Il Ministero della Giustizia è stato condannato a risarcire i familiari di un uomo suicidatosi nel carcere di Vibo Valentia nel 2008 dove si trovava in esecuzione di un'ordinanza custodiale. Erano stati la moglie e i quattro figli a chiamare in causa il dicastero.
Lo scorso 3 agosto la Corte di Appello di Catanzaro ha deciso, dopo un annullamento con rinvio della Cassazione, di condannare il ministero della Giustizia a pagare, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, una somma consistente per ciascuno dei 5 familiari, oltre agli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza e il pagamento delle spese processuali. Una cifra rilevante che però non è stata resa nota. I familiari erano tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Di Renzo, Nicola D'Agostino e Nazzareno Rubino, che esprimono soddisfazione per la decisione della Corte. Nelle motivazioni si legge che, secondo quanto valutato dalla Cassazione, "non può ragionevolmente affermarsi, nella specie, che l'amministrazione penitenziaria abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare l'evento".
Aggiungendo a ciò, inoltre, che nonostante non si evidenziassero ragioni di rischio il detenuto era stato sottoposto al regime di "grande sorveglianza" (guardato a vista ogni 20 minuti). "È incontestabile sul piano causale - è scritto nella sentenza - che, ove il detenuto fosse stato sottoposto a regime di detenzione comune, come peraltro espressamente richiesto dal pubblico ministero, i suoi intenti suicidari sarebbero stati impediti o comunque resi di assai più ardua realizzazione dalla presenza di altri detenuti".
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