Coronavirus, tracciamenti e tamponi. La storia di Alina Aroma: "Ne va della salute di tutti"

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Il servizio sanitario di via Acri a Catanzaro
  04 dicembre 2020 17:52

di PASQUALINA AROMA

E dopo ci domandiamo perchè la Calabria era diventata zona rossa.

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Dovremmo porci molte domande di questi tempi, una tra tante: "Quando ritorneremo ancora zona rossa?" Perchè, vi assicuro, non passerà molto tempo. E vi spiego anche le motivazione che mi inducono a pensarlo. Da tempo immemore, oramai, mi sono resa conto, e sono convinta, non soltanto io, che la sanità in Calabria fa acqua da tutte le parti. Me ne accorsi, personalmente un pò di tempo fa, quando a causa di un problema di salute dovetti rivolgermi al CUP per una visita urgente, bene, quella visita URGENTE, vedeva come unica possibilità l'anno successivo. Ma non è questa la stranezza, di persone con patologie gravi rinviate a un anno o due anni dopo, per una visita, sono pieni i necrologi. La cosa bizarra è stato scoprire a distanza di qualche minuto che, se la visita, nello stessa struttura, fosse stata a pagamento, avrebbe potuto essere effettuata il pomeriggio stesso, salvo poi trovare una persona coscienziosa che, venuta a conoscenza della speculazione alla quale ero sottoposta, trovò, senza raccomandazioni, ci tengo a sottolinearlo, un posto disponibile, mutuabile, solo due gorni dopo. Ma questa è una trafila alla quale, sono certa, sono stati sottoposti in tanti.

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E se due più due fa quattro, se hai soldi ti curi, se non li hai puoi anche morire nell'attesa di un controllo. Ma veniamo all'argomento ancor più attuale e non meno grave per introdurre il quale ci  terrei anche a usare un termine latino che in questa vicenda e nel periodo che stiamo vivendo mi sembra più che attuale ... " MALA TEMPORA CURRUNT".

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Tempo di Covid, tempo di paura, tempo di rispetto per se stessi e per gli altri. Ma, a quanto pare, è proprio quello che manca, il rispetto per le vita degli altri. E infatti è proprio di quello che vorrei scrivere. Ci siamo domandati, in diversi momenti di questi ultimi tempi, in che mani siamo, considerato chi ci governa e soprattutto considerato che, chi dovrebbe occuparsi della nostra salute, non sa neanche di doverlo fare, ma questa è storia, piuttosto squallida, ma sempre storia. Catanzaro e la Calabria saranno menzionati, negli annali, per l' incapacità dei suoi governatori. La mia considerazione ai numerosi quesiti è, però, solo una. E' vero che chi ci governa non vale un soldo bucato, ma è anche vero che, chi si occupa di determinate mansioni, non è in grado di svolgerle. Non è in grado di leggere nè di cercare di comprendere i decreti e le disposizioni di legge, Dico questo con cognizione di fatto.

A questo proposito vorrei porre una domanda a tutti i lettori. Quanti di voi, solo nella provincia di Catanzaro, sono stati a contatto con un positivo al Covid19? E tra questi, quanti hanno seguito le procedure corrette per rispettate le leggi e per mettere in sicurezza quanti, a loro volta, sono stati in contatto con voi? E, quanti di quelli trovatisi in questa situazione hanno ricevuto un contatto, una visita, un controllo da parte dell' ASP?

Bene, vi racconto un episodio che, sono certa, vi farà rivivere la vostra esperienza.
In data 6 novembre 2020 vengo avvisata di essere stata in contatto con un positivo al Covid19. Naturalmente, provvedo subito a informare il medico di base che, dopo le domande di rito, mi comunica la necessità di procedere con l' isolamento fiduciario per 14 giorni. E mi informa, inoltre, che avrebbe provveduto a inviare comunicazione all'ASP che avrebbe poi dovuto contattarmi e fornirmi un numero di protocollo che avrei dovuto poi comunicare all'INPS. I giorni trascorrono e dell'ASP nessuna notizia. Contatto la mia azienda, avendo comunque assolto al mio dovere rispettosa verso gli altri, di cittadina, e chiedo di rientrare a lavoro. Naturalmente, non essendo stata sottoposta ad alcun controllo e quindi non avendo fatto il tampone, l' azienda mi invita a recarmi presso la stessa struttura che aveva provveduto a fare i tamponi agli altri colleghi per i controlli necessari a cui dovrebbero essere sottoposti tutti i dipendenti a contatto con il pubblico. (Da specificare che l' eventuale contagio non si è verificato in ambito lavorativo).
Dopo solo poche ore dal tampone, tirando un respiro di sollievo, ricevo la certificazione attestante l'esito negativo, quindi, convinta che tutti gli step relativi al contenimento del virus fossero stati eseguiti correttamente dagli organi preposti, ricomincia a lavorare.
Ma, come si potrà immaginare, in realtà niente di ciò che avrebbe dovuto essere fatto è stato compiuto. Infatti in data 1 dicembre, mi vedo recapitare una raccomandata dall'INPS che mi comunica l'impossibilità a considerare valido il certificato inviato dal medico di base, per quarantena, in quanto sprovvisto del numero di protocollo dell' ASP. Quindi mi chiedono, affinchè tutto possa essere considerato valido ai fini del diritto della indennità di malattia, una dichiarazione del medico in grado di sanare l' anomalia.

A questo punto, ignara di tutto, contatto il mio medico e gli comunico quanto appreso. Da qui inizia una serie interminabile di PEC verso gli istituti di  competenza, dai quali, però, continua a non pervenire alcuna risposta. Per chi ancora non avesse avuto modo di conoscerne il significato La Posta Elettronica Certificata (PEC) è il sistema che consente di inviare e-mail con valore legale equiparato ad una raccomandata con ricevuta di ritorno, come stabilito dalla normativa (DPR 11 Febbraio 2005 n. 68).

Inizio a tentare una serie di telefonate all'ASP già dalle 14.25 dell' 1 dicembre e dalle ore 8:30 del 2 dicembre 2020. Telefonate, che come si può dedurre, risultavano tutte senza risposta fino, alle ore 10:00 circa del 2 dicembre 2020, orario in cui, molto probabilmente gli impiegati di tale struttura prendono servizio. Le risposte ricevute sono state una più contrastante dell'altra. In un primo momento l'impiegato di turno risponde che non riuscivano a trovare la PEC e che avrebbe provveduto a cercarla per poi ricontattami non appena l' avesse trovata. Alle ore 10:30 della stessa mattina ricevo una telefonata da altra impiegata dell' ASP provinciale e sono costretta a ripetere nuovamente quanto già comunicato alla precedente. Dall'altro capo del telefono, l'ascoltatrice si dice dispiaciuta per l'inconveniente scusandosi in quanto, probabilmente, la PEC non era in archivio a causa di un intasamento della stessa. Quindi l' impiegata mi rassicura, dicendomi che mi avrebbe contattato il suo responsabile e con lui, certamente, avrebbe trovato una soluzione. Nel pomeriggio di giorno 2 dicembre vengo ricontattata da un altro impiegato ASP il quale, siccome non aveva ben compreso quanto spiegatogli dalle sue colleghe, mi chiede nuovamente di ripetere quanto accaduto. Io, con tutta la santa pazienza di cui dispongo, rispiego l' accaduto. L'impiegato, rammaricato dagli eventi mi chiede come mai mi sia accorta solo dopo un mese della mancanza del numero di protocollo. Al che gli rispondo che, non avendo mai prestato impiego all' ASP e, soprattutto, non essendo mai stata in isolamento fiduciario, non mi sarei mai accorta dell'anomalia se non avessi ricevuto la raccomandata dell' INPS.

A quel punto l'impiegato inizia a giustificare l'ente ASP, affermando che la responsabilità di tutto era da attribuire al medico di base che non avrebbe dovuto, in alcun modo, mettermi in isolamento senza l'autorizzazione della struttura sanitaria. Forse i vari impiegati che ricoprono i ruoli nella struttura non sono in grado di leggere e, qualora lo fossero, non sono in grado di comprendere il significato dei decreti legge, certamente non tutti, ma almeno quelli che li riguardano dal punto di vista lavorativo. Nello specifico mi sembra più che giusto menzionare l' Art 26 del decr. legge num 18 del 2020 convertito con modificazioni, dalla legge num 27 del 2020 rubricato "Misure urgenti per la tutela del periodo di sorveglianza attiva dei lavoratori del settore privato"

A questo punto invito l'impiegato a contattare il medico di base fornendogli il numero di telefono. Da quel contatto si evince che, secondo il superiore dell'impiegato, la responsabilità era da attribuire al medico di base in quanto, lo stesso, non avrebbe dovuto assegnare l' isolamento, assegnabile solo dall'ASP. Cosa non vera in quanto il medico aveva il dovere di isolarmi come possibile contagiata per tutelare i colleghi ed eventualmente tutte le persone con cui sarei potuto entrare in contatto da quel momento in poi. Naturalmente a questo punto il medico procede con l' invio di una serie di PEC alle varie direzioni sanitarie preposte.

Giorno 3 dicembre, dopo aver ripetutamente tentato un contatto con i centraline dell' ASP, continuamente liberi, ma senza ricevere mai una risposta, contatto l'INPS. Risponde un' operatrice piuttosto infastidita che non mi consente di comunicare, interrompendomi continuamente. Allorchè senza lasciarsi intimidire la esorto a farmi parlare per spiegargli quanto accaduto. A questo punto la dipendente INPS non può che confermare le mie ragioni comunicandomi che il passaggio del medico era stato corretto ma che comunque l'unico modo per poter sanare l' anomalia era farsi dare dall'ASP il numero di protocollo.

Protocollo che, naturalmente, l'ASP non potrà fornire in quanto, chi avrebbe dovuto occuparsi della lettura e delle risposte delle PEC, sia positive che negative, non ha svolto diligentemente la sua attività lavorativa, creando un enorme disagio e gravissimi problemi all'utenza. Non contenta, giustamente, il 3 dicembre, dalle 8:30 tento un contatto su tutti i numeri dell' ASP, finalmente alle ore 10:30 circa risponde un' operatore che si qualifica come dottoressa,( naturalmente il nome, per privacy non è menzionato, ma come sopra, qualora un addetto ai lavori lo richiedesse , gli sarà fornito.) che, dopo aver ascoltato i fatti si dice dispiaciuta di quanto accaduto e mi rassicura dicendomi che avrebbe provveduto a informare, di tutto, il responsabile. Dopo circa mezz' ora, ricevo una telefonata dall'operatore con cui aveva parlato il pomeriggio di giorno 2, il quale con enfasi mi rassicura dicendomi che tutto era stato chiarito tra il responsabile e il suo medico di base. Naturalmente, sapendo che i fatti non erano come il tizio affermava, gli comunicavo di aver appena parlato con il medico di base il quale mi diceva che il responsabile di cui stava parlando con tanta enfasi, non aveva fatto altro che scaricarle addosso tutte le responsabilità.

A questo punto, l' impiegato, per cercare di uscire dall'imbarazzo afferma una cosa gravissima, e cioè che l'ASP non prende in considerazione le segnalazioni dei medici in quanto, da sua personale interpretazione del decreto legge,  non risulterebbero attendibili. Ora, la mia domanda sorge spontanea. Ma, come avrei potuto avere l'autorizzazione alla quarantena dall ASP, non avendo mai ricevuto alcun contatto?

Cosa succede? Anzichè elogiare un medico che, per evitare il dilagarsi del contagio, in forma preventiva, si attiene al decreto, usando tutti i procedimenti previsti dalla legge, si tenta di attribuirgli le responsabilità che invece sono da attribuire solo alla scarsa, se non assente, professionalità e dedizione degli operatori dell' ASP. Perchè è proprio di quello che si sta parlando. Infatti, a conferma di quanto detto, è giusto che si sappia che, al momento dell'intervista che l' operatore ASP ha effettuato alla persona direttamente coinvolta nel contagio, nel chiederle i nominativi delle persone con cui era stata in contatto, lo stesso risultava sbrigativo e le diceva, nonostante non avesse terminato la lista di possibili conduttori del virus, che i nomi comunicati potevano bastare.

Come se fosse lui a decidere chi potesse essere sottoposto a contagio e chi invece immune. Detto questo, se non bastasse, c' è da dire che, anche tra le persone indicate dalla diretta interessata, solo due di esse sono state contattate telefonicamente, ma anche nei loro riguardi non è stato effettuato alcuna sorveglianza, tanto che i due interessati, preoccupandosi per il loro stato di salute e per tutelare eventuali contatti, hanno deciso di sottoporsi, volontariamente e autonomamente, al test sierologico presso una struttura privata. In quel caso uno dei due è risultato lievemente positivo e la cosa è stata comunicata dal medico di base all' ASP , anche questo tramite PEC, ma anche in questo casao senza alcun riscontro.

Cosa si può dedurre da tutta questa situazione? Per conto mio, grande irresponsabilità, enorme incapacità di gestire la cosa pubblica e, non meno importante, inadeguatezza nei confronti di chi, giorno dopo giorno, si affida nelle mani di persone senza scrupoli.

Da febbraio 2020 non facciamo altro che sentir parlare di attenzione, prevenzione, tutela dei più deboli, distanziamento e, proprio da chi dovrebbe mettere in atto tutte le regole affinchè il male del secolo venga sconfitto, la risposta è totalmente assente.

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