Diatriba denominazione aeroporto, Cimino invita all'incontro e alla cooperazione tra le città

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Franco Cimino
  06 settembre 2022 12:11

di FRANCO CIMINO

Io amo la Calabria. L’amo tutta. E tutt’intera. L’amo di un amore grato, perché è una terra bellissima. L’amo di un’amore colpevole, perché siamo noi, gli stessi calabresi, che, figli degeneri di una madre considerata matrigna, l’abbiamo prima ferita, offesa, umiliata, sfregiata, impoverita, e poi abbandonata. Il nostro egoismo, l’ha ferita. La nostra ignoranza, l’ha impoverita, sfregiandola. La nostra stupidità, l’ha abbandonata. Scontiamo culturalmente, quasi antropologicamente, ancora l’antica divisione geo-politica, diciamo, che rintracciamo nelle prime carte geografiche. Quelle in cui la nostra terra era divisa in Calabria Citeriore e Calabria Ulteriore, intendendo la prima l’area racchiusa in quel territorio vasto che oggi sarebbe la provincia di Cosenza, un po’ giu di lì fin verso la “ piana” di Decollatura. Tutto il territorio che stava sotto il fiume Neto, che faceva da confine, si chiamano Calabria Citeriore. Insomma, anche noi, avevamo al nostro interno un Settentrione e un Meridione, non saprei dire adesso se fossero anche il nostro Nord e il nostro Sud. Ma eravamo nel Medioevo.

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Oggi siamo nel terzo millennio e ancora rivendichiamo la divisione, successivamente divenuta le molte divisioni, come un bene. Un valore quasi identitario, che reclamiamo con orgoglio. Se evitassimo per un un momento la volontà di andare a cercare altrove, anche nella storia scritta, i colpevoli della nostra arretratezza, scopriremmo che i primi siamo stati noi, che abbiamo coltivato, su una terra generosa e fertile, il seme della divisione. Anche quelli che nei secoli ci hanno occupato e depredato, fino ai tempi della “ modernità” post risorgimentale, lo hanno potuto agevolmente fare perché hanno trovato sulla loro strada il loro migliore alleato, la nostra divisione. Su di essa sono nati non già i campanilismi pur deteriori, ma le ostilità più forti e insuperate. Quelle fondate sul falso orgoglio e una malintesa identità territoriale, che ha fabbricato, anziché prodotti dell’industria e dell’agricoltura, odio e rancori, invidie e gelosie. È giunto il tempo di abbattere tutto ciò. Chiudere quello dell’ignoranza e della stupidità per aprire quello dell’intelligenza e della generosità. Da queste ultime può nascere un moderno progetto politico ed economico fondato sulla valorizzazione delle risorse territoriali e sulla solidarietà. Questo processo non può nascere da solo, come una sorta di big bang. Non può nascere neppure dal basso, cioè dai cittadini. Essi sono troppo impegnati nella lotta, individuale e solitaria, per la “ sopravvivenza”. Dei loro sogni. E della speranza. Oggi, e vieppiù nel prossimo autunno-inverno, come il resto degli italiani, i calabresi sono costretti a una lotta più dura. A una fatica enorme. Quelle di affrontare una delle più gravi crisi, economica e quasi umanitaria, che la storia dal secolo scorso possa segnare. Il processo di unità, che nasca dalla comprensione e dal riconoscimento reciproco, può essere avviato, allora, e paradossalmente, solo dalla Politica e dalle istituzioni. Dai loro vertici, innanzitutto. Io amo Catanzaro quasi, solo un grammo in meno, come amo i miei amori della vita. Non sono il solo. Come me e più di me, sono tantissimi. Ma io amo anche Lamezia, per non dire di Crotone, dove per necessità familiare sono nato e vissuto, però, per il solo primo anno di vita. Amo pure Taverna, la mia seconda Città. Amo Soverato e tutti i paesi della costa magnogreca. E Cosenza e Reggio Calabria e Vibo Valentia e tutti i territori che le adornano, arricchendole di bellezza e cultura. Ovunque vai, trovi pezzo per pezzo, volendoli perimetrale, parte dell’unica bellezza calabrese. Quella che il grande Leonida Repaci, l’italiano cosmopolita di Palmi, ha dipinto nella sua più nota( agli altri) poesia. Li amo tutti, le nostre Città e i loro territori, per forza del sentimento e della ragione. Del sentimento, perché siamo tutti calabresi, figli della stessa madre terra, e non posso desiderare per me ciò che non sia anche per gli altri. Della ragione, perché ciò che desidero per me non posso ottenerlo senza il contributo degli altri. Nella fatica e nel progetto condivisi. Ci sarà anche qui tempo e luogo per riprendere questi concetti.

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Oggi voglio solo ribadire che Catanzaro e Lamezia non cresceranno mai se resteranno divise e “ lontane” . Soprattutto, oggi che, nonostante l’assenza ancora di una metropolitana comune, la linea ferroviaria vetusta, quella strada da migliorare ancora, esse distano l’una dall’altra soltanto trenta minuti. Un tempo di gran lunga inferiore a quello necessario per spostarsi da un punto all’altro delle grandi Città. L’unica realtà che ci “separa” è solo la pianura, quella lametina, una delle tre calabresi assai preziose, questa però, rispetto a quella di Sibari e di Gioia Tauro, fortunatamente ancora abbastanza libera. Ci separa, quindi, un grande bene, purtroppo non pienamente utilizzato. Anche per colpa nostra, delle due classi dirigenti, che nel corso di questi ultimi quarant’anni circa hanno fatto fallire l’unica idea veramente nova sorta in Calabria. Si chiamava, per me impropriamente, sviluppo sull’asse Catanzaro-Lamezia, anche qui con quella disputa nominalistica tra quanti, sui due fronti, reclamavano che la propria Città venisse indicata per prima. Se mi si domandasse cosa avrei voluto fare in contemporanea se fossi stato un nostrano Nembo Kid, risponderei immediatamente: “il sindaco di Catanzaro e di Lamezia a giorni alterni.” Così potrei realizzare il mio sogno antico dal progetto pensato da uomini grandi. Una prima grande pietra per l’unità della Calabria. Per fortuna, oggi, sia Lamezia sia Catanzaro( ho invertito l’ordine dei nomi) hanno sindaci di spessore. I migliori sulla piazza. Sono due persone intelligenti e colte. Sono due personalità, per loro natura, aperte al confronto, alla collaborazione. Alla “fraternizzazione”. Hanno entrambi idee e programmi interessanti e strumentali allo scopo unitario. Occorre solo che chi sta loro vicino, cittadini ultras compresi, non stimoli, alla loro umana “ fragilità politica” , quella emotività che rincorre quello inquieto spirito “ populista” che è la negazione della Politica e di tutto il nostro auspicio.

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Quella frase del sindaco di Catanzaro, che io gli avrei sconsigliato comunque di inserire nel discorso programmatico, è stata estrapolata dal suo contesto, che, parimenti a quella sull’Università, invece, è tutt’altro che di chiusura. Nel discorso di Nicola, e nella parte più significativa del dibattito in aula, vi sono tutti gli elementi per riprendere a lavorare insieme, Catanzaro e Lamezia, per la costruzione ai lati di due città che dovranno ripensarsi e ridisegnarsi, una grande area moderna di sviluppo originale per se stessa e la regione. Occorre, però, vedersi presto. Perdere tempo è inutile e potrebbe essere pericoloso.

Nel mentre suggerisco a Nicola di recarsi a Lamezia, presso la sede del Comune, per far visita a Paolo Mascaro e magari insieme recarsi in aeroporto per approfondire la conoscenza di problemi e potenzialità, invito i due pregevoli presidenti dei rispettivi Consigli, Gianmichele Bosco e Giancarlo Nicotera, a convocare due sedute delle loro assemblee unite, per discutere, con tutti i consiglieri comunali e le rappresentanze delle altre assemblee elettive, del progetto anche oggi più importante che si possa concepire, lo sviluppo dell’area centrale della Calabria, a partire dalla correzione degli errori consumati.

Due incontri, uno a Lamezia, l’altro a Catanzaro. Come nelle partite di calcio di andata e ritorno. Solo che la nostra non sarà una partita, né la prosecuzione di una falsa guerra. Sarà l’incontro di due Città, che vorranno camminare insieme. Sullo stesso sentiero. Del Progresso. E della Pace.

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