di FRANCO CIMINO
Ho un dolore in petto che fa molto male. Giù giù fino al cuore e non vuol finire. Anzi, si fa sempre più forte e si trasforma pure. È il dolore della politica, oggi diventato dolore per la politica, cioè a causa di essa. È iniziato che avevo quattordici anni. Ed era passione. Fuoco ardente. Faceva male il petto per le emozioni che lo attraversavano ogni qualvolta entravo nella sezione del mio partito, la DC. O quando ascoltavo gli adulti parlare o leggevo di tutto e studiavo tanto. E quando partecipavo alle assemblee e alle prime riunioni della direzione sezionale o a quelle del Movimento Giovanile di cui divenni delegato a vari livelli. E poi per il mio intervento al mio primo Congresso Provinciale, per il primo comizio e i primi confronti con i giovani degli altri partiti, e per la presenza ai congressi degli avversari. Mi batteva il cuore anche per quelle tasche e borse di finta pelle o di stoffa, piene di libri e di riviste e di block notes (chi se li ricorda com’erano?) su cui prendere appunti su appunti e segnare rapidamente le mie riflessioni per poi tornare a casa e lavorarci tutta la notte per l’intervento che avrei dovuto fare. Perché a quei tempi il male al petto ti veniva anche per la fatica dello studio e della personale elaborazione di un pensiero politico che fosse il tuo.
Allora, non si prendeva mai la parola se non ci si preparava. E, soprattutto, se dopo parecchio tempo di “ militanza” non ci si sentiva in condizioni di poter intervenire. Giunti a quel punto si era già formato in quel giovane, io, e in tanti giovani, quelli che ho conosciuto, il dovere della serietà, il senso della responsabilità, la promessa dell’impegno. E perché no? pure un pizzico( per taluni molto di più ) di ambizione, srotolata, però, in un lungo corridoio di altre emozioni e impegni forti. Si partiva da quello di dover essere più bravo di te stesso del giorno prima, poi più bravo del giovane che ti era accanto e più bravo di quelli bravi e così via. Il resto delle ambizioni riguardava una possibilità di ascesa da qualche parte che apparteneva al sogno. Ci si impegnava tanto e tanto ancora e sempre di più che non ci si stancava mai, perché si aveva un credo in quello stesso petto e molte idee belle dentro a quegli ideali immortali, che ti danzavano in testa. Sapevi che non potevi essere ignorante, irresponsabile e superficiale, svogliato o egoista, perché appartenevi a una idea gigantesca, per certo, la migliore di tutte. Dovevi render conto a una organizzazione democratica, la migliore, la tua, che governava il tuo Paese, stava contribuendo a costruire l’Europa, partecipava intensamente alla vita delle istituzioni democratiche. Fu lì e in tutto ciò che di quelle prime volte ripetetti infinite volte, che scoprii il valore inalienabile delle istituzioni e il principio intrasferibile che quei luoghi erano consacrati. Come chiese laiche erano lo spazio in cui si esercitava la religione laica della democrazia. Come tali non si appartenevano a nessuno di coloro i quali sarebbero andati a rappresentarle in nome del popolo. Specialmente, se a seguito del voto libero. Il petto mi faceva male da morire perché il cuore impazziva di gioia dinanzi a queste continue scoperte.
Batteva forte, cavolo, anche quando ascoltavo da vicino uomini del calibro di Fanfani, Andreotti, Zaccagnini, Galloni, Rumor, Anselmi, Donat Cattin, e tanti altri dei miei leader. E poi, Amendola, Ingrao, Iotti, Natta, Berlinguer, Giolitti, De Martino, Craxi, Spadolini, La Malfa, padre e figlio, e tanti altri ancora tra i leader delle forze politiche antagoniste, per non dire di Lama, Trentin e altri del mondo sindacale. C’era da imparare da tutti e io da tutti, anche qui in Calabria, apprendevo. Il petto mi faceva male quando sognavo di poter occupare io stesso un ruolo di maggiore responsabilità nel mio partito e nelle istituzioni. E più forte quando al mattino concretizzavo che quei sogni avrei potuti realizzarli, perché se si era bravi e un po’ fortunati molti di quei giovani, io tra questi, in quelle istituzioni ci sarebbero andati. Io intanto mi preparavo, non solo studiando, ma coltivando il più il più importante dei valori, l’onestà. Che in Politica non significa soltanto non rubare, non corrompersi, non svendere il bene pubblico agli affari privati, o rispettare le leggi. Ci mancherebbe che così non fosse! Onestà o moralità o etica politica, la si chiami come dir si voglia, significa essenzialmente rispettare le istituzioni, la loro autonomia assoluta, servirle e non servirsi di esse. Significa concepirle, in questo unitamente ai partiti, come strumenti della democrazia utilizzati esclusivamente per fare il bene della gente. Mai pensando, neppure un secondo, di farne una cosa per se stessi o per gruppi di potere cui asservirsi. Moralità della Politica significa interiorizzare la Legge ideale, madre di tutte le leggi, quella che ha partorito Democrazia soffiandole nel corpo lo spirito di libertà. La Legge che ha un nome bellissimo, Costituzione. È in nome suo che “ i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.
Chi le utilizza come fosse uno curva da stadio o l’osteria degli ubriachi, o il cortile delle comari per il pettegolezzo infangante l’onore dell’avversario o peggio per indebolirlo artificiosamente o ricattarlo, offende le istituzioni, umilia la democrazia, uccide quel che è rimasto della fiducia della gente. Infine, carica di violenza aggiuntiva quella da tempo crescente nella società. L’aggressività, che si sprigiona nel Parlamento, nei Consigli regionali e comunali e all’interno del mondo chiuso della politica, fa di seguito sempre più proseliti e si diffonde più velocemente di un virus letale. La società violenta, in cui la vita e la dignità umana hanno perso di valore, è figlia di una falsa cultura che ha negato a se stessa il piacere dello studio, la gioia di contribuire anche materialmente al corretto funzionamento dello Stato, il rispetto dell’Autorità, il prestigio delle istituzioni, l’onore di chi le rappresenta, il senso del dovere verso la collettività e il Paese, che siano la città, la regione. E il Paese, inteso, via via che lo spirito della nostra Costituzione si diffonda, quale Europa e mondo senza confini. Le televisioni e i massi media, con la tecnologia più avanzata dentro le nostre tasche, insieme alla crescente ignoranza, fa da moltiplicatore alle spinte più irrazionali e agli impulsi incontrollati. L’ennesimo vergognoso spettacolo di indecenza e immoralità violenta, di uso spregiudicato delle istituzioni, consumatosi l’altro ieri alla Camera dei Deputati, trasmesso a reti unificate, ed altri casi di malcostume politico che abbiano registrato, dai comuni alla regione, anche di recente, in Calabria, stanno portando la democrazia a un punto dal quale sarà difficile tornare indietro.
Forse, siamo ancora in tempo per arrestare questa deriva narcisistico-autoritaria, che sta franando su ogni ambito della vita sociale. Ma ci vorrà tanta tanta forza in quanti vorranno ancora sentire dolore al petto per l’irrompere degli ideali più grandi. Quelli che, mentre stanno rompendo il cuore, lo fanno più robusto e sano nella magia della Politica. Quella vera.
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