Decreto Calabria bis. Rimane il commissariamento ma lo Stato deve garantire "l'effetto utile", la sentenza della Consulta

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images Decreto Calabria bis. Rimane il commissariamento ma lo Stato deve garantire "l'effetto utile", la sentenza della Consulta

  25 luglio 2021 18:11

di GABRIELE RUBINO

La fanfara scatenatasi a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale sul Decreto Calabria bis, la seconda legge speciale sulla sanità calabrese nel giro di pochi anni, non deve trarre in inganno. La politica fa il suo, contando sulla tipica memoria da pesce rosso italiana, dimenticandosi a sua volta di essere stata protagonista degli stessi testi legislativi. La stessa delegazione parlamentare calabrese ha pienamente partecipato alle modifica e poi all'approvazione di ambedue i decreti sul servizio sanitario regionale, ma questo non ha salvato l'ultimo dalla censura della Consulta o dalla -plurima- correzione di alcuni passaggi nelle medesime aule parlamentari poiché eufemisticamente contrari al buonsenso (vedi l'emendamento che elimina la decadenza automatica dei commissari straordinari in caso di mancata adozione dei bilanci degli esercizi già conclusi). Di certo, chiunque sarà il futuro presidente della Regione legittimamente busserà al portone di Palazzo Chigi per sospendere una cura che per oltre undici anni non ha rimosso il male. Ma questo è un discorso politico, diversa la questione giuridica e gli effetti immediati della sentenza.

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La Corte Costituzionale con la pronuncia n. 168, al netto dei trombettieri, non ha bocciato il commissariamento. Prova ne è che ha superato il vaglio di legittimità l'articolo 2 del Decreto Calabria bis, quello che contiene le regole in cui lo Stato sostituisce la Regione sulla nomina, controllo e revoca dei commissari straordinari delle aziende. Prerogativa ben più 'pesante' delle norme bocciate. Tuttavia, la Consulta ha sposato un principio interessante: "l'effetto utile". Si potrebbe riassumere così: va bene quando la Stato interviene per sopperire accertate lacune regionali, ma le misure approntate devono produrre effetti correttivi concreti, finanche con l'impegno delle "proprie migliori energie e anche adeguate risorse finanziarie". Il discorso è quindi spostato sui risultati più che sull'istituto in sé del commissariamento. La stessa Consulta, sintomo che qualcosa covava già, nella relazione sull'attività del 2020 presentata a marzo di quest'anno, si esprimeva così sui: "commissariamenti delle sanità regionali, spesso della durata di molti anni e quindi essi stessi dalla dubbia efficacia. Il fatto è che la peculiarità implicita in un servizio nazionale, ma a gestione regionale, può essere risolta solo con un esercizio forte, da parte dello Stato, del potere di coordinamento e di correzione delle inefficienze regionali: il suo esercizio inadeguato non solo comporta rischi di disomogeneità, ma può ledere gli stessi livelli essenziali delle prestazioni".   

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Nel dettaglia la Corte ha dichiarato illegittima la norma che prevedeva con onere a carico della Regione il reperimento del supporto di 25 unità di personale da destinare alla struttura commissariale ed inoltre la determinazione quantitativa, cioè che tale contingente fosse al "minimo" e non al "massimo". Come riconosciuto anche dalla sentenza di fatto una disposizione rimaste inattuata. Se è vero che alcune unità sono arrivate in Cittadella via Agenas (ma questo era un supporto a sé stante, previsto in un altro comma e con coperture finanziare diverse), la costruzione del dream team dei 25 regionali  è rimasta una chimera. La stessa Amministrazione, con una delibera del gennaio di quest'anno aveva tentato di eludere il problema assegnando al commissario ad acta l'intero dipartimento Tutela della Salute. Peccato che lo stesso Guido Longo in un suo decreto aveva di fatto svelato il tentativo di svicolare l'obbligo scrivendo come la delibera "non risponde adeguatamente alle esigenze di supporto della struttura commissariale, atteso che il Dipartimento Tutela della Salute, Servizi Sociali e Socio Sanitari presenta tuttora una grave carenza di risorse umane". Quando La Nuova Calabria lo rivelò per tempo (LEGGI QUI), il presidente facente funzioni Nino Spirlì si adontò sbottando contro gli avvelenatori di pozzi che avrebbero messo a repentaglio lo slogan sotteso a quell'atto amministrativo. Già allora nessuno discuteva del merito dell'intento politico del presidente di cercare una cooperazione costruttiva con il commissario ad acta governativo, ma all'epoca come adesso c'era una questione di "effetto utile". Gli annunci spesso sbattono violentemente contro il principio di realtà. Guarda caso la stessa Amministrazione regionale fu poi costretta a bandire l'interpello per reclutare il personale che la Regione non aveva trovato all'interno di Asp e aziende ospedaliere. Finora il risultato è che su 25 previste una sola unità di personale è al servizio di Longo. Adesso la Corte Costituzionale non solo boccia questo meccanismo ma indica anche la strada da percorrere. Se il dipartimento regionale è 'insufficiente' ad affiancare il commissario "non può, infatti, che essere perseguito attraverso un intervento che comporti una prevalente sostituzione della struttura inefficiente con personale esterno altamente qualificato fornito direttamente dallo Stato – e di cui sarebbe opportuno che l’onere sia a carico della stessa autorità centrale –, in modo da evitare anche ogni possibile condizionamento ambientale".  

L'altro passaggio censurato riguarda la condizione per lo sblocco del contributo di solidarietà. I famosi 60 milioni per tre anni. La norma prevede il dovere per il commissario di aggiornare il piano di rientro approvando il programma operativo 2022-23. Per la Corte costituzionale non va bene perché non si consente in alternativa alla Regione di poter ridiscutere il piano di rientro con lo Stato. Su questo aspetto si potrebbe innestare un discorso fluviale. Trascendendo dalla sentenza, proprio l'incapacità (o non volontà) della politica regionale di voler ridiscutere con il governo pro-tempore un nuovo piano di rientro sulla sanità è stata la colpa capitale. Alle denunce di spoliazione del potere doveva accompagnarsi una proposta (fatto raro di questi tempi), ma presumibilmente l'unica strada seria e alternativa rispetto al pantano in cui è finito il servizio sanitario calabrese. Attenzione, la Consulta ha bocciato con la formula "nella parte in cui non prevede", non quindi una censura totale. Bisognerà vederne gli effetti. Anche perché proprio in questi giorni è atteso l'aggiornamento programma operativo (nel senso di prosecuzione come prevedeva il Decreto Calabria bis prima della pronuncia della Consulta) che dovrebbe essere contenuto in un provvedimento firmato da Guido Longo. La partita nell'immediato è tutt'altro che insignificante visto che non solo significa sbloccare il contributo di solidarietà ma contestualmente i 12 milioni di euro assegnati per l'attivazione del programma straordinario di assunzioni finora rimasto solo sulla carta del Decreto. Andare avanti produrrebbe certamente un 'effetto utile'. 

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