Delitto di Perugia, il "dramma Sollecito" scuote Soverato

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Daniela Poggiolini, Francesco Bruno, Roberta Spinelli, Raffaele Sollecito, Sergio Caruso, Maria Tassone
  28 luglio 2019 08:14

di ANTONELLA SCALZI

Serata crime a Soverato all’insegna della criminologia non proclamata, ma studiata e piazza don Giovanni Gnosco stracolma. Raffaele Sollecito e il criminologo Francesco Bruno ospiti d’onore per un evento moderato dalla giornalista Rai Roberta Spinelli e organizzato dall’avvocato Maria Tassone e dal criminologo Sergio Caruso.

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A fare gli onori di casa il sindaco, Ernesto Francesco Alecci, che al pubblico ha voluto regalare un’iniezione di sobrietà dichiarando di «avere fiducia nella giustizia». E quella di Alecci, pronunciata in un contesto come quello vissuto ieri sera a Soverato, non è affatto apparsa come una frase fatta. Era molto di più soprattutto perché pronunciata in un contesto complicato. Sullo sfondo c’era un tuffo da fare nei meandri della criminologia con una sorta di lecito magistralis che Bruno ha condotto con semplicità e competenza, sul filo del libero arbitrio che – a suo avviso - «rappresenta il più grande problema della teologia». Strenua la sua difesa di Sollecito che per anni, agli occhi dell’opinione pubblica, è apparso come l’assassino di Meredith Kercher salvo poi essere scagionato, dopo anni, dalla giustizia che ha raccontato una verità processuale ben diversa.

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Per il delitto di Perugia al momento sta pagando, condannato in concorso, soltanto Rudi Guedè. Quel che è certo è che, sulla sentenza di assoluzione che ha posto fine all’incubo di Raffaele Sollecito, Bruno non ha alcun dubbio al punto che l’ha definito «un povero disgraziato che non c’entrava nulla». Un disgraziato che quell’incubo l’ha raccontato in un libro e che a Soverato non si è lasciato fermare neppure dall’aver dovuto iniziare il suo intervento senza microfono. Ha raccontato il suo incubo in carcere, le maldicenze della gente e il contesto di quello che per lui è «un’omicidio a sfondo sessuale». Per l’ennesima volta ha difeso se stesso e Amanda Knox snocciolando una serie di quelli che lui chiama coriandoli ovvero elementi nelle mani di «giudici estremamente ostili».

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Un’impronta non sua, un coltellino che si portava sempre dietro. Tanto è bastato per fare di Sollecito un mostro, ma lui non molla nonostante oggi dica: «È difficilissimo credere nella magistratura». Quel “te lo sei andato a cercare” che, sostanzialmente, ha smontato anche la sua richiesta di risarcimento danni l’ha spinto a raccontare aspetti estremamente intimi di una vita sicuramente non semplice. E tutto riporta ad Amanda e al dramma di un ragazzo, oggi ingegnere informatico, che ieri non ha avuto remore a dire: «Mi hanno lasciato marcire in carcere». Com’è possibile: questa la domanda che riecheggiava nel pubblico. È possibile perché il riconoscimento del danno non è affatto automatico, ma lo sconcerto resta. L’avvocato Maria Tassone l’ha spiegato chiaramente, ma Sollecito ha bollato tutto come «una grandissima fesseria». Un fiume in piena che non ha fatto sconti e ha usato anche termini forti per descrivere quella che per lui è «un’ingiustizia», In sostanza gli sarebbe bastato accusare Amanda Knox per non fare un giorno di carcere eppure la verità di Raffaele Sollecito era e resta un’altra e dice – come poi la verità processuale ha confermato – che lui e Amanda sono innocenti. Altro che esoterismo e medium, Sollecito vuole che «i giudici che sbagliano paghino per i propri errori». D’altronde, «la criminologia - ha detto il criminologo Sergio Caruso – è una scienza». Sonora bocciatura dei processi mediatici, insomma, perché quel che serve è «un’analisi scientifica». Stop a preconcetti e pregiudizi, dunque. «Ciò che conta – per Caruso - è il fatto». Tanti i casi citati tra cui uno che tocca la calabria da vicino ovvero il caso Bergamini, il giocatore del Cosenza al cui suicidio nessuno ha mai creduto davvero.

E per il criminologo Francesco Bruno i giudici, nel caso Kercher, hanno sbagliato e come. La sua certezza è terribile: «Se potessero lo ributterebbero in carcere». Parlava di Raffaele Sollecito, ma ci sono altri casi che per Bruno vedono innocenti in
carcere. Antonio Logli, Olindo e Rosa Bazzi e sulla coppia di Erba non ha alcun dubbio: «Loro non c’entrano nulla».

Altro che rispetto delle sentenze, Bruno ha dipinto un quadro a tinte fosche della giustizia italiana. Fare da contraddittorio è toccato alla moderatrice, ma i toni sono rimasti aspri. Sullo sfondo l’importanza delle prime 24 ore da un fatto di cronaca e quella sorta di diatriba tra inquirenti e difensori. Dal canto suo la terapeuta Daniela Poggiolini ha posto l’accento sulla comunicazione non verbale che «ci consente di conoscere noi stessi e lasciare andare i nostri pregiudizi». Ed è a questo punto che è emersa la reale importanza di quell’ascolto attivo che può fare la differenza.

Esperienze di vita da brividi ieri hanno scosso Soverato. Il dramma di Sollecito da un lato, quello di Caterina Villirillo dall’altro. Lei è la presidente dell’associazione “Libere donne Crotone”, ma soprattutto la mamma di Giuseppe Parretta, di un ragazzo che lei ha visto morire nel suo centro antiviolenza. Un paradosso che dimostra come spesso la realtà superi la fantasia. E poi quella forza che non ti aspetti e che ha trasformato Caterina Villirillo in una sorta di wonder woman e che, da 123 giorni, sta facendo rimanere aggrappata al filo sottilissimo della vita Maria Antonietta Rositani, la donna praticamente bruciata viva dal marito a Reggio Calabria, la donna che Soverato non lascerà sola. Femminicidi, codice rosso, rito abbreviato: anche di questo si è parlato nella perla dello Jonio e c’è chi l’ha fatto provando a ricucire lo strappo con la giustizia.

Se Sollecito è stato vittima di un errore giudiziario, in effetti, ciò non vuol dire che sia tutto da buttare. «La verità viene sempre fuori»: nonostante ieri di critiche alla malagiustizia ce ne siano state tante è stata questa la frase che Salvatore Panaro del Sappe ha voluto utilizzare per affrontare temi delicati snocciolando cifre da brividi come ad esempio quei seicento femminicidi che dovrebbero davvero far riflettere sulla capacità di gestire il rapporto uomo – donna.

 

 

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