CSA-Cisal: "Lavoratori richiamati dopo due anni e mezzo dalla pensione. Il flop organizzativo della Regione"

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Cittadella Regionale
  22 dicembre 2020 07:29

Un dipendente andato in pensione da oltre due anni e mezzo può essere richiamato a lavoro? In Regione Calabria, a quanto pare, succede anche questo. E non si tratta di casi isolati, ma di un fenomeno ormai patologico. L’amministrazione – spiega il sindacato CSA-Cisal – “richiama” il personale in quiescenza con contratti di collaborazione a titolo gratuito (salvo il rimborso spese) perché non c’è nessun altro in grado di svolgere determinate funzioni. E si tratta quasi sempre di postazioni molto delicate.

QUANTI SONO E IN QUALI DIPARTIMENTI OPERANO - Ad oggi, sono sedici i contratti di collaborazione stipulati con il personale che già era andato in pensione (a volte richiamati dopo mesi di fermo, in altri casi senza soluzione di continuità) che prevedono, a seconda degli accordi, un rimborso spese massimo fino a 6 mila euro all’anno.  Ne abbiamo due nel dipartimento “Organizzazione e Risorse Umane”, impiegati nei settori “Gestione Economica e Previdenziale del Personale”. Altri due nel dipartimento “Lavoro, Formazione e Politiche Sociali”, rispettivamente nei settori “Politiche Attive, Superamento del Precariato e Vigilanza Enti” e “Centri per l’Impiego”. Tre nel dipartimento “Economia e Finanze”, di cui due nel settore “Ragioneria” e un altro in “Gestione altri Tributi”. Tre nel dipartimento “Infrastrutture, Lavori Pubblici e Mobilità”, di cui due nel settore “Vigilanza Normativa Tecnica sulle Costruzioni e Supporto Tecnico” e uno in “Politiche Edilizia Abitativa”. Altri due nel dipartimento “Sviluppo Economico e Attività Produttive”, entrambi nel settore n. 5. Uno a testa per il dipartimento “Ambiente”, per quello “Agricoltura”, per quello “Tutela della Salute” e per l’UOA “Protezione Civile”. Quest’ultimo sarebbe dovuto andare in pensione dal primo gennaio dell’anno prossimo ma già a metà dicembre è arrivato il decreto con il contratto di collaborazione.

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IL CASO CLAMOROSO: TORNA DOPO QUASI DUE ANNI E MEZZO E, IRONIA DELLA SORTE, SI OCCUPA DI PENSIONI - Il caso più emblematico è quello di un lavoratore andato in pensione ad agosto 2018 e richiamato dalla Regione, nel settore “Gestione Economica e Previdenziale” del personale, nel dicembre 2020. Purtroppo l’improvvisa morte di un collega (il sindacato ne approfitta per ribadire le condoglianze alla famiglia) ha creato un vuoto incolmabile. Ironia della sorte il dipendente richiamato dalla quiescenza si deve sostanzialmente occupare, in collaborazione con un’altra valida lavoratrice, delle pensioni di tutti i lavoratori regionali. Dunque, un ufficio notevolmente sottodimensionato. Le principali funzioni svolte sono: le pratiche di cessazione dal servizio dei dipendenti regionali e relativi decreti, conferimento di pensione provvisoria, definitiva e Tfr. Un settore delicatissimo nell’apparato amministrativo. Ma stiamo parlando di quasi due anni e mezzo dopo. Veramente incredibile. E se non fosse stato disponibile cosa sarebbe accaduto: i lavoratori regionali non potevano più andare in pensione e dovevano aspettare chissà quanto per le pratiche del Tfr?  Domanda il sindacato CSA-Cisal che comunque apprezza come il lavoratore sia tornato per il bene del settore e dei suoi colleghi troppo spesso trascurati. Così non va proprio. D’ora in avanti verrà chiamato anche chi è andato 5 o 10 anni fa in pensione?

GRAZIE AI DIPENDENTI, MA QUI C’E’ UN CLAMORSO FLOP ORGANIZZATIVO - Il sindacato CSA-Cisal ringrazia per la dedizione e lo spirito di attaccamento all’Ente dimostrato da questi lavoratori senza i quali la macchina burocratica, in quei settori, resterebbe paralizzata. Questo, tuttavia, in un’ottica complessiva è un fatto assolutamente grave. L’amministrazione regionale nonostante possa contare su circa 2 mila dipendenti non è stata in grado di programmare il necessario affiancamento al personale che avrebbe dovuto prendere il posto di chi era andato in pensione. L’ennesimo flop organizzativo. E se per caso uno di questi lavoratori in quiescenza avesse deciso di trasferirsi in un’altra regione, magari da figli o dai nipoti, per godersi legittimamente la pensione si sarebbe bloccato tutto? È possibile che l’Ente regionale debba dipendere da singole persone? Eppure, con il piano del fabbisogno triennale, ormai si sa con tre anni d’anticipo il numero dei cessati (cioè chi andrà in pensione), com’è giustificabile tutta questa approssimazione?

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COME VIENE MOTIVATO IL RICHIAMO - Nei decreti in cui si procede ad autorizzare i contratti con il personale in quiescenza, di solito si rinviene questa motivazione “…in considerazione delle specifiche conoscenze ed informazioni storiche non rinvenibili tra il personale in dotazione…”, o ancora “…al fine di consentire il trasferimento delle competenze e delle esperienze tecnico/amministrative dal medesimo maturate assicurando la continuità nella gestione del relativo servizio e assicurando mediante il trasferimento della propria competenza ed esperienza l’efficacia delle relative procedure”. Bene, tutte queste “causali” denotano l’incapacità organizzativa regionale. Perché i dipendenti ci sono, e sono pure tanti, e perché tutti conoscono i tempi di pensionamento e quanto sarà necessario per trasmettere il sapere e la conoscenza ai lavoratori che devono prendere il posto di chi presto andrà via.

L’AFFIANCAMENTO E LA FORMAZIONE PERSE E IL PIANO ANTICORRUZIONE - Non sfugga inoltre che il mantenimento in servizio del personale in pensione a svolgere le medesime attività rischia di essere una “sottile” elusione del Piano Triennale dell’Anticorruzione, di cui uno dei fondamenti è principio della rotazione ordinaria. La rotazione del personale assegnato alle aree a rischio è considerata una misura essenziale, tant’è che "l'alternanza tra più professionisti nell'assunzione delle decisioni e nella gestione delle procedure, infatti, riduce il rischio che possano crearsi relazioni particolari tra amministrazioni ed utenti, con il conseguente consolidarsi di situazioni di privilegio e l'aspettativa a risposte illegali improntate a collusione". Al fine di assicurare il buon andamento e la continuità dell’azione amministrativa, – prosegue la nota – occorre garantire adeguata formazione/affiancamento al personale subentrante specie in vista di collocamenti in quiescenza. Una formazione di buon livello in una pluralità di ambiti operativi può contribuire a rendere il personale più flessibile ed impiegabile in diverse attività. Al fine di creare competenze trasversali e professionalità che possano essere utilizzate in una pluralità di settori, diminuendo in tal modo le problematiche connesse e conseguenti alla rotazione, è necessario assicurare percorsi di formazione e aggiornamento continuo, anche tramite sessioni formative in house, per i dipendenti. Peccato che tutto questo – evidenzia il sindacato – non sia stato effettuato. Invitiamo la Responsabile regionale dell’Anticorruzione a vigilare affinché il sistematico ricorso al “richiamo” del personale in pensione non esponga la Regione al rischio di violazione del Piano Anticorruzione e, nello specifico, del principio di rotazione. È evidente che tutti questi casi appena documentati dal sindacato non siano solitari ma spia di un fenomeno che si sta consolidando e che va ovviamente arginato.

LA VIGILANZA DEI DIRETTORI GENERALI - Ringraziando, di nuovo, tutti questi dipendenti che prestano servizio presso la Regione Calabria anche dopo l’età lavorativa, il sindacato CSA-Cisal ritiene che bisogna porre un limite a questi contratti perché non è degno di un Ente con migliaia di lavoratori nei ruoli. Richiamiamo pertanto i direttori generali, i vertici amministrativi nei rispettivi dipartimenti, a vigilare i casi in cui nei settori si possano creare le condizioni di “dipendenza” al personale pensionato o pensionando. I dg sono pagati anche per organizzare il proprio dipartimento, non sembra proprio si sia operato nel verso giusto.

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