Nicola Zingaretti ha scritto a Mario Oliverio, due giorni dopo Silvio Berlusconi scrive a Mario Occhiuto. Entrambi, supplichevolmente amorevolmente delicatamente generosamente elegantemente romanticamente musicalmente poeticamente, chiedono ai due Mario di rinunciare alla loro “ pur degna e giusta e vera e dignitosa e coraggiosa e appassionata e amorevole( questo sostantivo ci sta bene ovunque) battaglia a favore di un’autonoma presenza elettorale il prossimo 26 gennaio. Lo chiedono, i due “capopartito” per favorire l’unità elettorale dei due schieramenti, senza la quale la vittoria sarebbe impresa o vana o difficile. Né Zingaretti né Berlusconi fanno cenno alla Calabria, al suo smisurato bisogno di politica e di unità delle forze civili e partitiche a sostegno di un’azione di governo che faccia uscire la regione dal dramma in cui essa si trova. Nessun cenno dei due capi alla recente iniziativa giudiziaria che, come un ciclone, ha investito la Calabria, vieppiù aggravando lo stato di crisi e la richiesta, pur silenziosa( silenziosa da paura e da rassegnazione, però), dei calabresi di uscirne presto. Niente di tutto questo. Per B e Z, l’unica preoccupazione è il proprio partito, un po’ più in là, forse, anche il centrodestra a trazione Salvini e il centrosinistra a trazione Grillo. La Calabria “ nisba” dicevamo a Marina quando da ragazzi volevamo dire che non c’è proprio nulla. Qui non c’è proprio il nulla di attenzione, anche caritatevole, verso questa terra che, sotto ogni aspetto, rovina. Si scioglie come pane sfarinato dalle piogge e dal dissesto geologico.
Come da copione, i due Mario( i due rivoluzionari, ve li ricordate???) che fanno? Rispondono allo stesso modo, quasi che la mano della loro scrittura fosse la stessa, e non la loro. Dicono subito( oé, neppure le solite ventiquattr’ore di pensamento!?) sì, ubbidisco. In nome del mio amore per il partito e per te, capo mio che adoro, rinuncio alla rivoluzione e anche alla certezza di poter cambiare la Calabria e mi metto a disposizione tua. E anche di quegli incapaci che tu hai voluto sostituissero me per imporre ancora la mala politica che ha distrutto ogni risorsa buona della nostra terra. Non ho messo questa frase tra virgolette perché è la mia sintesi, diciamo “ letteraria-giornalistica” di un comune loro agire lungo questa inoppugnabile verità. Ancor più ristretta in questa più breve: della Calabria e dei calabresi non frega nulla a nessuno. Ciascuno la utilizza secondo una volgare logica di convenienza. La Calabria non conta nulla nello scacchiere nazionale, né sul terreno politico né su quello economico. La sua “ piccolezza” non incide per nulla sul piano elettorale e su quello congressuale di un partito. Non conta nulla sul terreno economico, dove non sposta nessun decimale su qualsiasi ambito della misurazione dei dati economici del Paese. Terra di consumi( di braccia per il mercato e di prodotti del mercato) la Calabria era e terra di consumi resta. Non c’è stata una sola parola ad essa dedicata in questi ultimi venticinque anni di programmi governativi e nessuna lira veramente produttiva è qui giunta per farla progredire autonomamente. La mia ultima impressione, da farmi rizzare la pelle, è che, paradossalmente, le ultime vicende giudiziarie abbiano accentuato la volontà di abbandonare la Calabria al suo destino. Come venti e più anni fa, quando essa fu abbandonata nella più pesante guerra di mafia dopo quella di Palermo di pochi anni prima, in cui le famiglie ‘ndranghetiste si ammazzavano tra loro lasciando sul selciato centinaia di morti, anche oggi avviene la stessa cosa con l’ambito non poco esteso della Giurisdizione toccato da una lunga guerra interna, oggi, dopo molto tempo, letteralmente esplosa. Roma ancora una volta a dire di noi qualcosa che somigli a :“ lasciateli stare ad ammazzarsi tra loro, meglio un’Italia segata nel suo zoccolo che restare a zoppicare in un’Europa che non ci vuole.” Dinnanzi a questo quadro miserevole, di cui i calabresi non si avvedono, mannaggia! per la condizione di povertà totale in cui sono stati imprigionati, io scrivo oggi una sola lettera. Una, la stessa, per i due Mario della rivoluzione “ minacciata”.
È breve. Questa.
“ Cari Mario, per molti mesi avete detto ai calabresi che un mondo ostile si stava muovendo contro di loro. Questo mondo era espressamente romano-padano, con ramificazioni locali che della viltà e del tradimento della nostra terra avevano i connotati ben visibili sulle facce di vecchi ben noti politicanti, sempre bord line con il malaffare e l’interesse privatistico della cosa pubblica. Ci avete detto che questo mondo si opponeva alla vostra candidatura per impedirvi di cambiare la regione e così riconsegnarla a quanti avrebbero voluto depredarla con cinica intelligenza o indebolirla per manifesta incapacità politica e incultura di governo. Lo avete detto e poi gridato con tanta forza e insistenza che quella parte ancora rimasta , piccolissima parte, dei calabresi ancora disponibili, pur con sempre più scarsa fiducia, nei confronti della politica, vi osservava con la segreta speranza che chissà che questa volta i due Mario non siano sinceri e che ad uno dei due si potesse guardare per poter ancora fare una scelta che fosse almeno la meno peggio. Per quanto le vostre persone persone non siano per loro natura molte simpatiche e politicamente affascinanti, e nonostante che su di esse gravasse un’attenzione preoccupante della Magistratura e delle forze inquirenti che minacciavano, per l’entità delle accuse, azioni assai inquietanti, una pur piccola parte dei calabresi aveva visto in voi delle figure coraggiose. Dicevate cose che sembravano credibili. Forse, voi due, quali persone, molto meno, ma le cose dette in qualche modo attraevano.
La continuità del ben fatto, per te Mario Oliverio, e la prosecuzione della rivoluzione cosentina, riconosciuta da tutti, per te Mario Occhiuto, avevano generato un qualche interesse, anche perché eravate gli unici due che parlavate di problemi e di programmi e, tra l’altro, con una buona esperienza amministrativa dietro le spalle. Voi due ne avevate ben confezionato uno ciascuno, in cofanetti anche eleganti, con il quale avete fatto il giro “ delle Calabrie” facendo quantomeno sperare che, sì, la nuova Calabria delle vostre slides si potesse anche in minima parte avverare. La vostra orgogliosa resistenza su quella frontiere, dove le vigliaccherie e le defezioni e le fughe di chi si è fatto per lungo tempo vostro servo dinanzi alla forza del vostro potere, era quasi un atto di piccolo orgoglio per quegli altri, pur pochissimi, calabresi che si sentivano incoraggiati dal vostro coraggio e dalla vostra coerenza. “Vuoi vedere-anche se pochissimi erano a crederci- che qualche uomo del potere si voglia davvero riscattare da vecchie responsabilità amministrative, convertendosi al bene esclusivo della Calabria, disposti, come gli eroi di un tempo, a dare la propria vita per salvare le proprie idee? Disposti almeno a sacrificare le proprie carriere e i propri interessi personali e familiari per difendere quella Calabria di cui ci hanno detto?” E, invece, dinanzi a quel potere che non si smuove con l’aratro o le reti da pesca, ve la siete data a gambe levate pure voi, danneggiando tanti vostri amici che si sono esposti pubblicamente per sostenervi, perdendo la faccia e la propria appartenenza al partito. Non mi interesse sapere quali giochini vi siano sotto questa vostra fuga “ dalla vittoria”, e quali accordicchi o accorduni vi siano dietro questo improvviso ritorno del vostro amore per il partito. Non mi interessa davvero, perché chiunque potra immaginarlo. Mi interessa soltanto dirvi, con aggiuntivo mio dolore, che giocare per le vostre ambizioni personali con le istituzioni e sulle sorti della Regione, averla tenuta sospesa sulle vostre candidature, impedendo di fatto che in questi lunghi mesi si potessero costruirne altre più vicine a un pur piccolo cambiamento, è fatto moralmente e politicamente molto grave. Avete in qualche modo tenuto in ostaggio la nostra terra impedendo a molti di dare un contributo per un qualsiasi cambiamento.
Il prossimo ventisei gennaio, data arbitrariamente e dannosamente tardiva per le urne rinviate, i calabresi che andranno a votare scenderanno al di sotto del cinquanta per cento. Il nuovo presidente ( nome che sembrerebbe già scontato) e il nuovo consiglio regionale, nasceranno da questa Calabria ancora più piccola, spezzata in due, umiliata ancora, rassegnata in toto. I nomi che usciranno vincenti dal voto sono quelli che voi ben conoscete anche per quella mezza dozzina che riuscirete a infiltrare nelle liste. Sono nomi che detengono il voto più brutto anche di quello che puntualmente, sulla coalizione vincente, arriverà dalle mafie. Il voto più brutto è quello clientelare, di coloro i quali lo incamerano sul terreno dei favori fatti e di quelli promessi in questa parte della Calabria per incultura e disperazione costretta all’accattonaggio presso la brutta politica. E voi sapete che non c’è nulla di più corrotto di un voto rubato così. Nulla di più ingiusto e immorale di un consigliere regionale che prima di insediarsi dichiara di voler compiere un atto di grave illegalità e di ingiustizia profonda, un atto di vera offesa alla democrazia. Quell’atto immorale con cui preferendo i propri elettori sui calabresi onesti e meritevoli, si danneggia tutta intera la nostra terra. Cari Mario al quadrato, di tutto questo, oltre che del vostro pregresso amministrativo, dinanzi ai calabresi interni e a quelli in terre lontane, voi due porterete indelebilmente la più grave colpa. L’altra la porteremo, quando guarderemo i nostri figli andar via, noi tutti, che abbiamo lasciato che tutto ciò accadesse senza muover foglia neppure quando era il vento a soffiare.
Franco Cimino
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