Da Dylan alle Bahamas, Elijah Wald riempie il Museo del Rock di Catanzaro

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La chitarra appoggiata sulle ginocchia, la voce pacata che precede ogni accordo, il silenzio denso di una sala colma: al Museo del Rock di Catanzaro la musica ha preso la forma del racconto, e per una sera la storia americana del folk e del blues è sembrata vicina, concreta, quasi domestica

  18 dicembre 2025 22:19

di GUGLIELMO SCOPELLITI

Il concerto al Museo del Rock di Elijah Wald, chitarrista ed etnomusicologo di fama internazionale, ha richiamato un pubblico numeroso, composto in larga parte da spettatori che quella stagione musicale l’hanno attraversata davvero, riconoscendone i passaggi e le svolte. Presente il direttore del Museo del Rock, Piergiorgio Caruso, che da anni mantiene in fervida attività uno spazio diventato riferimento stabile per musicisti e appassionati, un luogo dove reperti rari e concerti convivono con naturalezza.

Tra un brano e l’altro Wald ha costruito un filo narrativo continuo, alternando esecuzioni e parole, episodi biografici e spiegazioni storiche, restituendo il senso profondo delle musiche scelte e delle influenze che lo hanno guidato. Introducendo un brano, Elijah Wald si è soffermato sulle origini caraibiche di una melodia diventata universale:

«Questa è una canzone che proviene dalle isole Bahamas, ho imparato questa versione da un chitarrista, forse il mio preferito, il suo nome è Joseph Spence».

Subito dopo ha ricordato come quel brano abbia viaggiato lontano: "La canzone è conosciuta mondialmente perché l’hanno registrata molti artisti, tra cui i Beach Boys". 

Richiamando una figura centrale del Novecento musicale, Wald ha poi annunciato una tappa obbligata del repertorio: "È necessario suonare qualcosa di Bob Dylan", ha detto prima di attaccare “Freight Train Blues”, eseguita con essenzialità e lasciando ampio spazio alla struttura originaria del pezzo.

Il momento più personale è arrivato quando Wald ha legato musica e attualità, raccontando un episodio recente della propria vita, spiegando al pubblico il motivo che lo ha portato, l’anno scorso, a trascorrere una notte in prigione:

«La situazione dei rifugiati e dei migranti è importante. L’anno scorso sono andato in prigione soltanto per una notte, dopo che ho partecipato a una manifestazione contro il genocidio a Gaza».

Introducendo la canzone successiva, l'artista ha collegato quell’esperienza alla figura di Victor Jara, raccontandone brevemente la storia davanti a una sala in ascolto. Cantautore, regista teatrale e militante politico, Jara venne arrestato dopo il golpe di Augusto Pinochet nel 1973, rinchiuso nello stadio di Santiago insieme a migliaia di oppositori, torturato e infine ucciso dai militari. La sua morte lo ha trasformato in un simbolo internazionale della repressione e della resistenza culturale, una voce spezzata che continua a parlare attraverso le canzoni. Prima di suonare “Te recuerdo Amanda”, Wald ha ricordato come oggi Victor Jara sia riconosciuto in Cile come una figura centrale della memoria collettiva.


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