Quando il 2 ottobre 1946 La Pira definì così il concetto di libertà davanti ai padri costituenti: «ogni libertà è fondata sulla responsabilità» verso l’altro. La solidarietà, dunque, non è altro che l’assunzione personale di responsabilità nei confronti della dignità di ogni uomo.
La Chiesa definisce il principio senza ambiguità: «La solidarietà (…) non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti».
Alla fine, l’assunzione personale del principio rimanda a una domanda etica: chi è l’altro per me?
Infatti: «Il fondamento della solidarietà è la coscienza e ciò che stimola la sua nascita è il grido dell’uomo maltrattato da un altro uomo». Ma c’è di più. A livello politico il principio dovrebbe costituire criterio di discernimento per ogni scelta. Il fine cui deve tendere ogni cultura politica è quello di sapere che ogni persona dipende da un’altra, non basta a se stessa e deve all’altro il riconoscimento della sua dignità che è quella legittima pretesa di essere considerato uguale a lui.
In questi giorni invece sentiamo solo parlare di titoli, borsa spread, parole fredde lontane che in questo momento non hanno nessun significato ‘umano’ ora è il momento di rimboccarsi le maniche attuare immediatamente una politica di tutela reale del debole penso ai disoccupati ai giovani senza lavoro o che mai l’hanno trovato.
In questo momento voglio lanciare un appello al Presidente della Giunta Regionale Jole Santelli perché si renda promotrice di una delibera straordinaria di Giunta Regionale per uno stanziamento di fondi per tutte quelle categorie di poveri, disoccupati famiglie senza reddito, ora è il momento della solidarietà concreta, ora bisogna guardare il debole, il malato, chi vive in povertà assoluta.
Stringiamoci tutti insieme di fronte a questa tragedia, apriamo il nostro cuore di calabresi, non giriamoci dall’altra parte.
Tante famiglie in questi giorni vivono drammi umani, solitudine, ristrettezze economiche, senso di spaurimento, oggi lo Stato che siamo tutti noi deve intervenire con un provvedimento diretto che guardi a questi bisogni.
Un aiuto potrebbe arrivare da una defiscalizzazione per nuove assunzioni nel Sud, incentivi ai disoccupati, soprattutto giovani per assunzioni in aziende soprattutto agricole, per attuare immediatamente filiere produttive in grado di apportare subito benessere economico con produzioni e guadagno reale.
Penso a un’abolizione immediata di tasse e balzelli, ora dobbiamo essere tutti uniti da queste macerie risollevarci aiutando il povero il debole il disoccupato.Oggi occorre avere il coraggio di rompere ogni schema di ragionamento politico, per passare al cambiamento di un pensiero: Umanità e rispetto dell’altro. In Calabria abbiamo il clima, il mare, terre fertili irrigate, torniamo a coltivarle abolendo tasse e burocrazie, apriamo i cancelli dissodiamo la terra, iniziamo a seminare, poi raccoglieremo frutti e speranza.
In questo momento voglio lanciare un appello ai nostri rappresentati di ogni partito eletti al Parlamento italiano, tutti insieme lavorate per un decreto “ Calabria” date speranze ai tanti invisibili che neanche oggi riesce ad alzare la testa, schiacciati dall’indifferenza ed emarginazione.
Salvatore Condito
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