Cultura. Il 17 febbraio 1600 il rogo di Giordano Bruno: il libero pensiero per riformare la società

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Giordano Bruno

"Non è errore che sia fatto un principe, ma che sia fatto principe un furfante"

  17 febbraio 2021 12:15

di PAOLO CRISTOFARO

Il 17 febbraio del 1600, a Campo De' Fiori, a Roma, moriva arso sul rogo Giordano Bruno da Nola. Filosofo, maestro di mnemotecnica e retorica, neoplatonico, padre della filosofia naturale del Rinascimento e martire del libero pensiero. Dopo anni di processo, iniziati a Venezia, quando fu tradito dal nobile Giovanni Mocenigo, che lo ospitava, e consegnato all'Inquisizione, Bruno veniva condannato a Roma, senza essersi mai pentito delle sue idee, avendole difese sino alla morte. Una fine tragica ed eroica, per un uomo accolto in tutta Europa per la sua preparazione: in Francia, a Parigi, alla corte di Enrico III, in Inghilterra a quella di Elisabetta Tudor, a Praga da Rodolfo d'Asburgo. Un uomo che viaggiò molto ed ebbe modo di insegnare nelle più importanti università d'Europa.

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Ma Bruno, "accademico di nulla accademia", come lui stesso si definiva, in Europa portò soprattutto l'amore per la verità, la sua dura critica alla società, alle guerre di religione, ai dogmatismi, alla falsa scienza dei pedanti, alla rigida scolastica, all'oscurantismo. La sua filosofia, oltre agli infiniti mondi, all'universo infinito (temi già aspramente contestati dalla Chiesa cattolica), contempla il culto della verità, la riforma della società civile, con elogi agli antichi popoli, Romani, Greci ed Egizi. Sono i popoli che per Bruno avevano costruito un religione - quella pagana - che esaltava l'impegno civile e non lo condannava e non spingeva gli uomini alla rinuncia, all'accettazione passiva delle cose. Per Bruno la religione doveva essere armonia, come lo stesso termine latino "religare" indica appunto unire, avvicinare gli uomini, non dividerli. E Giordano Bruno predicava queste cose in un'Europa devastata dalle guerre di religione, dalla Controriforma. 

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E poi la difesa della libertà della parola e del pensiero dagli accademici pedanti, dai grammatici ottusi e superbi. "A noi non conviene l'essere (quali essi sono) schiavi de certe e determinate voci e paroli: ma per grazia de dèi ne è lecito e siamo in libertà di far quelle servire a noi prendendole et accomodandole a nostro comodo piacere", scriveva Bruno nell'opera che probabilmente rappresenta un sunto delle sue concezioni sulla società, sulla politica, sull'impegno civile: cioè lo "Spaccio della bestia trionfante" (1584). Testo nel quale si riscontra una critica aspra anche alle religioni e a quella cattolica in particolare, perché piuttosto che favorire l'impegno civile e sociale degli uomini, lo condannano. "Li nostri de la finta religione tutte queste glorie le chiamano vane", scrive ancora Bruno nello Spaccio. "Non giudicar l'arbore dalle belle frondi, ma da buoni frutti", scrive ancora criticando ovviamente le belle parole pronunciate dagli ecclesiastici, ma alle quali non seguono azioni concrete. Nell'opera Giordano Bruno immagina un gran consiglio convocato dalle antiche divinità dell'Olimpo.

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E gli dèi, per Bruno, "magnificarono il popolo romano perché con i suoi magnifici gesti più che l'altre nazioni si seppero conformare et assomigliare ad essi, perdonando a' summessi, debellando i superbi, soccorrendo a' bisognosi, affrenando gli violenti, promovendo gli meritevoli", è scritto. E' chiaro un elogio del filosofo alla religione e alla società romana, i cui culti e le cui tradizioni promuovevano chi s'impegnava per la società e la religione viaggiava parallelamente alla crescita sociale, morale e civile. Chiaro appare un riferimento all'Eneide di Virgilio ("perdonando a' summessi, debellando i superbi", "parcere subjectis et superbos debellare"), ma chiaro anche il riferimento a dottrine, sull'elevazione umana, care a Pico della Mirandola e alla sua Orazione sulla Dignità dell'Uomo. L'Uomo solo con l'impegno civile e la crescita morale può conformarsi agli enti divini: principi assolutamente in contrasto con la Chiesa e con il cattolicesimo. L'Uomo non può, per la Chiesa, sperare di essere come Dio. Ma Giordano Bruno faceva parte di quei filosofi che hanno contribuito a porre la scienza, la ragione e l'azione umana al centro del cosmo, a valorizzare l'Uomo, ad aprire le menti. E ancora i riferimenti alla buona politica d'ispirazione machiavelliana: "Non è errore che sia fatto un principe, ma che sia fatto principe un furfante", scriveva il filosofo sempre nello Spaccio. Non è un male che un uomo venga fatto principe (o assuma incarichi pubblici), ma è male che venga fatto principe un furfante. 

Partendo dunque dai temi scientifici (l'infinità dei mondi e dell'universo, l'unità della materia e di Dio), per finire ai temi civili (religione come unione e come esaltazione dell'impegno civile, buona politica, uguaglianza tra gli uomini, ricerca della verità e critica ai dogmatismi), Giordano Bruno proponeva, oltre che un insegnamento culturale, scientifico e razionale, una riforma vera e propria della società, a beneficio di tutti e non solo dei potenti. Tutte queste sue idee non potevano essere accettate in alcun modo. La sua religione civile e la sua filosofia della verità - con riferimenti e ispirazioni anche al mondo pagano e alle dottrine neoplatoniche - era destinata a scontrarsi col muro dell'oscurantismo e con la superbia del potere costituito. Ma quelle fiamme che lo condannarono e lo avvolsero, però, erano destinate sì a togliergli la vita, ma anche a fare in modo che il suo sacrificio per il libero pensiero facesse da lume e da fiamma per i pensatori del futuro, inaugurando l'era moderna. 

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