Crisi economica e alimentare, le riflessioni dell’economista Walter Frangipane

Share on Facebook
Share on Twitter
Share on whatsapp
images Crisi economica e alimentare, le riflessioni dell’economista Walter Frangipane
L'economista Walter Frangipane
  17 giugno 2022 12:55

di WALTER FRANGIPANE*

L’invasione russa dell’Ucraina ha posto in particolare risalto, in questo tempo, il peggioramento dell’insicurezza alimentare “food insecure” che non è propriamente la crisi alimentare “food crisis”, anche se ha una stretta correlazione con essa. Intanto il termine insicurezza alimentare è specificamente definito come “il non avere un accesso coerente a cibo abbastanza nutriente, conveniente e culturalmente appropriato a causa della mancanza di denaro e di altre risorse”, e può avere in termini economici diverse variabili, come la temporaneità o la lunga durata e può comportare, inoltre, problemi multipli e sovrapposti come l’isolamento sociale, la mancanza di alloggi a prezzi accessibili, salari bassi, spese mediche elevate etc. Ma al di là delle varie disquisizioni economiche, l’insicurezza alimentare, seppure già latente da oltre un decennio, è emersa con la crisi alimentare “food crisis” a seguito della fase post pandemica.

Banner

L’inflazione interna dei prezzi alimentari è aumentata in molti paesi, Italia compresa. Nei Paesi a basso reddito l’inflazione è aumentata in modo significativo, in particolare in quelli con valute deboli e con elevata dipendenza dalle importazioni alimentari, come pure in quelli in cui si è verificata la chiusura delle frontiere, a causa dei vari conflitti, peraltro presenti oltre i confini meridionali del nostro Paese, a motivo dell’insicurezza, della carenza delle precipitazioni, cioè della siccità, oppure, al contrario, delle inondazioni e dei cicloni. Ma ha influito anche l’aumento stesso della popolazione in quei paesi che soffrono la crisi alimentare, nonché altre variabili in quei Paesi che hanno interrotto i flussi commerciali, poiché le condizioni meteorologiche estreme hanno gravemente ridotto la produzione e le disponibilità alimentari. Questi fattori macroeconomici hanno avuto un forte impatto sul potere d’acquisto delle famiglie più povere, molte delle quali stavano ancora subendo perdite di posti di lavoro e di reddito a causa delle restrizioni legate alla pandemia.

Banner

La pandemia stessa, peraltro, ha creato tensioni nella catena degli approvvigionamenti e le interruzioni convergenti hanno fatto salire di non poco i prezzi dei generi alimentari, come possiamo riscontrare anche noi nel nostro vivere quotidiano. In questo particolare momento l’accesso al cibo è chiaramente una preoccupazione urgente per i milioni di ucraini, in preda a questa tragica invasione, i quali vogliono innanzitutto riconoscere questa fondamentale priorità in prima linea. Ma la guerra in Ucraina minaccia anche di sconvolgere il sistema alimentare che dipende dalle aree vicine al Mar Nero, per cui la zona di conflitto scuote sostanzialmente importanti pilastri del sistema alimentare in un ampio contesto, tra l’altro molto complesso. Nel sistema alimentare globale, i precedenti scenari di domanda e di offerta erano per lo più legati a eventi meteorologici, come poc’anzi accennato, mentre altri eventi erano legati alla sola offerta. Negli ultimi anni, la pandemia globale ha chiaramente messo alla prova il sistema di resilienza alimentare.

Banner

Ma ora ci troviamo in una situazione inimmaginabile: una guerra di questa portata in Europa, in un polo di approvvigionamento alimentare così critico, sopra tutto quando si tratta di grano e fertilizzanti, nelle aree sopra citate. L’invasione russa dell’Ucraina ha creato “a whiplash effect in the food supply chain”, cioè “un effetto di colpo di frusta sulla filiera alimentare”, considerato che le regioni dell’Ucraina e della Russia rappresentano il 30% delle esportazioni globali di grano e il 65% di girasole, nonché di altri cereali. Pertanto, se l’invasore non accenna a interrompere la guerra, il sistema alimentare potrebbe precipitare in una crisi globale senza precedenti, dal momento che venendo compressi i comparti alimentari, ancorché connessi, la riduzione dell’offerta, se non addirittura l’interruzione a causa del blocco dei porti del Mar Nero, avrebbe un impatto sul prezzo dei restanti mercati mondiali e sarebbe notevole. Ci sono molti Paesi, sopra tutto in Africa, l’Egitto in prima fila, che fanno affidamento sul grano dell’Ucraina, per cui lo shock alimentare desta preoccupazione, considerato che si potranno verificare ondate migratorie molto importanti, che investiranno in primo luogo l’Italia, oltre altri Paesi prospicienti il Mediterraneo.

La preoccupazione dei Paesi mediterranei, infatti, in particolare dell’Italia, esisteva in realtà già da tempo, considerato che nei Paesi africani la malnutrizione era già a livelli molto critici, a causa della crisi alimentare globale, guidata da una complessa interazione di fattori, tra cui cibo di scarsa qualità dovuto alla grave insicurezza alimentare, le pessime pratiche di alimentazione dei bambini, vittime di una forte presenza di malattie infettive, di scarsità di servizi igienici, dalla prevalente carenza di acqua e di pressoché inesistente assistenza sanitaria. 

Ma ora, nel momento contingente, gli agricoltori ucraini saranno in grado di procedere in questi mesi con la semina di alcuni cereali (orzo, mais, girasole etc.)? O perlomeno lo saranno in grado tutti? Anche perché bisogna tener conto che la catena di approvvigionamento di questi prodotti agricoli è un po’ complessa rispetto alla catena degli approvvigionamenti di altri prodotti dell’agricoltura, in quanto ci sono delle finestre specifiche: preparazione del campo, semina e poi raccolta; mentre per la semina del grano ci sono altre finestre, il periodo è luglio-agosto. Ma poi il conflitto prolungato avrebbe implicazioni anche sulla produzione successiva, quella del frumento invernale. Tuttavia anche se venisse attuata la semina, ci sarebbero dopo problemi su problemi, al momento della raccolta. Quelle Regioni produttive rappresentano, secondo alcune stime, circa 105 milioni di tonnellate di merci che sono ingombranti e richiedono il trasporto tramite navi attraverso i porti del Mar Nero, che sono danneggiati, o addirittura minati a causa della guerra, né si può pensare di sostituire in maniera piena la logistica marittima, come alternativa, con quella ferroviaria o stradale: hanno portate diverse! 

Se già pensiamo che, dopo la pandemia, molti prodotti alimentari come il grano, per esempio, hanno già subito degli aumenti nel continente Nord Americano, cosa dobbiamo pensare per i prodotti cerealicoli provenienti dall’Ucraina e dalla Russia? I riflessi della carenza di quei prodotti e del presumibile aumento dei prezzi, naturalmente, sarebbero imprevedibili. Un colpo così diretto della guerra a quel particolare mercato di approvvigionamento ha un collegamento diretto con la sicurezza alimentare. Non possiamo dimenticare che il pane è stato nel recente passato un fattore importante nei disordini sociali in molti Paesi emergenti. Infatti l’aumento del prezzo del grano è stato la principale fonte della ben nota “Primavera Araba”.  

Ma la guerra della Russia contro l’Ucraina è solo un iceberg, e questo non è poco, dal momento che rappresenta ora il fattore principale dell’insicurezza alimentare, se solo pensiamo che la crisi alimentare si è fatta sentire già dopo la pandemia con l’aumento dei prezzi dei carburanti e dei fertilizzanti, che incidono sul sistema eco-alimentare globale. Abbiamo visto a tal proposito disordini anche in alcuni Paesi europei come la Grecia. Infatti l’aumento dei prezzi si è immediatamente riversato in primis su quello del grano, cresciuto tra il 2020 e il 2021 del 18%!

Naturalmente la preoccupazione maggiore è determinata dalla crisi economica che abbraccia l’inflazione dei prezzi e l’inflazione dei costi: entrambi scuotono la catena degli approvvigionamenti e non solo quelli alimentari, per cui è difficile prevedere dove la crisi ci porterà, sopra tutto se si aggiungono le cause e gli effetti geopolitici e gli eventi correlati. Peraltro è già evidente il rallentamento dell’Economia se si guarda come la crescita sia debole ed il rischio della “stagflation” (cioè l’inflazione combinata con una crescita economica molto bassa) non sembra poi così remoto, se Christine Madeleine Lagarde ha annunciato il 9 giugno che la Banca Centrale Europea (BCE) alzerà i tassi di interesse, per la prima volta dopo dieci anni!

Anche la Federal Reserve (la Banca Centrale degli Stati Uniti), è sullo stesso orientamento, che peraltro appare un po’ drastico dopo il lontano novembre del 1994, e potrebbe addirittura far seguire un altro rialzo entro la fine del 2022, probabilmente perché in quel Paese forse non si è poi così tanto sicuri di mantenere l’inflazione nei tetti programmati. C’è da dire però che sicuramente non avremo, se ci sarà, la medesima “stagflation” degli anni 70, quando l’Economia era basata principalmente sul dollaro, che all’epoca era abbastanza debole, anche perché le Banche Centrali hanno ora chiari mandati sul controllo della stabilità dei prezzi da parte dei rispettivi governi. Governi che dovranno fronteggiare con vigore la crisi in atto, incoraggiando la produzione e valutare la possibilità di apportare cambiamenti nella politica monetaria e fiscale, riservando molto rispetto per le classi più fragili, in quella climatica e non ultimo nella gestione del debito pubblico. Non sarà facile perché l’aumento dei prezzi dell’energia abbasserà i redditi reali, aumenterà i costi di produzione, inasprirà le condizioni finanziarie e limiterà la politica macroeconomica, sopra tutto nei paesi importatori di energia, come l’Italia. Ma è nei Paesi più vulnerabili che la crisi si manifesterà con più pesantezza e questo ci riguarda molto, perché dovremo fare i conti con il peggioramento della situazione dei rifugiati, e inoltre con una significativa diminuzione dell’esportazione di merci particolari verso quei Paesi che ne hanno più bisogno, con conseguente riduzione del commercio alimentare.

Più in generale, allora, ogni Paese, Italia compresa, dovrà fare affidamento di più sulle proprie riserve, davanti a una fornitura globale ridotta, ma bisognerà evitare gli errori del passato, in particolare quelli di una precedente crisi alimentare di un decennio fa. Bisognerà, inoltre, ripensare all’equilibrio cibo e carburante e sopra tutto essere molto oculati nell’utilizzo delle riserve strategiche. 
La situazione richiede più che mai delle azioni su vasta scala, proiettate verso sistemi alimentari sostenibili, e laddove la disponibilità di cibo è limitata dalle importazioni o ridotta a causa di prezzi più elevati, bisognerà fornire sostegno agli agricoltori per accrescere la loro produttività, per migliorare l’accesso ai mercati, per diversificare i mezzi di sussistenza delle comunità rurali, ma sopra tutto migliorare la resilienza agli shock alimentari.

*Economista

Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner