di EDOARDO CORASANITI
"Non risulta alcuna condotta posta in essere dal sindaco idonea a rivelare, in maniera significativa, una collusione tra lo stesso e la criminalità organizzata". Anzi, c'è di più: avrebbe direttamente contribuito a contrastare, a livello amministrativo e territoriale, il
fenomeno mafioso.
Salvatore Di Vuono, 66 anni, ex sindaco di Cutro con una lista civica, non è "un amministratore coinvolto", né un politico corrotto o vicino alle cosche. E' solo il protagonista di un'altra storia che supera i confini penali e che gioca nel campo dei fondamenti della democrazia. E' un ex sindaco che viene dichiarato incandidabile, azzoppato nella sua carriera politica, per poi scoprire che le ragioni di quella decisioni si poggiano su convinzioni errate, non concrete, irrilevanti.
Ora la Corte d'Appello di Catanzaro ribalta l'esito del Tribunale di Crotone: per Salvatore Di Vuono, ex sindaco di Cutro, non ci sono le condizioni di incandidabilità. Un esito opposto rispetto a quanto deciso il 25 marzo 2021, quando il giudice di primo grado dichiara l'impossibilità per l'ex primo cittadino di presentarsi alle prossime elezioni, qualsiasi esse siano.
Tranchant il ministero dell'Interno che aveva citato in giudizio Di Vuono: era un "amministratore coinvolto" di quel Comune, Cutro, commissariato per mafia nell'agosto del 2020, a seguito dell'operazione "Thomas" della Dda di Catanzaro in cui i magistrati segnano in rosso il presunto rapporto tra la cosca Grande Aracri e gli apparati istituzionali del crotonese. Nel frattempo, a giugno del 2020, era stato lo stesso Di Vuono a dimettersi dalla carico di sindaco per fibrillazioni interne alla maggioranza. Nella vacatio di due mesi (giugno-agosto), il Comune è stato guidato da un commissario prefettizio. Poi, a fine estate, è arrivata la Commissione prefettizia antimafia che ha vagliato il lavoro del passato.
Sollecitata dagli spunti difensivi degli avvocati della difesa, Tiziano Saporito e Fabio Rizzuti, la Corte d'Appello però stronca ogni dubbio: non si evince un chiaro collegamento tra l’operato dello stesso sindaco sul piano amministrativo e l’azione delle consorterie criminose, né un asservimento del medesimo alle volontà e agli interessi delle cosche locali, né, nello specifico, è stata evidenziata una frequentazione del Di Vuono con esponenti di spicco delle consorterie locali".
A confermarlo anche la relazione della commissione prefettizia, che scrivendo di Di Vuono non indica nessuna specifica condotta che avrebbe agevolato le consorterie locali, né una presunta vicinanza ad ambienti ambigui.
La sentenza della Corte d’Appello ricostruisce alcuni episodi, in particolare affidamenti diretti che hanno fatto drizzare le orecchie al Ministero dell'Interno, dicastero che si occupa delle informative ed istruttorie per far sciogliere gli enti per infiltrazione mafiosa. Un istituto, quello scioglimento, per molti verso contestato perché ritenuto troppo invasivo.
Ma secondi i giudici di secondo grado, “non vi è motivo, dunque, di ritenere che detti affidamenti, peraltro non gestiti direttamente dal Sindaco, siano stati da lui pilotati in favore di consorterie criminose non potendo, il generico dovere di vigilanza che compete al vertice del Comune, di per sé solo, far ritenere accertato, in mancanza di altri elementi univoci, che non si evincono dalla relazione prefettizia, una corresponsabilità del Di Vuono nelle attività amministrative ritenute irregolari”.
DI Vuono incassa anche questo elemento a suo favore. A cui ne aggiunge altri che vengono espressi nella sentenza e ne identificano il curriculum: al suo operato da sindaco sono infatti riconducibili " l'approvazione e l'adozione del c.d. “Codice Etico per la buona politica, Carta di avviso pubblico”; l'istituzione per la prima volta di un Assessorato alla legalità, la costituzione come parte civile negli unici due processi di ’ndrangheta che sono stati trattati nel corso del mandato (“Stige” e “Malapianta”)".
Un attivismo antimafia reale, verificato, e lontano da palcoscenici ma rivolto ai fatti, già da quando era assessore alle finanze. Di Vuono,
nel momento in cui scopriva irregolarità nel bilancio, si è dimesso nella seduta del consiglio comunale del 4 Aprile 2012, relazionando l’irregolarità e chiedendo espressamente l’invio della relazione alla Corte dei Conti.
Nel periodo in cui era in carica come Sindaco, nel 2017, sporge denuncia per una particolare irregolarità del bilancio consuntivo del 2007 relativa a debiti fuori bilancio verso la regione Calabria e la invia alla Procura della Repubblica, alla Corte dei Conti, ai Carabinieri e alla Guardia di Finanza. In relazione ai beni confiscati alla mafia, il Sindaco ha promosso un’iniziativa volta a utilizzare un bene adibendolo a parcheggio di altro fabbricato da concedere in utilizzo all’Istituto Comprensivo di Cutro per attività scolastica ed ha fatto sì che venisse prorogata la concessione del bene confiscato alla mafia sito in S. Leonardo di Cutro all’Associazione “Amici del tedesco”.
Una vita dedicata alla legalità, al bene comune, e che ha convinto la Corte d'Appello di Catanzaro a ritenere che non sussistano degli elementi univoci, gravi e concordanti, tali da far credere che Di Vuono abbia favorito le cosche.
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