Avevamo un sistema sanitario avanzatissimo che, come tante altre cose, tipo l'industria pubblica o l'artigianato, è stato distrutto da scelte dettate dal liberismo capitalista che ha fatto leva sull'incompetenza delle classi dirigenti e sulla mancanza di senso civico dei più. La sanità pubblica più che assicurare la tutela della salute è stata usata come ufficio di collocamento a fini clientelarielettorali e ora affoga nei debiti, nell'inefficienza e nella carenza di personale e di strutture. Al Sud, e in Calabria in particolare, la situazione è peggiore che al Nord. Qui a nulla è servito il commissariamento che, da soluzione eccezionale e provvisoria, è diventato cronico e che, nel tentativo di risanare il bilancio, ha finito per ridurre i servizi e spingere all'emigrazione sanitaria.
Questo ha creato un meccanismo perverso per cui, invece di ridursi, la spesa si indirizza verso altre regioni, essenzialmente del Nord, alle quali la Calabria paga ogni anno circa 250 milioni di euro (più le spese sostenute dai pazienti e dalle loro famiglie). La carenza di risorse finanziarie e l'incompetenza hanno pressoché cancellato le politiche ii prevenzione e quindi favorito l'aumento marcato di alcune patologie, come quelle croniche non trasmissibili, ad esempio il diabete.
In Calabria abbiamo infatti un'incidenza di questa patologia pari all'8,3%, contro una media nazionale del 6%. Quasi il 40% in più. L'assenza o la carenza delle misure di prevenzione si manifestano già in età scolare con la inadeguatezza di strutture e spazi e con la scarsa attenzione all'attività fisica. Basta pensare a come vengono vissute le ore di Educazione fisica. Paradossalmente restare più tempo a scuola, come con il tempo pieno, finisce per comportare un danno fisico.
La Calabria condivide con la Campania il primato del più alto tasso di obesità infantile in Italia. L'obesità favorisce (e gli effetti si vedranno ancora più con il passare degli anni) l'aumento dei casi di diabete di Tipo 2, l'ipertensione arteriosa, le malattie cardiovascolari, e la riduzione della spesa per la prevenzione più che ridurre il deficit finisce con accrescerlo a causa dell'aumento del numero degli ammalati. La prevenzione dovrebbe quindi essere attività primaria dei distretti sanitari e della scuola, soprattutto per le malattie che si prevedono in crescita. Questo comporterebbe la tutela della salute e contemporaneamente la riduzione della spesa per le cure. Ciò, ovviamente, non piace alle potentissime multinazionali dei farmaci, alle lobby chi investono sulla sanità per arricchirsi e nemmeno a chi, come il potentissimo Tony Blair e i suoi amici, anche italiani, si propone di sostituire i medici di base con l'intelligenza artificiale affidando le cartelle cliniche ad una banca dati in mano
alle multinazionali. Costantemente gli ammalati e i loro familiari devono fare i conti con le lunghe liste di attesa e con i disagi di doversi recare in strutture sanitarie lontane anche diverse decine di chilometri e difficilmente raggiungibili con servizi pubblici efficienti e compatibili. Eppure alcune cose per alleviare i problemi si potrebbero fare a costo zero.
Perché alcuni farmaci essenziali devono essere prescritti solo dallo specialista? Prendiamo il caso dei farmaci e dei presidi per i diabetici: una volta che lo specialista ha redatto il “Piano terapeutico” perché il paziente o i familiari devono recarsi periodicamente (ogni tre mesi o anche ogni mese) negli uffici delle strutture sanitarie per la prescrizione? Non potrebbero farlo il medico di base seguendo le linee guida nazionali? La carenza di risorse finanziarie sta poi comportando un ulteriore problema: per cercare di soddisfare le esigenze di pazienti sempre più numerosi in alcuni distretti si tende a ridurre la quantità di farmaci e presidi per ogni prescrizione. Questo costringe i pazienti a recarsi più spesso presso gli uffici o gli ambulatori e ne limita la possibilità di movimento per periodi medio/lunghi. Se esiste un problema di massiccia migrazione sanitaria significa che la rete ospedaliera calabrese non funziona. Che fare?
Un'idea potrebbe essere quella di creare un grande “Ospedale delle Calabrie”, con unità operative guidate da medici di riconosciuta professionalità sanitaria e organizzativa e contemporaneamente prevedere la rotazione dei medici fra i diversi ospedali. L'attuale organizzazione rende poco attrattivi i piccoli ospedali. Il medico che lavora in una U.O. di un piccolo ospedale non ha la disponibilità di molti macchinari, affronta pochi casi clinici complessi, opera con poca frequenza. La rotazione permetterebbe a tutti di fare esperienza a livello più alto e
portare le conoscenze e le competenze acquisite anche nei piccoli ospedali. Ovviamente questo comporta un'adeguata retribuzione. Altro problema da affrontare è quello del rapporto con le strutture sanitarie private.
È evidente che se il pubblico non riesce ad assicurare il servizio in modo efficace e i in tempi
ragionevoli deve chiedere l'aiuto dei privati, ma perché stipulare convenzioni con i privati per servizi
(come semplici esami di laboratorio) che il pubblico riesce ad assicurare in tempi velocissimi?
Purtroppo, il dilagare del liberismo, imposto da istituzioni sovranazionali come l'Ue, la Bce, il Fmi,
vieta agli Stati di tutelare i popoli, perché gli stessi devono essere al servizio dei mercati.
Fino a quando l'Italia non riacquisterà l'Indipendenza e la sovranità i diritti sociali continueranno ad
essere progressivamente ridotti.
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