Derby, Cimino: "Partita bella e vera per due belle squadre"

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Franco Cimino
  28 dicembre 2024 20:20

di FRANCO CIMINO

Il gioco del calcio è bello! Nonostante le sue fragilità in quanto sistema in cui girano molti denari e comandano i pochi potenti procuratori, resta, forse, il gioco più bello in assoluto. La ragione più importante è che tutti possono praticarlo. Da calciatori. Bambini, ragazzi, giovani, adulti, anziani. Tutti possono essere campioni. Con i sogni di bambino mai interrotti. Il calcio li tiene sempre vivi e nelle diverse tue vite te li riporta com’erano. Campioni autentici nel proprio piccolo ambito agonistico. Sì è campioni quando ci si distingue in positivo, anche sul piano morale, dagli altri. Quando i compagni e gli avversari ti ritengono il migliore. Quando tu diventi ogni giorno migliore. Non degli altri, ma di te del giorno prima. Esattamente, come per tutti i “ campi” della vita. Giocare a pallone possono farlo tutti. Ché tutti possono impararlo. È sempre per quella più semplice ragione: al gioco del pallone si arriva già “ imparati”. É quella sfera perfettamente rotonda, che è maestra e allieva. Insegna e impara. Come a Scuola il maestro. Per praticare questo gioco non occorre uno stadio, piccolo o grande. Basta un piccolo rettangolo in uno spiazzo, uno sterrato, se ce ne fosse ancora, un cortile, se ce ne fossero ancora. Una stradina, che dà sulla via. Se ce ne fossero ancora. O la spiaggia. Se fossero ancora larghe e profonde, che il mare lo vedi dalla strada solo se hai la vista buona. Sterrati, polverosi e “ acquitrinosi” , asfalti stretti e bucati. Cortili assolati e freddi e sempre minacciati da chi disturbavamo, rompendo talvolta i vetri delle finestre e perdendo da lì il pallone. E addio partita. Campi sportivi tutti questi, come li abbiamo occupati, di “ tigna” e di gioia, molti di noi. I ragazzi di quell’età nostalgica, andata via, con le partite, molto tempo fa. Il gioco del pallone è bellissimo, perché racchiude in sé molti valori della vita. Fatica, impegno, ardimento, coraggio, umiltà, impresa, lotta. Forza per qualsiasi fisicità. Lealtà, onestà. Sincerità. Passione e amore. Creatività individuale e geometria collettiva. E “quell’uno per uno e tutti uno”, che non è solo l’inno di combattimento dei quattro moschettieri, ma il grido del gruppo che si fa squadra. Per onorare la maglia. Dare prova di virtù “ eroiche”.

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Per offrire gloria ai colori della bandiera e della città. Impegno incondizionato per il raggiungimento di un obiettivo comune. Il valore civile più alto, che contiene nello stesso momento quello della vittoria e quello della sconfitta. Perché nelle gare sportive, come nelle “ battaglie”, si vince e si perde. Con onore e dignità. E il pareggia non è un risultato “ brutto”, talmente neutro da non avere né odore, né sapore. Ma un fatto che ha valore talvolta più di una vittoria se è l’esito di una parità tecnica, agonistica, etica, tra le due parti in competizione. Insomma, il calcio è sport. E lo sport è vita. Questo sport, questo calcio, l’ho visto il ventisei dicembre. A Cosenza. Nello stadio San Vito. Nel tanto atteso derby della “ guerra” attesa e preparata da chi pensa che una partita di calcio, tra corregionali in particolare, sia il campo di battaglia di due eserciti nemici. Invece, questa volta, per merito di tutti i calciatori, degli allenatori e dei presidenti, è stato solo una partita. Di pallone. Una partita che si gioca solo in campo per non meno di novantacinque minuti. Gli spalti non c’entrano se non quando si colorano di festa. Con canti, saltelli a ballo, musica, cori di incitamento, bandiere sventolanti al fiato dei tifosi. E con quegli sfottò reciproci che tanto fanno divertire. L’altra sera, dalla televisione questi spalti si vedevano poco e non si sentivano i cori. Le immagini erano tutte dei calciatori in agonistico sforzo, tra tecnica fine e muscoli tesi. Come i nervi degli antagonisti. Non oso commentate la partita sul piano tecnico per evidente incompetenza. In particolare, nella valutazione delle scelte degli allenatori e del modulo tattico usato. Non mi azzardo a fare la formazione, non solo perché il tecnico conosce tutto di ogni singolo calciatore. Quanto stia bene, o stanco o in forma, acciaccato o influenzato, se e quanto abbia lavorato durante la settimana, lo sa solo lui. Non faccio la formazione anche per un senso di frustrazione quasi peccaminoso, perché metterei me al primo posto, numero dieci e fascia di capitano, non altri. Giudico solo la partita per quel che mi offre. Come spettacolo, come manifestazione dello spirito sportivo. E dico senza indugio che Cosenza- Catanzaro è stata una bella partita. Una partita vera. Tecnicamente e agonisticamente elevata. Giocata ad armi pari(di valori non di numeri), da ambedue le squadre. Una partita leale, pulita, corretta. Giocata onestamente da tutti. Cinquina arbitrale compresa. Il pareggio è il risultato più giusto. Proprio per il valore sportivo. Ambedue le squadre cercavano la vittoria, bisognevole reciprocamente dei tre punti. Il Cosenza per allontanarsi dal pericolo. Il Catanzaro per avvicinarsi alla gioia. I due punti perduti da ciascuna, non hanno modificato alcunché delle loro aspirazioni. Ed io che tifo ardentemente per i giallorossi(i miei, dei catanzaresi e del mio indimenticato papà), desidero il bene di tutte le squadre Calabresi. Ma in second’ordine rispetto a quello vero, serio, della Calabria. Tuttavia, per quest’ultima sfida dico che il Cosenza si salverà e il Catanzaro farà i playoff. E chissà…

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