Denuncia shock a Catanzaro: “Mio figlio dodicenne accoltellato davanti scuola, tutti sapevano”

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Foto d’archivio
  04 aprile 2025 23:24

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA LETTERA DI UN GENITORE CATANZARESE: 

Si chiama J.G., ha solo 12 anni, frequenta la seconda media in una scuola di Catanzaro. La sua unica colpa? Non voler stare con i compagni che lo bullizzano, chiedere solo di leggere un libro in silenzio durante la pausa per non essere coinvolto in dinamiche violente. Ma questa scelta di libertà e dignità, in un ambiente scolastico che non lo ha mai protetto, gli è quasi costata la vita.

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Il 2 aprile 2025, dopo essere stato minacciato all’interno della scuola, all’uscita, J.G. è stato accerchiato da quattro coetanei armati di coltelli a scatto, come riportato in una denuncia ufficiale. Uno di loro ha sferrato un colpo al volto, ferendolo al naso, gli altri lo hanno immobilizzato mentre il primo continuava ad accanirsi contro di lui con 15 coltellate, tutte intercettate solo grazie al telefono cellulare che J.G. teneva stretto tra sé e le lame. Il telefono si è tutto bucato, la sua mano sinistra è rimasta ferita. La sua unica via di salvezza è stato uno spray al peperoncino, che aveva con sé, preso giorni prima dall’ufficio del padre, (G.G.). Grazie a quello spray, è riuscito ad accecare temporaneamente gli aggressori e a tentare la fuga. Ma l’incubo era solo all’inizio.

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Durante la fuga, una donna – madre di uno degli aggressori V.C. – e un uomo a bordo di una Smart blu non identificato gli hanno tagliato la strada rischiando di travolgerlo, per poi bloccarlo alla fermata del pullman. Lì, la madre ha preso a schiaffi il ragazzo in pieno volto, gli ha strappato la felpa, la maglia interna, la cartella scolastica, e ha scagliato il telefono a terra con forza. Tutto questo mentre J.G., nel panico, era al telefono con il padre. “Sentivo le urla, i colpi, e gridavo: ‘Chiamate la polizia, chiamate la polizia!’, ma nessuno è intervenuto” racconta il padre. Solo grazie alla propria forza e lucidità, J.G. è riuscito a svincolarsi e fuggire verso casa.

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Un’aggressione brutale, disumana, eppure ampiamente annunciata. Da più di due mesi, (G.G.) aveva avvertito la scuola con una PEC ufficiale al Dirigente scolastico datata 30 gennaio, segnalando episodi continui di bullismo, violenza e gravi responsabilità anche da parte del corpo docente. Nella PEC, viene citata direttamente la professoressa D.S., docente di arte, che – secondo quanto denunciato – avrebbe picchiato il ragazzo, umiliato il padre in classe davanti a tutti gli alunni, e costretto J.G. a stare con i bulli, perfino durante la ricreazione, impedendogli di leggere un libro, come aveva chiesto. Un comportamento, quello della docente, che non solo ha ignorato il disagio di J.G., ma lo ha aggravato, diventando essa stessa parte del problema.

Questo tipo di atteggiamento, purtroppo, non è un caso isolato nelle scuole del territorio, dove – denuncia G.G. – alcune insegnanti invece di affrontare i problemi, preferiscono classificare i bambini come “problematici” per scaricarli sul sistema sanitario, chiedendo per loro certificazioni psichiatriche solo per non doverli più gestire, evitando così ogni responsabilità educativa.”È una vergogna – afferma il padre – che un bambino che chiede protezione venga invece emarginato, etichettato e infine abbandonato, esponendolo a un’aggressione con coltelli. Se mio figlio non fosse stato sveglio e non avesse avuto quello spray, oggi avremmo un funerale. Un bambino ucciso a coltellate davanti a una scuola.”Il clima era talmente esplosivo che da due mesi, alcune insegnanti hanno dovuto scortare J.G. spesso fino alla fermata del pullman, riconoscendo implicitamente il pericolo. Eppure, quando finalmente G.G. è stato convocato dalle insegnanti , la scuola ha accusato J.G. di essere lui il problema, arrivando a richiedere una certificazione psichiatrica per attivare un sostegno e “gestirlo”. Tutto, tranne occuparsi del vero problema: il bullismo, l’omertà, la complicità interna.

Dopo l’aggressione, alcuni genitori degli aggressori hanno contattato G.G. chiedendo di non procedere con le denunce, proponendo di “sistemare tutto bonariamente”. Ma G.G. è chiaro: “Non manderò più mio figlio in quella scuola finché non sarà garantita la sua sicurezza. E se necessario chiederò un risarcimento per tutti i danni morali, psicologici e materiali, coinvolgendo direttamente la scuola, la classe seconda B e ogni figura responsabile di questo vergognoso silenzio.”Oggi J.G. è vivo per miracolo. Ma domani? Quanti altri bambini rischiano la vita in ambienti scolastici dove i docenti bullizzano, i dirigenti ignorano e gli aggressori vengono protetti? Questa non è scuola. È una zona grigia dove il diritto all’istruzione si trasforma in paura quotidiana. È tempo che le istituzioni intervengano. Che la città si svegli. Che la scuola torni a essere ciò che deve: un luogo sicuro per crescere, non un'arena di sopravvivenza.

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